sabato 20 novembre 2010

La morte di Giacomo Leopardi di Pietro Citati


Leopardi morì con moltissima grazia, e in tono minore, come in tono minore aveva vissuto quasi tutta la sua vita, celando o velando i dolori, le angosce, la desolazione, le passioni, la solitudine, il dono di essere un genio immenso. Gli ultimi giorni furono lieti. Dimenticando la lettera al padre del 27 maggio 1837, Leopardi non pensava di essere vicino alla morte. Credeva che il corpo potesse opporre ancora resistenza, forse “non piccola”, alle forze che si agitavano e infuriavano dentro di lui.

Nel febbraio 1837 Leopardi e Ranieri tornarono a Napoli, in una pausa del colera che aveva ucciso decine di migliaia di persone, gettate nella fossa comune. Sembrava che il colera si fosse placato e si stesse spegnendo. Ma all’inizio di giugno riprese la sua furia e Ranieri decise di rientrare al più presto a Villa Ferrigni. I medici sostenevano che l’aria benefica di Torre del Greco avrebbe potuto, se non curare, alleviare l’idrotorace di cui soffriva Leopardi. In quei giorni egli non aveva voglia di muoversi: come Carlo Emilio Gadda, era maestro nell’arte del rinvio; e di giorno in giorno prorogò la partenza.

Si sentiva meglio. Dormiva senza essere torturato dall’asma e scherzava con i medici sulla sua malattia. Come sempre, sosteneva di essere malato di nervi e che né l’aria di Torre del Greco, né il latte d’asina, né le diete, né qualsiasi altro rimedio potevano nulla per lui. Soffriva soltanto di asma nervosa e gli asmatici, disse sorridendo a Ranieri, hanno una vita lunghissima. La partenza fu fissata per il 14 giugno. Il giorno prima Paolina gli regalò due cartocci di confetti cannellini, dei quali Leopardi era ghiottissimo. Il dolce non finiva di consolare il suo spirito e il suo organismo, che ne aveva bisogno. La sera la passò con Ranieri, a prendere il fresco sul balcone e a discorrere di filosofia.

Il 14 giugno Leopardi rimase a letto tutta la mattina, finendo di mangiare, a velocità prodigiosa, i confetti cannellini. Mentre Ranieri usciva di casa, verso le dieci, Leopardi bevve la sua cioccolata “con gran gusto, perché amava moltissimo quella bevanda”. Passò qualche ora: Leopardi preparò le sue cose per la partenza. Verso le diciassette, come era sua abitudine, si pose a pranzo. Era più gaio del solito. Prese due o tre cucchiaiate di minestra, poi chiese a Paolina un’abbondante limonata gelata che a Napoli chiamavano “granita”. Paolina gli portò una granita doppia. Leopardi ricominciò a mangiare la minestra, ma si arrestò all’improvviso e si rivolse a Ranieri che gli stava seduto vicino. “Mi sento un pochino crescere l’asma”, gli disse.”Si potrebbe riavere il dottore?” Ranieri si turbò, ma Leopardi riprese, dolcemente, il suo vecchio scherzo sulla lunga vita degli asmatici e disse a Paolina che solo la sua zia Paolina di Napoli gli rendeva possibile la lunga lontananza dalla Paolina di Recanati.

Mentre Ranieri usciva per cercare il medico, Leopardi si adagiò vestito sul letto; ma era inquieto e volle rialzarsi, cercando di riprendere il pranzo, malgrado la resistenza di Paolina. Quando giunsero il dottore e Ranieri, Leopardi stava disteso sulla sponda del letto, sostenuto da guanciali posti di traverso. Sorrise e si rimise a chiacchierare col medico intorno agli argomenti che entrambi amavano: il benefico soggiorno a Torre del Greco, l’aria limpida, il male di nervi, il latte d’asina, i piaceri che lo attendevano a Villa Ferrigni. La voce era più fioca e più spezzata del solito, ma tutto sembrava normale, come se di lì a poco Leopardi dovesse alzarsi, salire sulla carrozza, raggiungere il luogo dove aveva appena finito di scrivere "Il tramonto della luna", immaginando il ritorno dell’inondazione luminosa sul mondo. Paolina gli sosteneva il capo e gli asciugava il sudore, che incominciava a scendere a gocce dalla sua amplissima fronte.

Quando sembrò turbato da un “infausto e tenebroso stupore”, Ranieri cercò di ridestarlo con degli eccitanti alcolici. Leopardi aprì gli occhi più del solito: guardò fisso verso Ranieri e gli disse sospirando: “Io non ti veggo più”, oppure “Apri quella finestra, fammi vedere la luce”, oppure “Addio, Totonno, non vedo più la luce”. Il polso salì lentamente, poi si spense, e Leopardi smise di respirare.
Giacomo Leopardi morente(ritratto di G.Turchi da un calco in gesso)

3 commenti:

  1. un privilegio di pochi morire ancora così alla porte del 3°millenio, dove il business, e il marketing ci hanno ormai educati o meglio convinti, che al proprio letto o miglore stanza della propria casa, siano da preferire case della salute, Hospis, case funerarie ecc, ecc

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  2. un privilegio di pochi morire ancora così alla porte del 3°millenio, dove il business, e il marketing ci hanno ormai educati o meglio convinti, che al proprio letto o miglore stanza della propria casa, siano da preferire case della salute, Hospis, squallide case funerarie ecc, ecc

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