mercoledì 31 maggio 2017

La collezione di francobolli, parte II (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino

Parte I
Nel 1960 fu girato a Scandale il film Il brigante e molte scene ebbero come sfondo gli interni e gli esterni del palazzo dei baroni Drammis. Ho letto da qualche parte che in tali circostanze ebbe inizio la spoliazione del palazzo, perché furono saccheggiati molti reperti e, addirittura, il regista Renato Castellani trafugò due ritratti ottocenteschi di Giuseppe Garibaldi e di Vittorio Emanuele II, di cui si impossessò senza avvertire mai più l’esigenza di restituirli ai legittimi proprietari. Sarà così, non dico di no, ma, arrivato a tal punto della mia vita, ora che ho la spiacevole seccatura di avere qualche annetto di troppo, avverto l’esigenza di confessare che in realtà la spoliazione era incominciata già in precedenza, ad opera di chi scrive, e che, per capire come andarono le cose, bisogna fare un salto a ritroso, a circa dieci anni prima.
A me il gusto ed il piacere di collezionare qualcosa venne abbastanza presto, quando avevo non più di 8-9 anni. Erano gli anni 50 del secolo scorso e da qualche tempo frequentavo la sezione dell’Azione Cattolica di Scandale. A dire il vero andavo in sezione soprattutto perché lì c’era l’unico Calcio Balilla del paese e solo lì potevo dare sfogo alla mia insaziabile voglia di giocare e di divertirmi, talché, quando era l’ora di chiusura, interrompevo di mala voglia e non vedevo l’ora che arrivasse l’orario di apertura del giorno successivo.       All’ Azione Cattolica ci si divertiva molto allora, sotto l’amorevole guida di Gino Scalise,  “il Presidente” lo chiamavamo, il quale però, tra un divertimento e l’altro, non tralasciava di insegnarci i fondamenti della religione e soprattutto non tralasciava di trasmetterci alcuni interessi e comportamenti utili per la vita.
-Ehi tu, mi chiese un giorno, che cosa fai durante il giorno, quando non sei impegnato con la scuola o qui in sezione?
-Presidente, che vuoi che faccia? Non faccio nulla d’importante. Le uniche ore libere al pomeriggio le passo con mio cugino Franco. Con lui vado a caccia di lucertole e di uccelli. Lui è molto bravo con la fionda: è capace di colpire un passero a 100 metri di distanza, e anche io me la cavo.
-Ma, invece di andare a caccia, perché non ti impegni in qualcosa di più serio?
-Per esempio?
-Beh, potresti fare una collezione di francobolli, tanto per cominciare.
-Ma a casa mia non è che arrivino tante lettere. Giusto, ogni tanto, qualche lettera dai parenti dell’America.
Mi rimase in testa una specie di fruscio per quella collezione. Certo, non avevo idee precise su dove e come procurarmi dei francobolli interessanti, che non fossero quelli, comunissimi e conosciutissimi, attaccati alle solite lettere di corrispondenza ordinaria. Ma, intanto, si poteva tentare, vedere, cercare un po’. Chissà, poteva venirne qualcosa di utile e di interessante, tanto più che si diceva in giro che con i francobolli si poteva diventare pure ricchi, anche se io non mi ci vedevo proprio a diventare ricco in quel modo.
        Un giorno, mentre rimuginavo su quella benedetta collezione di francobolli, mi venne in mente che, grazie alla mia amicizia con Guglielmo, il primogenito di don Antonio, mi capitava spesso di frequentare il palazzo dei baroni Drammis. Ci andavo spesso, specie nei pomeriggi d’estate, a bighellonare, a giocare, a rovistare, perché tutto, in quel palazzo, suscitava la mia curiosità e la mia voglia di conoscere. Beh, in quel palazzo certamente avrei potuto trovare materiale interessante per la mia collezione.
Incominciai ad andarci più spesso, cercando di evitare lo sguardo perennemente serio e pensieroso del padre don Antonio, mentre mi faceva piacere imbattermi nel volto sorridente e aperto della madre donna Angelina. Poi con Guglielmo mi avviavo nel salone centrale, ampio e luminoso, dove a volte era possibile trovare qualcuno dei numerosi fratelli minori, in particolare Salvatore, che cercavo di sfuggire perché lo trovavo incazzoso e poco incline a stabilire rapporti con coloro che probabilmente egli riteneva soltanto degli intrusi.
Un giorno, come tante altre volte, mi ritrovai nel salone con Guglielmo, mentre in casa sembrava non esserci nessun altro. Provammo a strimpellare i tasti di un pianoforte, chiaramente bisognoso di qualche riparazione, ma lo avevamo già fatto altre volte e la cosa non ci allettava più di tanto. Poi ci affacciammo al balcone che dava sull’attuale piazza San Francesco, poi rientrammo e Guglielmo volle farmi vedere alcuni vecchi fucili. Aprì una rastrelliera, dove erano appesi alcuni archibugi di un tipo che io non avevo mai visto e ne afferrammo anche uno, mettendoci a simulare una fucilazione e premendo più volte il grilletto. Non erano carichi quei vecchi e polverosi archibugi, ma, se anche lo fossero stati, non so fino a che punto avrebbero potuto ammazzare qualcuno, nelle condizioni in cui si trovavano.
