domenica 3 febbraio 2013

Il dubbio(Racconto) di Alfredo Giglio


      
Alfredo Giglio è un distinto signore di Crotone, ex capostazione delle FFSS, che io ho conosciuto piuttosto tardi, un’estate di qualche anno fa, sulla spiaggia, tra una chiacchierata e l’altra tra vicini di ombrellone. Rimasi colpito dalla sua cordialità, ma soprattutto dalle sue qualità di narratore e di affabulatore. Siamo diventati  amici ed ho potuto anche leggere qualche suo libro. Il racconto che segue mi è sembrato particolarmente bello.
                                         

 Il  dubbio

Il giorno successivo alla chiusura delle scuole, il 1° giugno, il sole picchiava già forte e Marco Terlizzi, capostazione in un  piccolo centro ferroviario della costa ionica, approfittando del riposo settimanale, decise di portare al mare la moglie Letizia e la figlioletta  Stefania.
Prese  l’auto e dopo pochi chilometri si fermò ad una cinquantina di metri dal mare, in una radura ombreggiata da alcuni eucalipti giganteschi e odorosi. In pochi minuti l’intera famiglia  si ritrovò  sulla sabbia, già arroventata da un sole torrido: fu piantato un ombrellone a pochi passi dalla battigia e furono sistemate le sedie pieghevoli. Il mare,  calmo nel suo azzurro intenso, si poteva quasi toccare con mano e soprattutto si poteva controllare da vicino la piccola Stefania, intenta a giocare col suo secchiello e la sua paletta di plastica colorata.
Erano da poco passate le dieci, quando fu vista  passare una ragazza, dall’apparente età di vent’anni o poco più, dai lunghi capelli neri e  fluenti sulle spalle, formosa e dallo sguardo intenso. Lentamente essa si avvicinò a Marco e chiese l’ora. Egli, premuroso e gentile come sempre, le fece vedere l’orologio: erano le dieci e un quarto. Poi, come preso da un presentimento e spinto anche dalla sua istintiva e naturale cordialità, le chiese se avesse già fatto il bagno, dal momento che il suo due pezzi era umido e stillante di gocce d’acqua. La ragazza rispose, con estrema sincerità, che si era limitata ad una rapida immersione e che avrebbe fatto volentieri un vero bagno, se solo avesse saputo nuotare. Non aveva avuto modo di imparare, anche perché aveva un po’ paura del mare, e quindi preferiva prendere il sole, per poter tornare a casa abbronzata.
Marco, quasi per scherzare, replicò che, se avesse avuto fiducia in lui, le avrebbe insegnato a reggersi a galla. Intervenne  prontamente anche la moglie Letizia, forse per fare amicizia, che  la  sollecitò a fidarsi e a  fare il bagno tranquilla, perché il marito era un abile nuotatore. Poi la signora tese la mano e si presentò:
-Mi chiamo Letizia e sono la moglie di Marco.
La ragazza di rimando:
-Mi chiamo Annamaria.
Poi si girò verso Marco e gli porse la mano, che egli strinse prontamente, con energia, avvertendo una piacevole sensazione di calore.
Dopo pochi minuti di conversazione,  i due si avviarono verso il mare calmo e si lasciarono trasportare dal dolce dondolio delle onde. Lei però avvertiva una specie di freddo ai piedi e voleva quasi tornare indietro, perciò Marco l’investì con una serie di domande, che servirono a distrarla  e a farla recedere dal suo proposito. A lui quella ragazza con gli occhi grandi e luminosi, che esprimevano il mistero di una passione infinita, piaceva moltissimo ed egli  voleva conoscerla a tutti i costi e magari esplorare i meandri di quel corpo che sembrava un inno alla vita e all’amore. Mentre procedevano  lentamente nell’acqua, lei gli disse che era venuta  da Napoli per una breve vacanza, ma che purtroppo sarebbe ripartita il giorno dopo con le sue amiche, le quali  avevano preferito in quella giornata afosa recarsi a visitare i monti verdi della Sila, mentre lei aveva preferito restare al mare. Aggiunse di essere insegnante elementare e quindi domandò a Marco, che le si era avvicinato per cingerla dolcemente  e farla distendere sull’acqua, che cosa facesse nella vita. Egli placidamente rispose di fare il capostazione in quella minuscola località sperduta della costa ionica, dove di rado “approdavano sirene belle e piacenti come lei”.
