Sono
le due di notte, sto smaltendo i postumi di una brutta influenza e sono sveglio.
Sto leggendo un libro e mi viene da pensare che da un po’ di tempo leggo poco.
Ho letto tanti libri nel corso della mia vita, ma da qualche tempo leggo
decisamente poco e anzi, più che leggere, preferisco rileggere.
Mi
piace riprendere in mano un vecchio libro che mi è piaciuto, perché so già
quello che vi troverò, perché so che non sprecherò del tempo e non avrò
spiacevoli sorprese. Mi scorrono tra le mani i vecchi, grandi autori che hanno
alimentato la mia vita e così, se ho
voglia di leggere, rileggo Boccaccio, Lucrezio, Leopardi, Moravia, Chiara, Fallaci e, tra gli stranieri, Maugham, Lawrence,Thomas Mann, Lee Masters,
Flaubert, Tolstoj. In genere prediligo i prosatori, in particolare i cosiddetti
realisti, quelli che hanno raccontato la vita e il mondo senza finzioni e senza
inutili abbellimenti. I nuovi autori li conosco poco, anche perché aspetto
sempre che il loro successo si consolidi e non appaia il frutto di mode
effimere o, peggio, di combine editoriali, come spesso avviene.
Quanto
si legge oggi? Molto poco. Le case editrici sono quasi tutte in crisi e non si
intravedono tempi migliori. Quanto ai giovani, poi, meglio stendere sopra un
velo pietoso. Tranne rare, lodevoli eccezioni, essi hanno sostituito i libri
con le chat e gli autori con i cantautori. Forse è normale che sia così, perché
la lettura richiede il silenzio e la solitudine, piaceri che essi disdegnano.
Li avete mai osservati i nostri giovani? In genere sgomitano, si parlano
addosso, spesso non si capiscono nemmeno tra di loro. E’ uno spettacolo che talvolta induce ad amare riflessioni. Ancora più triste e malinconico di questo spettacolo c’è solo un altro spettacolo: quello
offerto dagli adulti che si credono e si comportano come i giovani, mentre si
limitano a scimmiottarli in un grottesco gioco delle maschere.
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