A quel punto Guglielmo si accorse che aveva una necessità impellente. –Mi assento un pochino, mi disse, penso di fare subito.
-Ma non avere fretta, fai con comodo; io non mi annoio di certo a rimanere solo. Con tutte le cose che ci sono da scoprire qui.
-Va bene, ma non combinare guai.
-Stai tranquillo! Vai, vai pure.
Rimasto completamente solo, mi guardai attorno e rimasi colpito da una grande vetrina in fondo con molti sportelli ed un’ampia scrivania, sul davanti, con un numero incredibile di cassetti e cassettini. Mi avvicinai con precauzione e cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiai la mano su un pomello e delicatamente aprii uno sportello con i vetri affumicati. Mi si parò davanti agli occhi uno spettacolo incredibile: una montagna di carte, di documenti, di lettere di ogni tipo era distesa davanti a me. Afferrai a caso una busta e vidi che sul francobollo era raffigurato il volto inconfondibile di Vittorio Emanuele II, con i lunghi e arrotolati mustacchi: roba di almeno cento anni prima.
Forse avevo risolto il problema della mia collezione di francobolli: si trattava solo di convincere Guglielmo a lasciarmi fare quello che intendevo fare in un piano di azione fulmineamente elaborato.
Al suo ritorno Guglielmo mi trovò ancora imbambolato davanti alla vetrina.
-Ma che stai facendo lì? Ci sono solo carte vecchie dietro quegli sportelli.
-Saranno pure carte vecchie, ma ho dato pure uno sguardo e mi interessano molto. Anzi, sai che ti dico? Ho visto che ci sono molte lettere con dei francobolli. Ti dispiace se ne prendo qualcuno? Magari non oggi, che è già tardi. Verrò nei prossimi giorni, a ritagliarli con calma, per evitare di danneggiare le buste.
-Certo che puoi prenderli, li puoi prendere pure tutti. Ma che te ne fai? E’ tutta roba vecchia. E poi i francobolli sono pure timbrati, non è che li puoi usare un’altra volta.
- Guglie’, faccio collezione di francobolli: è una moda nuova e mi piace molto.
-Fa’ come vuoi. Sono tutti tuoi.
        Era fatta, ormai, e d'altra parte non avevo dubbi sulla generosità di Guglielmo. Nei giorni seguenti aumentai sensibilmente il numero delle mie visite al palazzo dei baroni Drammis. Portavo in tasca un paio di  forbici, andavo diritto e senza perdere tempo alla vetrina e alla scrivania e con calma prendevo le lettere ad una ad una, ritagliavo il francobollo con parte della busta sottostante e conservavo il tutto in una cartellina che mi ero portato appresso. Spesso Guglielmo mi aiutava nel lavoro ed arrivava anche a darmi qualche suggerimento, pur non tralasciando di sfottermi per quella strana mania, che mi era presa, di raccogliere francobolli vecchi.
Posso dire con certezza che tutte le lettere dell’antico palazzo Drammis furono raccolte, esaminate, ritagliate ed infine rimesse al loro posto senza i preziosi francobolli. Solo un giorno, uno degli ultimi giorni, per la fretta, anziché ritagliare il francobollo, portai via una lettera intera con l’intenzione di completare il lavoro, con calma, a casa mia.
 Tutti quei francobolli, una volta portati a casa, furono poi manipolati e qualche volta danneggiati dalle mie mani inesperte. I francobolli venivano da me immessi in una bacinella d’acqua, per essere staccati più facilmente dalla busta sottostante, e poi messi ad asciugare. Spesso, nell’asciugarsi, diventavano duri e legnosi e maggiormente soggetti a strappi e danneggiamenti vari. Infine preparavo la colla, l’unica che allora si conoscesse, quella formata da acqua e farina di grano. Mescolavo a lungo l’impasto per renderlo più omogeneo, ne spargevo un po’ sul retro di ogni francobollo ed infine attaccavo il tutto su un quadernone delle dimensioni di un registro. Inutile dire che con tutta quella colla il quadernone finì col pesare quanto un dizionario, e forse anche qualcosa di più.
Ma a me quella collezione, grezza, pesante e ruvida, sembrò comunque bellissima. La prendevo spesso, la sfogliavo, mi estasiavo soprattutto davanti ai volti conosciuti degli eroi del Risorgimento: Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour diventarono per me dei volti familiari e qualche volta mi ritrovai a sfiorarli con le dita, ad accarezzarli perfino.
Un giorno mi venne curiosità di leggere anche il contenuto di quella lettera, che in uno degli ultimi giorni avevo portato a casa mia e che, per una serie di strane e fortuite circostanze, a distanza di tanti anni ancora possiedo e qualche volta vado a riprendere e a rileggere con piacere. Ne riporto qui di seguito il contenuto, senza cambiare neppure una virgola.
Parte II
Regno d’Italia
Governo Italiano
Il ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi
Al Signor Barone Salvatore Drammis - Scandale

