sabato 11 giugno 2016

Sono tutti miei fratelli




Sotto qualunque cielo, in qualunque parte del pianeta Terra, siamo tutti nati  dal ventre di una donna. Bianchi, neri, gialli: non c’è differenza, perché tutti siamo venuti alla luce nello stesso modo e tutti siamo accomunati da un unico destino di sofferenza e di morte. Per questo, anche per questo, per il fatto di essere partecipi della stessa condizione umana io considero fratelli tutti i miei simili. Considero mio fratello o mia sorella l’Indio che vive nella foresta dell’Amazzonia, il pescatore che vive nelle isole Fiji, il beduino che vive nel deserto del Sahara, la prostituta che di notte batte i marciapiedi di Buenos Aires o di Mosca.
Ma, è inutile nasconderlo, il mio affetto nei loro confronti non si rivolge verso tutti nello stesso modo. Verso le persone lontane e che appartengono ad un mondo da me solo immaginato la mia simpatia umana ha un che di astratto e di teorico.
Mi coinvolge emotivamente molto di più  la signora che vive sola, che vedo in difficoltà con una serie di buste e  pacchetti mentre si trova in ascensore e che alla fine mi ringrazia con un sorriso, dopo che l’ho aiutata a riporre le buste davanti alla sua porta. Sento di considerare più che un fratello il pensionato, che so essere gravemente malato e che pure, nella scelta delle cure, deve fare i conti con la sua magra pensione. Mi colpisce molto di più la disperazione di un giovane che non riesce a trovare un lavoro e che so arrabattarsi in attività di ripiego, quando non umilianti. Sento palpitare il calore della vita soprattutto nella giovane donna impazzita d’amore e che alla fine ricorre alla droga, quando si accorge che il suo amore era soltanto un’illusione.
Ora i detentori del potere ci impongono di pensare che un atteggiamento del genere non va bene e che anzi quelli che vengono da lontano sono degni della nostra attenzione più di quelli che ci vivono accanto. Ne discende che il nostro Paese ha deciso di farsi carico delle sofferenze dell'universo mondo  e  invita tutti i disperati ed i diseredati a venire da noi. Con stupore misto a rassegnazione assistiamo all’invasione di profughi che fuggono dalle guerre, invece di combattere, e di clandestini che semplicemente cercano di sfuggire alla povertà, insieme a tanti altri non chiaramente definibili e dai contorni oscuri e minacciosi.
A tutti costoro il nostro Paese riserva un’accoglienza disordinata, tumultuosa e comunque molto onerosa, perché, dicono sempre i detentori del potere, questi sono i nostri nuovi “fratelli” e non possiamo dimenticarli.
Sarà. Sarà che questi sono i nostri nuovi “fratelli”, anche se talvolta sono arroganti, ci disprezzano, ci minacciano e qualche volta ci massacrano. Ma per me i primi, veri fratelli sono gli altri che ho elencato sopra e che ci vivono accanto: la signora che mi ringrazia con un sorriso, il vecchio pensionato che deve far quadrare i conti, il giovane disperato in cerca di un lavoro, la giovane donna impazzita d’amore. 

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