Annamaria ringraziò per il complimento e si lasciò prendere dalle braccia, distendendosi mollemente sull’acqua.
-Batti i piedi, le diceva lui, senza piegare eccessivamente le ginocchia. Batti forte, altrimenti affondi.
Le passò la mano sotto la pancia, fino all’inguine, per sollevarla e portare a galla i bianchi glutei, che avrebbe voluto baciare. Lei, impacciata e totalmente incapace di reagire, era diventata rossa in viso  e ansimava senza proferire parola. Quando la mano di lui arrivò a sfiorare le sue parti più intime, lei si abbandonò completamente, appesantendo il corpo che tornò ad affondare. Ormai l’acqua era alta, oltre il metro e mezzo, e lui si accorse di toccare solo con la punta dei piedi. La resse  sotto le ascelle per impedire che fosse presa dal panico e nel tramestio che ne seguì tirò verso di sé  le bretelle del due pezzi:i suoi seni, come due bianche palle di gomma, abbandonarono quel reggiseno striminzito, per fluttuare liberi e bellissimi nell’acqua marina.
Marco avrebbe voluto fare chissà che, ma si limitò ad accarezzarli, aspettando la probabile reazione di Annamaria. Reazione che giunse tardiva e laconica e che si risolse in un chiaro invito a continuare. Marco si sentiva felice e sollevato: poteva osare tutto! La condusse, tenendola per mano, dietro una lingua di sabbia che precludeva la vista alla moglie che, ignara, era rimasta con la bambina sotto l’ombrellone. L’acqua era profonda e lei si abbracciò a Marco tenendolo stretto per il collo. Poi trovarono una sottile striscia di sabbia e qui lui prese ad abbassarle la parte inferiore del due pezzi.
-Hai mai fatto l’amore?, le chiese.
-Sì, rispose lei, una sola volta quando avevo diciassette anni. Ora ne ho ventiquattro e dentro di me si è  acceso un fuoco che tu dovrai spegnere subito, prima che mi distrugga.
Quell’ amplesso troppe volte  rimandato, troppe volte  sognato, si stava realizzando pienamente per la seconda volta a distanza di sette anni.
Quando Marco si rialzò, lei rimase per terra con gli occhi chiusi, come sognasse. Marco si preoccupò di ridestarla: l’accarezzò sul viso, la baciò e le sussurrò parole d’amore. Dopo alcuni minuti, che a lui sembrarono un’eternità, Annamaria si svegliò, si rialzò e infilò  il costume. Le chiese come si sentisse, perché si fosse assopita e lei rispose:
-Non mi sono assopita, sono solo salita in Cielo per ascoltare il coro degli Angeli ed ora sono discesa sulla terra, per ascoltare la tua voce. Sto benissimo, stai tranquillo e grazie per la gioia che hai voluto regalarmi.
Ritornarono lentamente, camminando sulla sabbia lambita dalle onde, per non scottarsi i piedi ed in pochi minuti giunsero sotto l’ombrellone, dove Letizia e Stefania stavano ad attenderli pazientemente. Si era fatto mezzogiorno e la bambina doveva rientrare a casa per pranzare. Ad Annamaria fu offerto un passaggio fino in paese, ma lei rifiutò poiché, diceva, sarebbe venuta un’amica a prenderla con l’auto, alle 12,30.