D’intesa con Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio Onorevole Marco Minghetti, risulta grato e piacevole porgere alla Signoria Vostra a nome del governo tutto e mio personale le congratulazioni vivissime e ferventissime per l’esito dei fatti d’arme dell’11 aprile 1863.
In pari data, in contrada Galloppà di Scandale, il brigante Pietro Monaco, alias Bruttacera, osò assaltare la sua residenza e le sue proprietà. La S.V. fugò la masnada assassina con sommo sprezzo del pericolo e con minime perdite.
Il fatto è indice sicuro del suo amor di Patria e della sua intatta devozione a codesto Governo e alla Maestà del Re Vittorio Emanuele II.
Si coglie la fortunata occasione per far sapere con vivissimo e ferventissimo piacere che codesto Ministero ha gìà avviato opportuna pratica allo scopo di conferire onorificenze ufficiali e compensi materiali per coloro che si distinsero nella circostanza.
Roma, addì 15 giugno 1863
                                                     Il ministro dell’Interno
                                                         Ubaldino Peruzzi

Intanto la mia collezione di francobolli cresceva, con altri ritrovamenti occasionali, anche se meno pregiati, ed io riuscii ad alimentare la mia passione per qualche mese ancora, forse per un anno. Nel frattempo avevo bisogno di farmi bello con qualcuno e ne misi a parte una ragazzina mia vicina di casa, che informò il fratello, il quale a sua volta informò gli amici, finché la cosa non divenne di dominio pubblico e tante persone incominciarono a farmi domande. Poi incominciai ad annoiarmi un pochino e la collezione finì coll’essere posta in un cantuccio e con l’essere dimenticata ed abbandonata.
La dimenticai io, ma non la dimenticarono i miei amici e compagni di scuola, i quali spesso mi avevano chiesto della collezione e che, anzi, finirono con il ricordarsene, a mio danno, in una circostanza particolare.
Scandale era allora tutto sommato un piccolo paese, con circa duemila abitanti, ma questo non impediva agli scarsi abitanti di alimentare un fiero campanilismo rionale, che era avvertito soprattutto tra i ragazzi. I rioni principali del paese erano tre, il Chiano, la Piazza, la Colla, ed in tutti e tre si erano formate piccole bande di ragazzi, che avvertivano fieramente il senso dell’appartenenza e che erano disposti a qualunque cosa pur di difendere il loro territorio. Queste bande nascevano e si sviluppavano quasi naturalmente, conoscevano un periodo di effervescenza nel periodo dei fuochi (“luminari” li chiamavamo) di San Giuseppe, quando giorno e notte erano impegnate nel difendere o nel cercare di rubare agli altri la legna da ardere, poi languivano lentamente fino a scomparire, per riemergere improvvisamente nei momenti più impensati.
Ogni banda aveva un capo, che non veniva eletto per votazione, ma veniva scelto automaticamente per il coraggio dimostrato, per la stazza fisica e per qualche impresa precedente. Il capo della banda del Chiano era per tradizione Salvatore Drammis, il fratello minore di Guglielmo, coraggioso fino all’incredibile e disposto a difendere il suo territorio a qualunque costo. Nella banda della Piazza primeggiava Giovanni Cizza, ben piazzato fisicamente e disposto a menar le mani in ogni circostanza. Nella banda della Colla, la mia, il ruolo di capo era appannaggio, a seconda dei periodi, ora di Mario Cirillo, ora di Franco Scalise. Ne facevano parte anche Francesco Garieri, Vittorio Simbari, Francesco Esposito, posizionato quasi sempre nelle retrovie ed ai rifornimenti, e tanti altri di cui a tanta distanza di tempo ricordo bene i volti, ma ricordo con difficoltà i nomi. C’ero pure io, il più piccolo di tutti, sia fisicamente sia per età, che davo alla meglio il mio contributo, ma ogni tanto avevo necessità di ricorrere all’aiuto degli altri, che dovevano pensare a difendere me, invece di pensare a se stessi o di pensare ad attaccare i “nemici”.
Inutile dire che, in queste condizioni, diventava difficile anche attraversare il paese e capitava spesso che, per non attraversare il territorio controllato dalle altre bande, si fosse costretti a cambiare percorso.
