domenica 13 gennaio 2013

La morta(Racconto) di Guy de Maupassant


Un racconto "noir" di Maupassant, breve e intenso. Eccezionale.*****







Henri-René-Albert-Guy de Maupassant (Tourville-sur-Arques, 5 agosto 1850 – Parigi, 6 luglio 1893) è stato uno scrittore, drammaturgo, reporter di viaggio, saggista e poeta francese, nonché uno dei padri del racconto moderno.*****


L'avevo amata alla follia. Perché amiamo? Non è una stranezza vedere ormai al mondo un solo essere, avere in mente un solo pensiero, in cuore un solo desiderio e sulla bocca un nome solo: un nome che sale incessantemente, sale come l'acqua di una sorgente, sale dalle profondità dell'anima, sale alle labbra e vien detto, ripetuto, mormorato senza posa, dovunque, come una preghiera?
Non dirò qui la nostra storia. L'amore ne ha soltanto una, sempre la stessa. Io l'avevo conosciuta e amata: ecco tutto. E nelle sue carezze, nel suo sguardo, nelle sue vesti, nella sua parola, in tutto quanto veniva da lei ero stato avviluppato, legato, imprigionato così completamente che non sapevo più se era giorno o notte, se ero vivo o morto, se mi trovavo sulla terra o altrove.
E un giorno ella morì. Come? Non lo so. Rincasò bagnata, in una sera piovosa, e l'indomani tossiva. Tossì un'intera settimana, poi si mise a letto. Che cosa accadde? Non lo so più. I medici venivano, scrivevano, se ne andavano. Qualcuno portava dei farmaci. Una donna glieli faceva ingerire. Le sue mani scottavano, la fronte era umida e ardente, lo sguardo lucido e triste. Le parlavo, mi rispondeva. Che cosa ci dicevamo? Non lo so più. Ho dimenticato tutto, tutto! Morì: e ricordo benissimo il suo lieve sospiro, quel suo lieve sospiro così debole: l'ultimo.
Non seppi più nulla. Nulla. Vidi un prete che pronunciò alcune parole:"La vostra amante". Mi sembrò che la insultasse. Dal momento che era morta, non avevano più diritto di ricordare quella cosa. Lo scacciai. Ne venne un altro che fu assai buono, assai gentile. Piansi quando mi parlò di lei. Mi domandarono mille cose del funerale. Non ricordo più. Però ricordo la bara, il rumore del martellare quando inchiodarono il coperchio. 
Fu sotterrata. Sotterrata, lei, in quella fossa!. Fuggii, correvo. Camminai a lungo, poi rincasai. Il giorno dopo mi misi in viaggio. Ieri sono tornato a Parigi. 
Quando rividi la mia camera, la nostra camera, il nostro letto, i nostri mobili, quella casa dove era rimasto tutto quanto rimane della vita di un essere dopo la sua morte, fui colto da una ripresa di dolore così violento che poco mancò aprissi la finestra e mi buttassi in strada. Non potendo più rimanere in mezzo a quelle cose, tra quelle pareti che l'avevano riscaldata, protetta e che nelle invisibili loro fessure dovevano conservare mille atomi di lei, della sua carne e del suo respiro, presi il cappello per fuggirmene via. D'improvviso, mentre mi avviavo alla porta, passai davanti al grande specchio che ella aveva fatto collocare nell'ingresso per vedersi dalla testa ai piedi, ogni giorno, quando usciva, per vedere se tutto nel suo abbigliamento era in ordine, era giusto e bello, dagli stivaletti alla pettinatura. 
         Felici gli uomini il cuore dei quali, simile a uno specchio dove i riflessi scivolano e si cancellano, dimentica tutto ciò che esso ha contenuto, tutto ciò che gli è passato davanti, tutto ciò che s'è guardato, contemplato nel suo affetto, nel suo amore! Come soffro!. Uscii mio malgrado, senza saperlo, e senza volerlo andai verso il cimitero. Trovai la sua tomba, così' semplice, una croce di marmo con queste poche parole: "Amò, fu amata, morì". Ella era lì, lì sotto.
Singhiozzavo, la fronte sulla lapide. Mi trattenni a lungo, a lungo. Poi mi accorsi che imbruniva. Allora un desiderio strano, pazzesco, un desiderio di amante disperato si impadronì di me. Volli passare la notte accanto a lei, l'ultima notte, piangendo sulla sua tomba. Ma  mi avrebbero visto, mi avrebbero scacciato. Come Fare?
