giovedì 10 dicembre 2015

Buoni e buonisti


Da qualche tempo si parla un po’ dappertutto di “buonismo” e “buonista”, spesso in accoppiata con “radical chic” e quasi sempre  con toni vagamente denigratori o sfottitorî.

Ma che differenza c’è tra l’essere buoni e l’essere buonisti? I buoni sono le persone gentili e premurose, le persone disposte a qualunque sacrificio per aiutare gli altri. I buonisti sono invece quelli che della bontà fanno un uso politico-ideologico. Questi ultimi, quando vogliono, sanno odiare cordialmente i loro avversari, ma utilizzano la bontà come alibi per mettersi la coscienza a posto e per giustificare un permissivismo ecumenico, costituente una delle cause non ultime dell’attuale marasma che rischia di travolgere il nostro stile di vita.

Ad esempio, il buono è quello che offre 5 euro ad una ONLUS per alleviare la fame nel mondo, o colui che è disponibile  a fare il volontario per una causa nobile, o ancora colui che è pronto a prendere personalmente una scopa per ripulire un giardinetto pubblico.

Il buonista invece non è generalmente disponibile a fare queste cose. Egli sostiene che già paga le tasse e che a queste cose deve provvedere, giustamente, lo Stato (con la S maiuscola). Invece egli è per l’accoglienza indiscriminata di tutti i perseguitati e i sofferenti del mondo, di tutti coloro che per un motivo o per un altro scappano dai loro Paesi, di tutti coloro che in un modo o nell’altro si presentano alle nostre frontiere e chiedono di entrare. Egli non si pone nemmeno il problema della opportunità o della possibilità di un’accoglienza indiscriminata, anche se poi delega il problema dell’accoglienza allo Stato (sempre quello con la S maiuscola), cioè a tutti noi.

Il buonista ancora è per il relativismo culturale, ideologico, religioso. Per lui tutte le culture si equivalgono e  tutte le religioni sono sullo stesso piano. In particolare, secondo lui, non esiste un terrorismo islamico  e quelli che sgozzano in nome di Allah semplicemente non sono Musulmani.  Lui non giustifica le  vignette blasfeme su Maometto, anche se giustifica quelle, peggiori,  contro Gesù Cristo. Lui non si sogna di attaccare o di sfottere gli Imam o gli Ayatollah, anche se non si fa scrupolo di dileggiare il Papa.

Considerato che da noi, se attacchi l’Islam, ti puoi aspettare una fatwa o una coltellata, mentre, se attacchi il Cristianesimo, hai diritto ad una medaglia; considerato che da noi, se attacchi un Imam,  puoi considerarti in pericolo di vita, mentre attaccare il Papa è un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Ecco, considerato tutto questo, non sarebbe più giusto chiamare il buonista in altro modo? Ad esempio paraculo, o paraculista?! Scegliete voi.

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