Un giorno, a causa di un temporale improvviso e violento, uscii da scuola un po’ più tardi del solito. Frequentavo la quinta elementare e l’aula era ubicata nella zona Pietà, al confine quasi tra il rione Colla ed il rione Piazza, per cui, per ritornare a casa, ero costretto ad attraversare un tratto di competenza della banda del rione Piazza. Ero contento quel giorno per un bel voto riportato in un compito di grammatica, ma per altri versi mi sentivo un po’ in ansia, perché nel tratto di confine temevo di fare qualche brutto incontro. Era finito di piovere ormai e, una volta messa la testa fuori dall’aula, avevo per prima cosa dato uno sguardo a destra ed a sinistra: sembrava non ci fossero presenze sospette e la strada appariva sgombra.
Mi affrettai il più possibile, quasi mi misi a correre, con la cartella dei libri che oscillava  violentemente da una parte all’altra, quando improvvisamente, sbucando da una viuzza laterale, mi si pararono davanti Giovanni Cizza ed un suo sodale, che io non conoscevo molto bene, ma che sapevo chiamarsi Giuseppe Lucà.
-Dove vai così di fretta?, mi chiese Giovanni
-Dove vuoi che vada? Vado a casa, risposi.
-Ma se arrivi con un po’ di ritardo, non è la fine del mondo. Fermati un pochino!
- Ma come fermarmi? A casa mi aspettano. Lasciatemi perdere.
-Ah, ma il ragazzino dimostra di non capire, intervenne il Lucà.
-Vedi, riprese Giovanni, il mio amico Giuseppe è sempre un po’ nervoso e perde facilmente la pazienza. Non so se ti conviene non dargli ascolto. Io ti consiglio di fermarti un pochino.
-Ma insomma che volete?, dissi quasi gridando, nella speranza di attirare l’attenzione di qualche passante, anche se inutilmente, perché a quell’ora e con quel freddo la strada era completamente deserta.
-Beh, veramente è il mio amico che da te vuole soltanto una cosa, una cosa da nulla. Insomma, vuole la tua collezione di francobolli e gliela devi dare anche presto, anzi subito. Vai a casa, la prendi e la porti qua.
-Ma siete impazziti? La collezione è mia e ci ho lavorato per mesi!
-Vedi?, riprese Giuseppe Lucà, il ragazzino continua a non capire. Te lo avevo detto io che è duro di comprendonio.
E, dopo queste ultime parole, i due mi afferrarono per le braccia e mi trascinarono nella traversa da cui erano sbucati. Il Lucà tirò fuori un forbicione.
-La vedi ‘sta forbice?, disse. Se non vai subito a prendere la collezione, a questa forbice resterà attaccato qualcosa di tuo.
E, nel dire questo, mi tagliò con violenza due bottoni della giacca.
-Incominciamo con i bottoni, disse, poi passiamo a qualche altra cosa.
Ero terrorizzato, tanto più che il Lucà continuava ad inveire, con la complicità di Giovanni , che ogni tanto si ricordava di darmi una strattonata.
-Anzi, riprese il Lucà, invece di tagliargli tutti i bottoni, potremmo levargli tutto quello che ha addosso e mandarlo a casa nudo. Così con questo freddo si prende pure una bella bronchite. Ma, per convincerlo, possiamo anche non arrivare a tanto ed essere buoni. Lui ci lascia la cartella dei libri, va a casa, prende la collezione, ce la porta, noi gli restituiamo la cartella e non è successo niente. Amici come prima, anzi più di prima, sempre ammesso che lui non parla e la cosa resta tra di noi.
Ero solo contro due che mi sovrastavano in ogni senso e capii che non avevo scampo. Dovevo uscire da quella situazione.
-E va bene, dissi. Vi lascio la cartella e vado a prendervi la collezione.
Arrivato a casa, vidi che i miei erano già a tavola. Mia madre arrivò a sgridarmi per il ritardo, pensando che mi fossi fermato, come altre volte, a giocare per strada. Non diedi ascolto a nessuno, corsi a tirar fuori la collezione e, senza neppure troppi rimpianti, feci la strada a ritroso e la consegnai a quei due, ricevendo in cambio la cartella che avevo lasciato come pegno. Avevo l’impressione che della collezione non mi importasse poi più di tanto e, nel momento di consegnarla, avvertii quasi un senso di liberazione.
Oggi, a distanza di tanti anni, non so che fine abbia fatto la collezione, anzi non so nemmeno se esiste ancora quella collezione. Ovviamente non c’è più quell’obbligo del silenzio al quale mi ero impegnato al momento dello scambio ed il fatto di aver raccontato quelle lontane vicende mi provoca non un senso di liberazione, come allora, ma un sentimento di amarezza e talvolta un sorriso. Mi è già capitato altre volte e continua a capitarmi qualche volta di riandare col pensiero a quelle vicende e a quella collezione e non nascondo che, fatta salva l’ingenuità e l’inesperienza della mia fanciullezza, penso che mi sarebbe ancora piaciuto tenerla ancora tra le mani, sfogliarla ed accarezzare i volti dei personaggi, degli eroi raffigurati sui francobolli. Come allora, come sessanta anni fa.  
Ezio Scaramuzzino