       Fui scaltro, mi alzai e cominciai a errare in quella città degli scomparsi. Andavo, andavo. Com'è piccola questa città in confronto all'altra, quella dove si vive!. Eppure, come sono più numerosi dei vivi, questi morti!. Ci occorrono grandi case, strade, tante piazze, per le quattro generazioni che guardano il sole contemporaneamente, bevono l'acqua dalle sorgenti, il vino dei vigneti e mangiano il pane dei campi. E per tutte le generazioni dei morti, quasi nulla... un campo... quasi nulla! La terra li riprende, l'oblio li cancella. Addio!. 
All'estremità del cimitero abitato scorsi improvvisamente il cimitero abbandonato, quello dove i vecchi defunti terminano di mescolarsi alla polvere, dove persino le croci marciscono, quello dove domani metteranno gli ultimi arrivati. E' pieno di rose selvagge, di cipressi scuri e robusti, un giardino triste e magnifico, nutrito di carne umana. Ero solo, affatto solo. Mi appiattii dietro un albero. Mi nascosi completamente tra i rami grassi e foschi. E attesi. 
Quando fu notte buia, notte fonda, lasciai il mio rifugio e mi misi a camminare pianamente, con passi felpati sul quel suolo pieno di morti. Errai a lungo, a lungo. Non la rintracciavo. Le braccia tese, gli occhi sbarrati, urtando nelle tombe con le mani, coi piedi, con le ginocchia, col petto, procedevo senza trovarla. Toccavo, brancicavo come un cieco che cerchi la sua strada. Niente luna. Che notte!. Avevo paura, una paura atroce, in quei sentieri stretti, tra due file di tombe! Tombe! tombe! sempre tombe!. Sedetti su una di esse, poichè non potevo più camminare. Udivo battere il mio cuore. E udivo anche altre cose. Un rumore confuso, innominabile! Era nel mio cervello sconvolto, nella notte impenetrabile, o sotto la terra misteriosa, sotto la terra seminata di cadaveri umani, quel rumore? Mi guardavo intorno. Quanto tempo rimasi là? Non so. Ero paralizzato dal terrore, ero ubriaco di spavento, pronto a urlare, pronto a morire. 
E d'improvviso mi sembrò che la lastra di marmo sulla quale sedevo si movesse. Già si moveva, come se qualcuno l'avesse sollevata. D'un balzo mi gettai sulla tomba vicina e vidi, sì vidi, vidi alzarsi verticalmente la pietra che avevo appena lasciato e il morto apparire, uno scheletro nudo che la sollevava con le spalle curve. Vedevo, vedevo benissimo, benchè la notte fosse tenebrosa. Potei leggere sulla croce: "Qui riposa Jacque Olivant, deceduto in età di anni 51. Amava la famiglia, fu onesto e buono e morì nella pace del Signore".
Orbene, anche il morto leggeva le cose scritte sulla sua tomba. Poi raccolse un sasso sul sentiero, un sasso aguzzo e cominciò a grattare accuratamente quelle cose. Le cancellò, completamente, lentamente, guardando con le occhiaie vuote il punto dove poc'anzi erano incise e con la punta dell'osso che era stato il suo indice scrisse:"Qui riposa Jacques Olivant, deceduto all'età di anni 51. Con la sua durezza affrettò la morte del padre dal quale desiderava ereditare, tormentò sua moglie, tormentò i suoi figli, imbrogliò i vicini, rubò quando gli fu possibile e morì miserabile". Finito che ebbe di scrivere, il morto, immobile, contemplò l'opera sua. E voltandomi, io mi accorsi che tutte le tombe erano scoperchiate, che tutti i cadaveri erano usciti, che tutti avevano cancellato le menzogne scritte dai parenti sulla pietra e ristabilita la verità. 
        Così', vedevo che tutti erano stati i carnefici del loro prossimo, astiosi, disonesti, ipocriti, bugiardi, canaglie, calunniatori, invidiosi: che avevano rubato, compiuto tutti gli atti più vergognosi. Sulla soglia della loro eterna dimora, scrivevano tutti la crudele, terribile e santa verità che tutti ignorano o fingono di ignorare su questa terra. 
Pensavo che anche la mia donna aveva dovuta tracciarla sulla sua tomba. Senza più paura, correndo in mezzo alle tombe semiaperte, la riconobbi da lontano, senza vederne il viso avvolto nel sudario. E sulla croce di marmo dove poc'anzi avevo letto "Amò, fu amata, morì", scorsi: "Uscita un giorno per tradire il suo amante, prese freddo sotto la pioggia e morì". 
A quanto pare fui raccolto all'alba, inanimato e accanto a una tomba.


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