Alfredo
Giglio è un distinto signore di Crotone, ex capostazione delle FFSS, che io ho
conosciuto piuttosto tardi, un’estate di qualche anno fa, sulla spiaggia, tra
una chiacchierata e l’altra tra vicini
di ombrellone. Rimasi colpito dalla sua cordialità, ma soprattutto dalle sue
qualità di narratore e di affabulatore. Siamo diventati amici ed ho potuto anche leggere qualche suo libro.
Il racconto che segue mi è sembrato particolarmente bello.
Il dubbio
Il giorno successivo alla chiusura
delle scuole, il 1° giugno, il sole picchiava già forte e Marco Terlizzi,
capostazione in un piccolo centro ferroviario della costa ionica, approfittando
del riposo settimanale, decise di portare al mare la moglie Letizia e la
figlioletta Stefania.
Prese l’auto e dopo pochi chilometri si fermò ad una
cinquantina di metri dal mare, in una radura ombreggiata da alcuni eucalipti giganteschi
e odorosi. In pochi minuti l’intera famiglia
si ritrovò sulla sabbia, già
arroventata da un sole torrido: fu piantato un ombrellone a pochi passi dalla
battigia e furono sistemate le sedie pieghevoli. Il mare, calmo nel suo azzurro intenso, si poteva
quasi toccare con mano e soprattutto si poteva controllare da vicino la piccola
Stefania, intenta a giocare col suo secchiello e la sua paletta di plastica
colorata.
Erano da poco passate le dieci,
quando fu vista passare una ragazza,
dall’apparente età di vent’anni o poco più, dai lunghi capelli neri e fluenti sulle spalle, formosa e dallo sguardo intenso.
Lentamente essa si avvicinò a Marco e chiese l’ora. Egli, premuroso e gentile
come sempre, le fece vedere l’orologio: erano le dieci e un quarto. Poi, come
preso da un presentimento e spinto anche dalla sua istintiva e naturale
cordialità, le chiese se avesse già fatto il bagno, dal momento che il suo due
pezzi era umido e stillante di gocce d’acqua. La ragazza rispose, con estrema
sincerità, che si era limitata ad una rapida immersione e che avrebbe fatto
volentieri un vero bagno, se solo avesse saputo nuotare. Non aveva avuto modo
di imparare, anche perché aveva un po’ paura del mare, e quindi preferiva
prendere il sole, per poter tornare a
casa abbronzata.
Marco, quasi per scherzare, replicò
che, se avesse avuto fiducia in lui, le avrebbe insegnato a reggersi a galla. Intervenne
prontamente anche la moglie Letizia,
forse per fare amicizia, che la sollecitò a fidarsi e a fare il bagno tranquilla, perché il marito era
un abile nuotatore. Poi la signora tese la mano e si presentò:
-Mi
chiamo Letizia e sono la moglie di Marco.
La
ragazza di rimando:
-Mi
chiamo Annamaria.
Poi
si girò verso Marco e gli porse la mano, che egli strinse prontamente, con
energia, avvertendo una piacevole sensazione di calore.
Dopo pochi minuti di conversazione, i due si avviarono verso il mare calmo e si
lasciarono trasportare dal dolce dondolio delle onde. Lei però avvertiva una
specie di freddo ai piedi e voleva quasi tornare indietro, perciò Marco
l’investì con una serie di domande, che servirono a distrarla e a farla recedere dal suo proposito. A lui
quella ragazza con gli occhi grandi e luminosi, che esprimevano il mistero di una
passione infinita, piaceva moltissimo ed egli voleva conoscerla a tutti i costi e magari
esplorare i meandri di quel corpo che sembrava un inno alla vita e all’amore. Mentre
procedevano lentamente nell’acqua, lei
gli disse che era venuta da Napoli per
una breve vacanza, ma che purtroppo sarebbe ripartita il giorno dopo con le sue
amiche, le quali avevano preferito in
quella giornata afosa recarsi a visitare i monti verdi della Sila, mentre lei
aveva preferito restare al mare. Aggiunse di essere insegnante elementare e quindi
domandò a Marco, che le si era avvicinato per cingerla dolcemente e farla distendere sull’acqua, che cosa
facesse nella vita. Egli placidamente rispose di fare il capostazione in quella
minuscola località sperduta della costa ionica, dove di rado “approdavano
sirene belle e piacenti come lei”.