N.B. Il racconto pubblicato in data odierna contiene sia la parte I, sia la parte II. Ho preferito tale soluzione per rendere più comprensibile il racconto a coloro che non avessero letto la parte I.  


venerdì 26 maggio 2017

La collezione di francobolli, parte I (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino


Nel 1960 fu girato a Scandale il film Il brigante e molte scene ebbero come sfondo gli interni e gli esterni del palazzo dei baroni Drammis. Ho letto da qualche parte che in tali circostanze ebbe inizio la spoliazione del palazzo, perché furono saccheggiati molti reperti e, addirittura, il regista Renato Castellani trafugò due ritratti ottocenteschi di Giuseppe Garibaldi e di Vittorio Emanuele II, di cui si impossessò senza avvertire mai più l’esigenza di restituirli ai legittimi proprietari. Sarà così, non dico di no, ma, arrivato a tal punto della mia vita, ora che ho la spiacevole seccatura di avere qualche annetto di troppo, avverto l’esigenza di confessare che in realtà la spoliazione era incominciata già in precedenza, ad opera di chi scrive, e che, per capire come andarono le cose, bisogna fare un salto a ritroso, a circa dieci anni prima.
A me il gusto ed il piacere di collezionare qualcosa venne abbastanza presto, quando avevo non più di 8-9 anni. Erano gli anni 50 del secolo scorso e da qualche tempo frequentavo la sezione dell’Azione Cattolica di Scandale. A dire il vero andavo in sezione soprattutto perché lì c’era l’unico Calcio Balilla del paese e solo lì potevo dare sfogo alla mia insaziabile voglia di giocare e di divertirmi, talché, quando era l’ora di chiusura, interrompevo di mala voglia e non vedevo l’ora che arrivasse l’orario di apertura del giorno successivo.       All’ Azione Cattolica ci si divertiva molto allora, sotto l’amorevole guida di Gino Scalise,  “il Presidente” lo chiamavamo, il quale però, tra un divertimento e l’altro, non tralasciava di insegnarci i fondamenti della religione e soprattutto non tralasciava di trasmetterci alcuni interessi e comportamenti utili per la vita.
-Ehi tu, mi chiese un giorno, che cosa fai durante il giorno, quando non sei impegnato con la scuola o qui in sezione?
-Presidente, che vuoi che faccia? Non faccio nulla d’importante. Le uniche ore libere al pomeriggio le passo con mio cugino Franco. Con lui vado a caccia di lucertole e di uccelli. Lui è molto bravo con la fionda: è capace di colpire un passero a 100 metri di distanza, e anche io me la cavo.
-Ma, invece di andare a caccia, perché non ti impegni in qualcosa di più serio?
-Per esempio?
-Beh, potresti fare una collezione di francobolli, tanto per cominciare.
-Ma a casa mia non è che arrivino tante lettere. Giusto, ogni tanto, qualche lettera dai parenti dell’America.
Mi rimase in testa una specie di fruscio per quella collezione. Certo, non avevo idee precise su dove e come procurarmi dei francobolli interessanti, che non fossero quelli, comunissimi e conosciutissimi, attaccati alle solite lettere di corrispondenza ordinaria. Ma, intanto, si poteva tentare, vedere, cercare un po’. Chissà, poteva venirne qualcosa di utile e di interessante, tanto più che si diceva in giro che con i francobolli si poteva diventare pure ricchi, anche se io non mi ci vedevo proprio a diventare ricco in quel modo.
        Un giorno, mentre rimuginavo su quella benedetta collezione di francobolli, mi venne in mente che, grazie alla mia amicizia con Guglielmo, il primogenito di don Antonio, mi capitava spesso di frequentare il palazzo dei baroni Drammis. Ci andavo spesso, specie nei pomeriggi d’estate, a bighellonare, a giocare, a rovistare, perché tutto, in quel palazzo, suscitava la mia curiosità e la mia voglia di conoscere. Beh, in quel palazzo certamente avrei potuto trovare materiale interessante per la mia collezione.
Incominciai ad andarci più spesso, cercando di evitare lo sguardo perennemente serio e pensieroso del padre don Antonio, mentre mi faceva piacere imbattermi nel volto sorridente e aperto della madre donna Angelina. Poi con Guglielmo mi avviavo nel salone centrale, ampio e luminoso, dove a volte era possibile trovare qualcuno dei numerosi fratelli minori, in particolare Salvatore, che cercavo di sfuggire perché lo trovavo incazzoso e poco incline a stabilire rapporti con coloro che probabilmente egli riteneva soltanto degli intrusi.
Un pomeriggio, come tante altre volte, mi ritrovai nel salone con Guglielmo, mentre in casa sembrava non esserci nessun altro. Provammo a strimpellare i tasti di un pianoforte, chiaramente bisognoso di qualche riparazione, ma lo avevamo già fatto altre volte e la cosa non ci allettava più di tanto. Poi ci affacciammo al balcone che dava sull’attuale piazza San Francesco, poi rientrammo e Guglielmo volle farmi vedere alcuni vecchi fucili. Aprì una rastrelliera, dove erano appesi alcuni archibugi di un tipo che io non avevo mai visto e ne afferrammo anche uno, mettendoci a simulare una fucilazione e premendo più volte il grilletto. Non erano carichi quei vecchi e polverosi archibugi, ma, se anche lo fossero stati, non so fino a che punto avrebbero potuto ammazzare qualcuno, nelle condizioni in cui si trovavano.
