Ti
rivedo dopo tanti anni. Eri un bambino allora e ricordo quel giorno, c’eri
anche tu, quando nel frantoio di tuo padre, Flavio, che era tuo cugino, cadde nell’olio. Dalle presse uscivano insieme
acqua e olio e alla separazione provvedeva lui che di tale arte era
considerato un maestro. Anche quel
giorno Flavio prese il suo inseparabile
piattino separatore, che egli manovrava con l’abilità di un equilibrista, e
scese verso il pozzetto.
Fu
un attimo: perse l’equilibrio, scivolò sui gradini unti di olio ed emise solo un grido:” Zio Ciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii”.
Accorremmo tutti. Si intravedeva solo la testa di Flavio, che fuorusciva
appena dal pozzetto pieno d’olio.
Qualcuno gridava, qualcuno si metteva le mani nei capelli, qualcuno si diede da
fare per salvare “il naufrago”. Che alla fine fu tirato fuori: sembrava un
salsicciotto unto d’olio e pronto per essere arrostito sulla graticola. Ma
aveva gli occhi sbilenchi e sembrava incapace di parlare.
Tuo
padre mi disse di togliergli i vestiti, del tutto inzuppati e dai quali si potevano recuperare almeno
cinque litri di olio. Alla fine “il naufrago” fu disteso per terra,
completamente nudo, e posto vicino ad un grande braciere. Il calore sembrò farlo
rinvenire, perché lentamente egli sollevò la testa, si guardò attorno, emise un
rutto lungo e fragoroso ed espulse dalla bocca uno spruzzo d’olio che mi colpì
in pieno.
Quel
giorno si rise molto e tutto si risolse bene, a parte una potente diarrea, che
costrinse il malcapitato a restare a casa per qualche giorno.
Allora
anche io lavoravo nel frantoio: guadagnavo
poco, ma spendevo anche poco e mi
consideravo fortunato, perché d’inverno avevo il lavoro garantito e non ero
costretto ad emigrare come tanti. Adesso siamo tutti qui: io, tuo padre, Flavio.
Quei giorni sono ancora vivi nella nostra memoria. Ogni tanto ne parliamo. E sorridiamo.
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