giovedì 28 febbraio 2019

E' arrivato Gentilino (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino




Quando a Scandale  si sentiva dire “E’ arrivato Gentilino”, ciò significava che per molti era il momento di comprare un paio di scarpe nuove.  Erano gli anni cinquanta del secolo scorso e anche io, allora bambino, ero colpito dal rapido propagarsi di questa notizia.
Gentilino Girotti era di Montegranaro nelle Marche e qualche anno prima, non si sa per quale strano incrocio di influenze astrali, aveva sposato una Scandalese, Rosina Militi, tra l’altro mia cugina, dalla quale aveva avuto un unico figlio, Vittorio. Gentilino era un piccolo imprenditore e produceva scarpe, che poi vendeva personalmente, andando in giro per l’Italia con il suo furgone e facendo sosta prevalentemente a Scandale, dove, con la sua mercanzia, faceva una spietata concorrenza ai calzolai del posto.
Con l’inizio della bella stagione, quasi ogni anno Gentilino riempiva il suo furgone e con moglie e figlio scendeva al paese. Appena arrivato, depositava la famiglia e faceva il giro dei parenti, degli amici, dei conoscenti. Dovunque era accolto bene, perché risultava simpatico ed interessante con il suo accento marchigiano, oltre che per la sua gentilezza (gentilezza-Gentilino, nomen omen) ed il suo carattere aperto e gioviale.
I miei personali rapporti con lui erano ridotti al minimo a causa della differenza d’ età, ma molto più intensi erano quelli con suo figlio Vittorio.
        Un anno, si era nel mese di giugno, me lo vidi piombare improvvisamente alle spalle. A causa della mia timidezza, alimentata per altro dalla selvatichezza della vita di paese,  quella improvvisa apparizione di un bambino dai modi cittadini mi provocò un certo imbarazzo.
-Come stai?, gli chiesi, senza abbracciarlo o tendergli la mano, come se non ci vedessimo da un paio di giorni, mentre non ci vedevamo da un anno.
-Bene, mi rispose affabilmente. Sai, sono stato promosso con tutti 8, aggiunse.
-Complimenti, replicai. E, anche se io avevo avuto tutti 9 e 10, evitai di dirglielo, forse per non guastargli la festa. -Vuoi venire con me a fare un giro?
-Sono pronto.
Lo condussi a fare un giro lungo i campi a caccia di lucertole , di grilli, di nidi di uccelli. Vittorio all’inizio dimostrava, come sempre, una certa ritrosia ad impegnarsi in quelle cacce, ma ben presto abbandonava ogni ritegno e dimostrava un accanimento ed un entusiasmo che sfociavano facilmente nella crudeltà.
Il giorno dopo mia madre mi condusse da Gentilino a provare delle scarpe.
Allora non era abituale l’acquisto di un paio di scarpe nuove, se prima quelle vecchie non erano ben consumate. Ricordo bene che molti bambini portavano scarpe rinforzate alla base con chiodi di ferro, “tacce” le chiamavamo noi, per allungarne la durata, con la conseguenza che, quando camminavano sul selciato o su un pavimento, provocavano un rumore che ricordava quello dei soldati in parata.
Quel giorno Gentilino mi fece provare qualche paio tra le poche adatte a me, ma nessuna scarpa mi andava bene o mi piaceva.
-Ah, ma tu sei abituato male. Zia, disse rivolgendosi a mia madre, hai un figlio incontentabile, fagli cambiare abitudini. A proposito, zia, ti porto delle rane in questi giorni; se me le cucini, ti ringrazio.
-Certo, quando vuoi, disse mia madre, strattonandomi e portandomi via.
Ora bisogna sapere che tra le tante stranezze di Gentilino, ce n’era una di cui tutti parlavano con un senso di meraviglia, per non dire altro. Ed  era che Gentilino era un ghiotto mangiatore di rane, sicché anche quell’anno, come tante altre volte, riunì la sua compagnia di giro per andare a caccia. Frequentatori abituali della compagnia erano mio cugino Giovanni Scaramuzzino, mio fratello Salvatore, Orlando Gentile alias Landuzzo, Giuseppe Ierardi alias Pepp’i Seppa, Vittorio Garofalo alias Cugino Cugì.