A quel punto Guglielmo si accorse che aveva una necessità impellente.   –Mi assento un pochino, mi disse, penso di fare subito.
-Ma non avere fretta, fai con comodo; io non mi annoio di certo a rimanere solo. Con tutte le cose che ci sono da scoprire qui.
-Va bene, ma non combinare guai.
-Stai tranquillo! Vai, vai pure.
Rimasto completamente solo, mi guardai attorno e rimasi colpito da una grande vetrina in fondo con molti sportelli ed un’ampia scrivania, sul davanti, con un numero incredibile di cassetti e cassettini. Mi avvicinai con precauzione e cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiai la mano su un pomello e delicatamente aprii uno sportello con i vetri affumicati. Mi si parò davanti agli occhi uno spettacolo incredibile: una montagna di carte, di documenti, di lettere di ogni tipo era distesa davanti a me. Afferrai a caso una busta e vidi che sul francobollo era raffigurato il volto inconfondibile di Vittorio Emanuele II, con i lunghi e arrotolati mustacchi: roba di almeno cento anni prima.
Forse avevo risolto il problema della mia collezione di francobolli: si trattava solo di convincere Guglielmo a lasciarmi fare quello che intendevo fare in un piano di azione fulmineamente elaborato.
Al suo ritorno Guglielmo mi trovò ancora imbambolato davanti alla vetrina.
-Ma che stai facendo lì? Ci sono solo carte vecchie dietro quegli sportelli.
-Saranno pure carte vecchie, ma ho dato pure uno sguardo e mi interessano molto. Anzi, sai che ti dico? Ho visto che ci sono molte lettere con dei francobolli. Ti dispiace se ne prendo qualcuno? Magari non oggi, che è già tardi. Verrò nei prossimi giorni, a ritagliarli con calma, per evitare di danneggiare le buste.
-Certo che puoi prenderli, li puoi prendere pure tutti. Ma che te ne fai? E’ tutta roba vecchia. E poi i francobolli sono pure timbrati, non è che li puoi usare un’altra volta.
- Guglie’, faccio collezione di francobolli: è una moda nuova e mi piace molto.
-Fa’ come vuoi. Sono tutti tuoi.
        Era fatta, ormai, e d'altra parte non avevo dubbi sulla generosità di Guglielmo. Nei giorni seguenti aumentai sensibilmente il numero delle mie visite al palazzo. Portavo in tasca un paio di  forbici, andavo diritto e senza perdere tempo alla vetrina e alla scrivania e con calma prendevo le lettere ad una ad una, ritagliavo il francobollo con parte della busta sottostante e conservavo il tutto in una cartellina che mi ero portato appresso. Spesso Guglielmo mi aiutava nel lavoro ed arrivava anche a darmi qualche suggerimento, pur non tralasciando di sfottermi per quella strana mania, che mi era presa, di raccogliere francobolli vecchi.
Posso dire con certezza che tutte le lettere dell’antico palazzo Drammis furono raccolte, esaminate, ritagliate ed infine rimesse al loro posto senza i preziosi francobolli. Solo un giorno, uno degli ultimi giorni, per la fretta, anziché ritagliare il francobollo, portai via una lettera intera con l’intenzione di completare il lavoro, con calma, a casa mia.
 Tutti quei francobolli, una volta portati a casa, furono poi manipolati e qualche volta danneggiati dalle mie mani inesperte. I francobolli venivano da me immessi in una bacinella d’acqua, per essere staccati più facilmente dalla busta sottostante, e poi messi ad asciugare. Spesso, nell’asciugarsi, diventavano duri e legnosi e maggiormente soggetti a strappi e danneggiamenti vari. Infine preparavo la colla, l’unica che allora si conoscesse, quella formata da acqua e farina di grano. Mescolavo a lungo l’impasto per renderlo più omogeneo, ne spargevo un po’ sul retro di ogni francobollo ed infine attaccavo il tutto su un quadernone delle dimensioni di un registro. Inutile dire che con tutta quella colla il quadernone finì col pesare quanto un dizionario, e forse anche qualcosa di più.
Ma a me quella collezione, grezza, pesante e ruvida, sembrò comunque bellissima. La prendevo spesso, la sfogliavo, mi estasiavo soprattutto davanti ai volti conosciuti degli eroi del Risorgimento: Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour diventarono per me dei volti familiari e qualche volta mi ritrovai a sfiorarli con le dita, ad accarezzarli perfino.
Un giorno mi venne curiosità di leggere anche il contenuto di quella lettera, che in uno degli ultimi giorni avevo portato a casa mia e che, per una serie di strane e fortuite circostanze, a distanza di tanti anni ancora possiedo e qualche volta vado a riprendere e a rileggere con piacere. Ne riporto qui di seguito il contenuto, senza cambiare neppure una virgola.
Regno d’Italia
Governo Italiano
Il ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi
Al Signor Barone Salvatore Drammis - Scandale
(Continua)
N.B. Il racconto, per la sua lunghezza, viene pubblicato in due parti. La seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni.
Ezio Scaramuzzino