Annamaria ringraziò per il
complimento e si lasciò prendere dalle braccia, distendendosi mollemente
sull’acqua.
-Batti
i piedi, le diceva lui, senza piegare eccessivamente le ginocchia. Batti forte,
altrimenti affondi.
Le
passò la mano sotto la pancia, fino all’inguine, per sollevarla e portare a
galla i bianchi glutei, che avrebbe voluto baciare. Lei, impacciata e
totalmente incapace di reagire, era diventata rossa in viso e ansimava senza proferire parola. Quando la
mano di lui arrivò a sfiorare le sue parti più intime, lei si abbandonò
completamente, appesantendo il corpo che tornò ad affondare. Ormai l’acqua era
alta, oltre il metro e mezzo, e lui si accorse di toccare solo con la punta dei
piedi. La resse sotto le ascelle per
impedire che fosse presa dal panico e nel tramestio che ne seguì tirò verso di
sé le bretelle del due pezzi:i suoi seni,
come due bianche palle di gomma, abbandonarono quel reggiseno striminzito, per
fluttuare liberi e bellissimi nell’acqua marina.
Marco avrebbe voluto fare chissà che,
ma si limitò ad accarezzarli, aspettando la probabile reazione di Annamaria. Reazione
che giunse tardiva e laconica e che si risolse in un chiaro invito a
continuare. Marco si sentiva felice e sollevato: poteva osare tutto! La condusse,
tenendola per mano, dietro una lingua di sabbia che precludeva la vista alla
moglie che, ignara, era rimasta con la bambina sotto l’ombrellone. L’acqua era
profonda e lei si abbracciò a Marco tenendolo stretto per il collo. Poi
trovarono una sottile striscia di sabbia e qui lui prese ad abbassarle la parte
inferiore del due pezzi.
-Hai
mai fatto l’amore?, le chiese.
-Sì,
rispose lei, una sola volta quando avevo diciassette anni. Ora ne ho
ventiquattro e dentro di me si è acceso
un fuoco che tu dovrai spegnere subito, prima che mi distrugga.
Quell’
amplesso troppe volte rimandato, troppe
volte sognato, si stava realizzando
pienamente per la seconda volta a distanza di sette anni.
Quando Marco si rialzò, lei rimase
per terra con gli occhi chiusi, come sognasse. Marco si preoccupò di ridestarla:
l’accarezzò sul viso, la baciò e le sussurrò parole d’amore. Dopo alcuni
minuti, che a lui sembrarono un’eternità, Annamaria si svegliò, si rialzò e infilò il costume. Le chiese come si sentisse,
perché si fosse assopita e lei rispose:
-Non
mi sono assopita, sono solo salita in Cielo per ascoltare il coro degli Angeli
ed ora sono discesa sulla terra, per ascoltare la tua voce. Sto benissimo, stai
tranquillo e grazie per la gioia che hai voluto regalarmi.
Ritornarono lentamente, camminando
sulla sabbia lambita dalle onde, per non scottarsi i piedi ed in pochi minuti
giunsero sotto l’ombrellone, dove Letizia e Stefania stavano ad attenderli
pazientemente. Si era fatto mezzogiorno e la bambina doveva rientrare a casa
per pranzare. Ad Annamaria fu offerto un passaggio fino in paese, ma lei rifiutò
poiché, diceva, sarebbe venuta un’amica a prenderla con l’auto, alle 12,30.
