mercoledì 21 agosto 2013

Le voci del silenzio: Amedeo Grisi


Nel mio salone in piazza Oberdan ho rasato a zero generazioni di bambini, perché c’erano dei rischi a portare i capelli lunghi e  poi la testa a meloncino consentiva di diluire nel tempo la  successiva rasatura. Ho anche sbarbato generazioni di contadini, che mi pagavano “a raccolta”, come si diceva: mi pagavano cioè con i prodotti dei loro campi e talvolta non mi pagavano per niente, perché i campi non producevano niente. Si viveva di poco e io vivevo di poco allora. Ma non ero contento: la vita  che fluiva monotona, stagione dopo stagione, non era per me. Ho sognato, ho suonato la chitarra  ed  ho giocato a carte, a bocce, al totocalcio: ho scommesso, cercando di riannodare in tal modo l’anello che non tiene e che talvolta rende amara l’esistenza.
Una volta, ricordo, giocai a bocce anche con te, giovane studente pretensioso. Vinsi facilmente  ed evitai di infierire, di spillarti altri soldi, perché tu eri destinato a perdere, perché tu ti limitavi a conoscere la vita attraverso i libri, mentre io leggevo direttamente nel libro della vita. Ho giocato ed ho scommesso, certo, talvolta vincendo e talvolta perdendo, come sempre avviene. Non sapevo allora che la mia scommessa più grande io l’avrei vinta dopo la vita.

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