mercoledì 24 maggio 2017

La Domenica (poesia inedita) di Alfredo Giglio


Come falena che s’innalza
Tra le stelle lieve
Così fa l’anima leggera
All’imbrunir di sera,
S’il giorno che già cede
Annuncia quella pace,
Che l’uomo affaticato
A Dio più deve.
L’alba silente vede
Il borgo addormentato,
Mentre ch’il sol saluta
I  sogni dileguati.
Poi  segue dolcemente
La fine degli affanni
Dei giorni appena andati.
Cessa nella mente
L’ansia dei pensieri usati
Per come spesso accade
Nei dì più tribolati.
Serenità  pervade
Il cor sempre dolente
E lieta  rende l’alma,
E par ch’il mondo
Ognor si sia fermato.
Tale è la domenica
Che  calma regala
A questa umanità,
Sempre più famelica
Di quiete  e di bontà.

Alfredo Giglio


sabato 20 maggio 2017

Postfazione



Mi consento un po’ di autopubblicità.
Per i miei 25 lettori: Per coloro che dovessero essere interessati, il mio libro Violetta spensierata ed altri racconti, normalmente reperibile  su Internet,  da oggi è acquistabile anche a Crotone, presso l’edicola sita in viale Gramsci 138 (30 metri prima di casa mia, per intenderci). Le copie a disposizione sono in numero limitato.
Ne riporto la postfazione:
L’autore al lettore:
Se sei arrivato alla fine dell’opera, ti ringrazio. Se non ci sei arrivato, vuol dire che il libro non ti è piaciuto, ma ti ringrazio lo stesso e ti ricordo che in ogni caso conveniva procurarsi questo libro per varie ragioni:
1-Se sei tra coloro che l’hanno ricevuto gratis, nessun problema, ma, se sei tra coloro che lo hanno acquistato, nella peggiore delle ipotesi avrai buttato via solo 12 €, prezzo modico che ho fortemente voluto. A richiesta, comunque, è previsto il rimborso.
2- Puoi sempre rifilarlo a qualcun altro, magari al tuo peggior nemico. Vuoi mettere la soddisfazione!
3-Il libro, per il suo formato e per la sua copertina, si adatta a qualunque ambiente e a qualunque scaffale. Potrai quindi riempirci uno spazio vuoto.
4-Il libro, grazie al suo volume medio, può essere usato come base per la gamba di un tavolino che traballa. L’ho già provato in tal senso e funziona benissimo.
Ciao. A presto.
Ezio Scaramuzzino





venerdì 12 maggio 2017

Evasione ed elusione

E' tempo di dichiarazione dei redditi e ritengo che sia nota la differenza tra l’evasore fiscale e l’elusore fiscale. Evasore è chi evade le tasse, commettendo un reato, perché pagare le tasse dovute, purtroppo, è un obbligo. Né rileva il fatto che le tasse siano troppe ed elevate, perché le tasse, se ci sono, vanno pagate. Diverso invece è il caso dell’elusore, il quale si avvale di ogni mezzo, previsto dalla legge, per pagarne il meno possibile di tasse, non commettendo quindi nessun reato. E’ vero che nel nostro Paese spesso si fa confusione tra le due posizioni, confondendo l’evasore con l’elusore, ma spesso tale confusione è favorita dallo stesso legislatore, il quale non sempre distingue bene tra le due posizioni. Fino a qualche anno fa esisteva un illecito fiscale (non so se esiste ancora) che prevedeva una sorta di eccesso colposo di legittima difesa da parte del contribuente. Era come se il fisco ti dicesse: “Tu puoi avvalerti di ogni norma che ti consenta di pagare meno tasse, ma, se esageri, commetti un illecito”. Classico discorso a pera, come ognuno può vedere, buono solo ad aumentare la fiducia reciproca tra fisco e contribuente, perché è ovvio che un’azione o è sempre lecita, o è sempre illecita. Mi viene in mente quella mamma che, per giustificare le marachelle della figlia non sposata, diceva che era vero che la figlia era incinta, ma solo un pochino.
Personalmente ho sempre pagato le tasse e non ho mai avuto problemi con il fisco. Ma per questo non mi considero un eroe, né mi va di fare prediche a coloro che non le pagano o cercano di pagarne il meno possibile. Ho sempre pagato il dovuto perché fondamentalmente non mi va di complicarmi inutilmente la vita con contenziosi costosi e defatiganti, non perché fossi intimamente convinto della giustezza e della bontà implicite nel pagamento delle tasse. In altri termini, diversamente dall’ex Ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, di recente passato a miglior vita, il quale sosteneva che le tasse sono bellissime, io penso che non soltanto non siano bellissime, ma, per come nel nostro Paese esse sono diventate asfissianti, complicate ed eccessive, già da gran tempo esse abbiano superato ogni limite dell’umana decenza e siano diventate vergognose e del tutto indecenti.
Sento già l’obiezione del cittadino virtuoso: “Ma, se tutti paghiamo le tasse, alla fine ognuno di noi pagherà di meno e quindi è anche nostro interesse che tutti le paghino”. Pia illusione, alla quale è facile rispondere. Forse mai, come negli ultimi anni, l’evasione fiscale è stata duramente combattuta con notevoli incrementi delle entrate, eppure le tasse continuano inesorabilmente a crescere ed il debito pubblico passa da un record all’altro. Dal che si deduce che il vero problema non è quello dell’evasione fiscale, pur notevole, ma quello della mancata riduzione delle spese, per cui sono più che convinto che, se per ipotesi l’evasione fiscale fosse azzerata, non per questo le tasse diminuirebbero. E allora il vero fine da perseguire non è quello di eliminare l’evasione o l’elusione fiscale, ma quello di affamare la bestia insaziabile che si nutre dei soldi e, verrebbe da dire, ”del sangue” dei cittadini. Perché una cosa è ormai chiara: la macchina dello stato, più soldi ha più vorrebbe averne, più soldi ha più ne spende. E allora bisognerebbe porre un aut aut a questa macchina, metterla con le spalle al muro e dirle: “O ti decidi a dimagrire, o muori, prima che tu faccia morire gli altri”.
D’altra parte, perché ti venga voglia di incazzarti, è sufficiente anche mettersi a riflettere un po’. A che cosa servono i soldi delle nostre tasse? Servono a tante cose, certo, ma, solo per fare qualche esempio e non in ordine di importanza, servono anche a
-pagare i milioni di stipendio a Fabio Fazio;
-pagare i venti uomini della scorta di Laura Boldrini;
-pagare i vitalizi a tutti i parassiti che infestano la scena politica;
-pagare le spese del Quirinale, la residenza del Capo dello stato più costosa al
 mondo dopo il Sultanato del Brunei;
-pagare le ONG e le COOP che si arricchiscono con il mercato degli immigrati clandestini.
Volevo continuare, ma a me è già venuta la nausea e, per evitare di farla venire anche ai miei 25 lettori, mi fermo qui. Volevo solo aggiungere un’ultima considerazione. Quando penso a tutto questo scialo e poi penso alle tasse che paghiamo, altro che elusione…Tante volte viene la tentazione di evaderle le tasse, per vedere di affamare la bestia. Altro che… 
Ezio Scaramuzzino 