Durante il ritorno, Marco ricordò le parole di
lei, che le aveva raccomandato di non
dimenticarla e di non dimenticare quel loro fugace incontro. Lei avrebbe
serbato nel suo cuore il ricordo di lui per tutta la vita. Erano parole nobili
e dolcissime, ma sarebbe poi stato vero? O lei aveva già altri amori nella sua bella Napoli?
Il giorno dopo Marco rientrò in
servizio, nel turno pomeridiano: elegante nella sua divisa estiva, si
destreggiava fra telefonate e richieste di biglietti da parte dei numerosi
viaggiatori, mentre si mostrava puntuale nel far partire i treni, in sicurezza
ed in perfetto orario. Già verso le ore 16,00 si trovavano nella stazione
diversi viaggiatori, per il treno delle 16,30 diretto a Lamezia Terme, che era
in coincidenza con i treni che portavano a nord e quindi anche a Napoli.
La stazione era insolitamente
affollata quel giorno. Alcuni giovani, insolenti e frettolosi, vociavano
sguaiatamente. Un’anziana signora cercava di consolare una bambina che piangeva
disperatamente. Un informe contadino sudicio, con un berretto di sotto al quale
spuntavano dei capelli arruffati, cercava di vendere ai passanti cestini
ripieni di uova. Due ragazze, sorridendo tra di loro, facevano apprezzamenti ad
alta voce sul vestito di una terza ragazza. Molti viaggiatori, in attesa del
treno, stavano attenti ai loro bagagli.
Marco osservava e controllava con
distacco quella varia umanità che si agitava nel piccolo mondo della “sua”
stazione, quando fu colpito da un gruppo di sei suore, che discutevano
animatamente, ridendo di gusto e passeggiando lentamente. Le osservò con cura ,
perché gli era parso che una di loro, che portava grandi occhiali da sole, rivolgesse
il suo sguardo verso di lui, con un
sorriso di compiacimento. Addirittura egli ebbe l’impressione che il gruppetto si dirigesse verso di lui e perciò si spostò sul piazzale, per osservare
meglio: aveva l’impressione di conoscere
o di avere già visto da qualche parte quel
sorriso, su quelle labbra rosse, che mostravano una fila di denti bianchi e
perfetti. Ma la suora, avvolta in un abito nero, con un velo nero che le
copriva totalmente i capelli e con quegli occhialoni scuri, lo disorientava. E
poi perché lo guardava così tanto?
Marco
non riusciva a darsi una spiegazione, ma
ebbe la netta sensazione di aver conosciuto quella donna.
Il treno giunse in orario ed i
viaggiatori si affrettarono a salire, con
i loro bagagli. Le suore si diressero verso la coda del convoglio, per
salire nella vettura ed occupare i loro posti. Mentre salivano, il capostazione
notò che quella suora con gli occhiali
scuri stava salendo volutamente per ultima: indirizzava il suo sguardo
con insistenza verso di lui e gli
rivolgeva un largo sorriso. Marco alzò la paletta: l’ordine di partenza era
stato impartito ed il convoglio s’avviava lento, sferragliando sulle rotaie. Mentre
il treno si allontanava dalla stazione, qualcuno, affacciato al finestrino,
mandava un ultimo saluto ad amici e parenti. Anche la suora dagli occhiali
scuri si era affacciata al finestrino e, passando davanti al capostazione,
serio nella sua divisa, col suo cappello rosso, si tolse gli occhiali e mostrò i suoi occhi tristi e velati di
lacrime. Il suo sorriso di poco prima nel frattempo si era spento e sembrava
essersi tramutato in una smorfia di
dolore.
Marco la osservò a
lungo, finché poté. Nella sua mente, all’improvviso, avvampò una luce più viva
che mai, che gli schiarì tutto quello che prima era nelle tenebre.
-Quella suora è Annamaria, si disse
sottovoce, è lei. Ma l’ho vista in momenti tanto diversi, con vestiti tanto
diversi, ed il dubbio mi rimarrà, per sempre.
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