 Durante il ritorno, Marco ricordò le parole di lei, che le aveva raccomandato di non dimenticarla e di non dimenticare quel loro fugace incontro. Lei avrebbe serbato nel suo cuore il ricordo di lui per tutta la vita. Erano parole nobili e dolcissime, ma sarebbe poi stato vero? O lei aveva già altri amori  nella sua bella Napoli?
Il giorno dopo Marco rientrò in servizio, nel turno pomeridiano: elegante nella sua divisa estiva, si destreggiava fra telefonate e richieste di biglietti da parte dei numerosi viaggiatori, mentre si mostrava puntuale nel far partire i treni, in sicurezza ed in perfetto orario. Già verso le ore 16,00 si trovavano nella stazione diversi viaggiatori, per il treno delle 16,30 diretto a Lamezia Terme, che era in coincidenza con i treni che portavano a nord e quindi anche a Napoli.
La stazione era insolitamente affollata quel giorno. Alcuni giovani, insolenti e frettolosi, vociavano sguaiatamente. Un’anziana signora cercava di consolare una bambina che piangeva disperatamente. Un informe contadino sudicio, con un berretto di sotto al quale spuntavano dei capelli arruffati, cercava di vendere ai passanti cestini ripieni di uova. Due ragazze, sorridendo tra di loro, facevano apprezzamenti ad alta voce sul vestito di una terza ragazza. Molti viaggiatori, in attesa del treno, stavano attenti ai loro bagagli.
Marco osservava e controllava con distacco quella varia umanità che si agitava nel piccolo mondo della “sua” stazione, quando fu colpito da un gruppo di sei suore, che discutevano animatamente, ridendo di gusto e passeggiando lentamente. Le osservò con cura , perché gli era parso che una di loro, che portava grandi occhiali da sole, rivolgesse  il suo sguardo verso di lui, con un sorriso di compiacimento. Addirittura egli ebbe l’impressione che  il gruppetto si dirigesse verso di lui e perciò si spostò sul piazzale, per osservare meglio: aveva l’impressione  di conoscere  o di avere già visto da qualche parte quel sorriso, su quelle labbra rosse, che mostravano una fila di denti bianchi e perfetti. Ma la suora, avvolta in un abito nero, con un velo nero che le copriva totalmente i capelli e con quegli occhialoni scuri, lo disorientava. E poi perché lo guardava così tanto?
Marco non riusciva a darsi una spiegazione,  ma ebbe la netta sensazione di aver conosciuto quella donna.
Il treno giunse in orario ed i viaggiatori si affrettarono a salire, con  i loro bagagli. Le suore si diressero verso la coda del convoglio, per salire nella vettura ed occupare i loro posti. Mentre salivano, il capostazione notò che  quella suora con gli occhiali scuri stava salendo  volutamente  per ultima: indirizzava il suo sguardo con  insistenza verso di lui e gli rivolgeva un largo sorriso. Marco alzò la paletta: l’ordine di partenza era stato impartito ed il convoglio s’avviava lento, sferragliando sulle rotaie. Mentre il treno si allontanava dalla stazione, qualcuno, affacciato al finestrino, mandava un ultimo saluto ad amici e parenti. Anche la suora dagli occhiali scuri si era affacciata al finestrino e, passando davanti al capostazione, serio nella sua divisa, col suo cappello rosso, si tolse gli occhiali  e mostrò i suoi occhi tristi e velati di lacrime. Il suo sorriso di poco prima nel frattempo si era spento e sembrava essersi tramutato  in una smorfia di dolore.
Marco la osservò a lungo, finché poté. Nella sua mente, all’improvviso, avvampò una luce più viva che mai, che gli schiarì tutto quello che prima era nelle tenebre.
-Quella suora è Annamaria, si disse sottovoce, è lei. Ma l’ho vista in momenti tanto diversi, con vestiti tanto diversi, ed il dubbio mi rimarrà, per sempre.


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