venerdì 5 maggio 2017

Viaggiare sicuri

Tra le tante piacevolezze di questo nostro Paese c’è anche quella relativa alla circolazione stradale e alle sanzioni in caso di violazione delle norme. L’ideale sarebbe quello di non prendere mai l’auto, ma, siccome l’Italia, pur non essendo vasta quanto la Cina, ha comunque una superficie di 300 mila kmq, tante volte, purtroppo, prendere l’auto è indispensabile. E qui comincia il bello. Se ti va bene, nell’arco di una decina di kilometri vai incontro a due autovelox fissi, un autovelox mobile, una ZTL (Zona a traffico limitato), un tratto con la velocità controllata dal sistema Tutor,  un tratto con la velocità controllata col sistema Vergilius, un paio di semafori controllati elettronicamente da videocamere. Aoh, sia ben chiaro, tutti questi controlli sono fatti a fin di bene, per la nostra incolumità, perché possiamo evitare di correre e di farci la bua con qualche incidente. E il fatto che le multe per violazione del codice stradale siano decuplicate nel corso di pochi anni e che molti comuni siano riusciti solo in tal modo a risolvere i loro problemi finanziari è del tutto irrilevante. Ho letto da qualche parte che il comune di Fiumicino, nel cui territorio ricade il famoso aeroporto, con un paio di autovelox piazzati in punti strategici ha risolto i suoi problemi e anzi è uno dei pochi comuni italiani con il bilancio perennemente in attivo. Cose che capitano, certo, ma che sono da considerare solo l’altra faccia di una medaglia comunque largamente positiva. Perché tutti questi controlli, operati certamente a fin di bene, qualche conseguenza negativa ce l’hanno, sia per le nostre tasche, sia per la nostra salute. Per le nostre tasche c’è un prelievo forzoso equiparabile ad una tassazione occulta, anche se comunque la sofferenza per tale prelievo è largamente compensata  dalla legittima  soddisfazione di poterci sentire quasi dei piccoli azionisti dei vari comuni che ci troviamo ad attraversare. Per la nostra salute poi c’è il vantaggio di un continuo esercizio del nostro equilibrio psico-fisico, esercizio che ci tempera, ci irrobustisce e ci rende sempre più capaci di affrontare le procelle della vita e di sfuggire ai pericoli della selezione naturale della specie. Anche se poi…, beh, non è tutto oro quel che riluce ed io un segreto voglio confessarlo, perché l’esercizio è utile, certo, ma io un aiutino me lo do lo stesso. Non ho difficoltà a dirlo: io, ogni volta che debbo fare un viaggetto un po’ più lungo del solito, mi porto dietro una compressa di Tavor e sto tranquillo.
E, già che ci sono, confesso pure un’altra cosa: a me l’idea di contribuire al risanamento dei bilanci comunali con le multe non va proprio giù, anzi mi fa proprio girare i cosiddetti. A parte le tasse che già paghiamo, se penso che con i nostri soldi dovremmo contribuire a finanziare gli sciali di tante amministrazioni comunali e anche  qualche sagra paesana, mi viene da dire che le sagre se le paghino pure quelli che le vogliono. E con questi intendimenti cerco di sfuggire alla persecuzioni e sto attento, facendo slalom ed acrobazie per evitare i trabocchetti. Perché ormai di questo si tratta: di una gara, di una sfida tra “loro” che ti vogliono fregare  e te che cerchi di non farti fregare. Certo, ogni tanto ti fregano, perché l’attenzione non è mai troppa, però, onestamente, io non mi posso lamentare più di tanto e posso dire di essere al minimo sindacale quanto a sanzioni. Al di sotto del minimo è quasi impossibile arrivare.
Ho viaggiato a lungo di recente: tra strade ed autostrade ho attraversato quasi l’Italia intera e ne ho viste di tutti i colori. In un tratto c’erano contemporaneamente un Tutor, un Autovelox fisso ed un semaforo sorvegliato elettronicamente, per lavori in corso. Mi chiedo: in caso di violazione quante multe si sarebbero dovute pagare? A quali enti? Con quali proporzioni? Bisogna portarsi anche la calcolatrice appresso ed impostare un algoritmo? Ho solo capito che bisogna essere perennemente vigili e che ci tocca sperare anche nella protezione di San Cristoforo, il santo protettore degli automobilisti. Perché senza la sua protezione, mi sa tanto che non si sfugge e che il salvataggio non dura. Dura minga…
Ezio Scaramuzzino