L’allegra compagnia girovagò per i campi, lungo stagni e polle d’acqua e la caccia fu abbondante, perché dalle nostre parti a nessuno passava per la mente di mangiare rane, che quindi si moltiplicavano con incredibile facilità e velocità. Il “prelibato” convito veniva preparato a turno in casa di uno dei commensali e quella volta fu preparato a casa mia.
Ricordo ancora, come fosse oggi, mia madre che cucinava le rane in vari modi, per lo più fritte. C’era tanta altra roba ovviamente, perché le rane le mangiava quasi solo Gentilino e gli altri facevano solo finta di mangiarne qualcuna che in realtà, forse, finiva poi nella spazzatura. Il vino scorreva in abbondanza e ben presto alimentava lo spirito brioso della compagnia. Allora Gentilino si metteva immancabilmente a cantare le canzoni e le filastrocche di Scandale, ma le cantava in modo buffo, in uno strano accento calabro-marchigiano, che alimentava ancora di più l’ilarità di tutti. Ne cantava soprattutto una:
“ E d’ammianzu sta casa penda nu zippunu, ohi nu zippunu,
e d’aru ziu Cicciu cu via nu barunu e sona e sona-la.
E d’ammianzu sta casa penda na pettinissa, ohi na pettinissa,
e d’ara za ‘Ntonetta, ca via na barunissa e sona e sona-la.
(E in mezzo a questa casa pende un ceppo,
che io possa vedere zio Ciccio (padrone di casa) come un barone.
E in mezzo a questa casa pende un pettine femminile,
che io possa vedere zia Antonietta (padrona di casa) come una baronessa).
 Sul tardi, quando il convito finiva, tutti rientravano a casa più o meno barcollanti. Sembrava bella la vita allora e tutti si auguravano che questa bellezza del vivere non dovesse mai vedere la fine.
Ma lo spirito ridanciano della compagnia non si limitava solo a questo, perché ogni tanto qualcuno escogitava qualche burla, tanto per fare qualcosa, tanto per cambiare, tanto per non annoiarsi.
Ed una strana idea venne in mente a Pepp’i Seppa. Peppe era un temibile giocatore di poker, nel  quale riusciva a spennare quasi tutti, ma nella sua fredda determinazione era anche un po’ perfido e rancoroso perché si sentiva perseguitato a causa di una menomazione ad un braccio. Per questo motivo, quando subiva qualche sgarbo, subito si adombrava e, pur facendo finta di niente, era sempre incline a vendicarsi, anche a distanza di tempo.
E Peppe l’anno prima uno sgarbo l’aveva subito proprio da Gentilino, il quale un giorno gli aveva quasi ficcato in bocca una mezza rana, provocandogli dei conati di vomito che avevano suscitato le risate e gli sghignazzi dell’intera compagnia.
Senza dir niente agli altri, Peppe pensò bene di procurarsi un pezzo di formaggio Gorgonzola, allora del tutto sconosciuto dalle nostre parti. Si recò a Crotone per procurarselo e riuscì a trovarne un tipo particolarmente puzzolente, che era pure scaduto da un bel po’ e che quindi alla sua puzza normale aggiungeva quella derivante dal fatto che era andato completamente a male, fino a diventare un ammasso maleodorante che avrebbe abbattuto perfino un toro.
Peppe lo sigillò ben bene in una busta e, una volta ritornato al paese, aspettò il momento opportuno per attuare il suo piano. Il giorno dopo, era un sabato sera e per la domenica l’allegra brigata aveva programmato un’escursione in Sila, approfittò del fatto che il furgone di Gentilino era rimasto incustodito e vi si intrufolò furtivamente.
