venerdì 19 luglio 2013

"Il tempo di un respiro" di Lucia Romani

Lucia Romani è una giovane signora toscana. Un anno fa ha pubblicato il libro  Il tempo di un respiro. Ne riporto la presentazione. 


Ho conosciuto Lucia Romani qualche anno fa su Internet, in uno dei  tanti social network  che oggi costituiscono la croce e la delizia dei tempi che viviamo. La persona mi incuriosiva per tanti motivi. Lucia, o Lu’, come tutti la chiamavano, diceva cose non banali e rivelava nelle sue parole un’intensità di vita, che non è dato riscontrare normalmente nei discorsi che si fanno in tali siti.
Dopo i primi scambi di battute, rituali  e scontati in simili circostanze, passammo a parlare d’altro. Così seppi che Lu’ viveva ad Abbadia San Salvatore, che era sposata ed aveva due figli, che lavorava in uno studio notarile. Pensai in un primo momento al caso, non infrequente, di una persona che cerca di interrompere il grigiore e la routine della vita quotidiana, ma fui anche felicemente sorpreso di constatare che lei aveva gusti estetici raffinati: cantava come soprano nel locale coro di Abbadia, amava Ivano Fossati e Zucchero, prediligeva Mozart, leggeva l’ Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis e i grandi romanzieri della seconda metà dell’Ottocento, come Gustave Flaubert e Leone Tolstoj.
Poi, con il passare del tempo, venni a sapere altro. Fu lei stessa a dirmi che era reduce da due  lutti familiari, che avevano profondamente segnato la sua vita. Nel 1989 era morta la madre Giovanna Antida e nel 1994 era morta, in giovane età, la sorella Grazietta. Me ne parlò con pudore, con l’esitazione tipica delle persone che quasi hanno paura di dare libero sfogo all’onda dei sentimenti. Fui io ad insistere perché mi raccontasse tutto, un po’ perché sono naturalmente desideroso di conoscere gli accadimenti umani di chi per un verso o per l’altro entra nella mia vita, ma anche, e soprattutto, perché mi venne voglia di sapere tutto di lei e della sua famiglia.
Poi, per un lungo periodo di tempo, non parlammo più di queste vicende. Proprio in quel periodo avevo iniziato a collaborare con una rivista mensile, per la quale scrivevo dei racconti.  Lei molte volte lesse questi racconti in anteprima e mi fu utile in molte circostanze, suggerendomi qualche titolo e rivelando inoltre un vivo interesse per quello che scrivevo.
Un giorno le suggerii, senza troppa convinzione e quasi per un riflesso automatico, di cimentarsi nella scrittura e  di raccontare le vicende della sorella Grazietta. Speravo, forse in maniera inconscia,  di avere in tal modo un quadro completo e organico delle vicende che lei mi aveva raccontato in momenti diversi e in modo frammentario.
Lu’ prese molto seriamente il suo compito e, nell’arco di un mese o poco più, ne cavò fuori questo  libro. Me lo mandò in lettura via e-mail   in un pomeriggio di Settembre e  lo lessi  con un’ emozione, che mi impedì di staccare gli occhi dal testo prima di essere arrivato alla parola “Fine”.
Non ho esitazione a dire che questo libro  non solo mi ha emotivamente coinvolto, ma mi ha anche profondamente commosso, tanto che, quando Lu’ ha deciso di pubblicarlo e me ne ha chiesto  una presentazione, ho accettato con piacere di scrivere queste brevi note.
Potrà sembrare strano che ciò accada, ma bisogna dire per prima cosa che la narrazione è pacata  e tranquilla e che proprio per questo  ha una forza emotiva straordinariamente intensa. Le sue parole, prive di orpelli e di ridondanze, sembrano ricondotte al loro significato primigenio e colpiscono con la forza del ricordo la mente e il cuore di chi già sa o  vuole sapere che cosa significhi l’affetto tra sorelle, un affetto grande, più grande della vita e della morte.
Per uno strano caso ho avvertito , sia nel titolo, sia nella narrazione, l’eco lontana di un libro che a suo tempo fu famoso. In quel libro, Breve come un sospiro,  Anne Philippe  raccontò nel 1964  la scomparsa del marito, l’attore francese Gérard Plilipe, morto all’età di 37 anni per un tumore. Il racconto di Anne Philipe ebbe allora un grande successo ed è ancora considerato un piccolo gioiello della letteratura memorialistica.
Orbene, con la stessa convinzione sento di poter dire che anche il lungo racconto  di Lucia Romani, questo diario di un dolore, deve essere considerato un piccolo gioiello e merita di essere conosciuto.

Ezio Scaramuzzino





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