I veicoli del tempo incominciavano ad essere dotati di rudimentali condizionatori d’aria, consistenti in un semplice tubo che funzionava da presa d’aria, provocandone quindi  il ricambio all’interno dell’abitacolo. Peppe aprì il boccaglio di plastica che  normalmente lo tappava, vi introdusse facilmente il Gorgonzola in gran quantità e poi lo richiuse, badando che il formaggio non fosse visibile ad occhio nudo. Nessuno lo aveva visto e nessuno si accorse di niente.
Il giorno dopo, mentre il furgone affrontava i primi tornanti verso San Mauro Marchesato, Peppe incominciò a lamentarsi del gran caldo.
Peppe:- Mamma, che caldo!
Landuzzo:- Davvero. Proprio non si sopporta.
Giovanni:- Gentlilì’, ed apri ‘sto benedetto condizionatore. Ce l’hai; usalo!.
Gentilino, che in genere preferiva aprire il finestrino,:- E va bene, apriamo il condizionatore.
Silenzio generale. Dopo qualche minuto,
Cugino Cugì, aspirando con il naso, :- Ma la sentite ‘sta puzza? Qualcuno avrà scorreggiato.
Salvatore:- Ma quale scorreggia? Questa è cacca, semplicemente cacca.
Giovanni;- Ma che mangiate a casa per poi fare ‘ste puzze?
Cugino Cugì:- Nu spitu russu ‘ntru culu (uno spiedo rosso nel culo). Questo ci vorrebbe, gran figli di…
Peppe:- Ma lo fate ogni tanto un bagno? Perché mi sa tanto che c’è qualcuno che puzza…
Salvatore:- Ma forse è proprio ‘sto catorcio di furgone che puzza.
Gentilino:- Ma che c… dici? Il furgone io lo sono lavato ‘vantieri ( I Marchigiani usano solo l’ausiliare essere).
Insomma, tra andata e ritorno, l’intero viaggio si svolse tra imprecazioni, puzze, vaffa… e litigi vari, con l’unico intervallo della pausa pranzo in una trattoria di Camigliatello, dove si mangiò a base di trote , vino e funghi della Sila.
Il giorno successivo Gentilino non perse tempo, perché anche lui era ossessionato da quella puzza che non accennava a diminuire e portò il furgone da un meccanico a Crotone, che non ebbe difficoltà a capire subito l’inghippo. Il meccanico dovette smontare l’intero tubo per ripulirlo e, quando fu trovato il Gorgonzola, Gentilino mangiò la foglia e in cuor suo giurò vendetta, tremenda vendetta. Al momento gli dispiacque solo il pagamento di 10.000 lire, una cifra consistente per quei tempi, ed egli calcolò mentalmente  che lo scherzo gli era costato l’equivalente di circa dodici paia di scarpe, dal momento che per lui un paio di scarpe costituiva l’unità di misura in ogni operazione finanziaria di dare ed avere.
Gentilino ebbe difficoltà a prendere sonno quella sera. Nel silenzio della notte cercò di capire  chi era stato l’autore dello scherzo e credette di averlo individuato facilmente. Non poteva che essere Vittorio Garofalo, alias Cugino Cugì, di professione barbiere, al quale aveva rifiutato una volta il pagamento di un taglio di capelli, adducendo a pretesto, e per scherzo, solo per scherzo, una lozione non di suo gradimento. Aveva quel giorno sostenuto, tra le risate e le scompisciate degli amici, che quella lozione puzzava. Come il Gorgonzola del resto.
Doveva vendicarsi e vendicarsi presto, prima che  l’incazzatura gli sbollisse. E si vendicò, anche se con la persona sbagliata, e si vendicò molto presto, come voleva, anche se ebbe bisogno della collaborazione dell’intera allegra brigata.
Io riuscivo a seguire queste vicende grazie al fatto che, piccolino com’ero, stavo sempre ad orecchiare i discorsi dei grandi, i quali non facevano caso a me, considerandomi innocuo, ed anzi talvolta mi utilizzavano per piccole incombenze, dandomi così modo di giustificare il mio continuo aggirarmi nei loro paraggi.
Quando Gentilino mise gli altri a parte del suo stratagemma, non dovette nemmeno sforzarsi per convincerli: erano già tutti convinti della bontà del piano e si ripromettevano una giornata oltremodo interessante e piena di allegre sorprese. Alla base di tutto c’erano alcune compresse di metilene, innocue, normalmente usate nei laboratori di analisi e che colorano di blu le urine. Gentilino se le era procurate qualche tempo prima, in occasione di alcune analisi che aveva dovuto fare, e decise di utilizzare le poche che gli erano rimaste.
 Il giorno dopo, era il martedì successivo all’escursione domenicale in Sila,  a sera si ritrovarono tutti a fare uno spuntino a casa di Cugino Cugì. Era solo uno spuntino, con qualche oliva, un pezzetto di pecorino silano e un bicchiere di vino. Durante la cena, Cugino Cugì si allontanò un attimo per svuotare la vescica e Gentilino ne approfittò per mettere velocemente nel di lui bicchiere di vino una compressa che si sciolse in un attimo. Gli altri assentirono, riuscendo comunque a trattenere le risate. Dopo qualche minuto Gentilino, con un tono vagamente serio e preoccupato, prese a dire:
- Intanto posso dirvi che ho risolto il problema della puzza nel furgone. Si trattava di un topolino morto da chissà quando, che era andato a finire nel tubo dell’aeratore. Ma è tutto risolto. (E tutti accettarono o finsero di accettare quella spiegazione). Ma il problema non è questo. Ieri sera non sono stato molto bene e so anche il perché. Domenica in Sila abbiamo mangiato un po’ troppo. E poi quelle trote…Non so se avete sentito la radio…
Landuzzo:- Che è successo?
Gentilino:- E’ successo che….almeno così ha detto la radio…che le trote del lago Arvo in Sila sono colpite da un pericoloso batterio, ma solo quelle del lago Arvo. Mo io non so da dove venivano quelle trote, ma una cosa è certa… ed è che io non sono stato bene.
Giovanni:- Esagerato! Per due trote... E poi, se non vanno bene le trote della Sila, vuol dire che non si può mangiare più niente…
Gentilino:- Esagerato un corno…Anzi a me è andata pure bene, perché diceva la radio che a Cosenza ci sono stati pure due morti per queste trote…
Salvatore:- Addirittura…
Pepp’ i Seppa:- Io non ci credo…mi sembra troppo…
Gentilino: Non so che dirti. La radio dava pure qualche consiglio…Non prendere la cosa sotto gamba, soprattutto se si nota un colore bluastro nell’urina. In questo caso andare subito dal medico, perché entro qualche ora si può pure morire.
Cugino cugì, che fino ad allora si era limitato ad ascoltare:-Ma se sono passati due giorni dalle trote…Vuol dire che il pericolo non c’è più…
Gentilino: E no, caro mio, perché l’effetto può verificarsi entro quattro giorni…specie per quanto riguarda l’urina blu…
Cugino Cugì:- Cose da pazzi…nemmeno le trote della Sila si salvano più…
Poi Cugino Cugì, che già era ipocondriaco di suo e credeva di avere addosso tutte le malattie del mondo, si accorse che stava sudando troppo e andò in bagno per asciugarsi. Gentilino ne approfittò per rifilargli un’altra compressa di metilene in un secondo bicchiere di vino.
Intanto qualcuno  fece presente che era quasi mezzanotte, qualcun altro propose di bere un ultimo bicchiere di vino e tutti bevvero, esclamando in coro un lungo Prosit. Infine si augurarono la buona notte, la compagnia si sciolse ed ognuno si avviò verso casa.
Quando Vittorio Garofalo si ritrovò solo, si accorse di avvertire un strano peso allo stomaco. Chiese alla moglie di preparargli del bicarbonato, lo bevve d’un fiato e se ne andò a dormire. Ma non si sentiva tranquillo. Non riusciva ad addormentarsi, si girava e rigirava sotto le lenzuola e solo verso l’alba si assopì. Quando si svegliò, si accorse che doveva andare al bagno. Aveva ormai dimenticato tutti i discorsi della sera precedente, ma se ne ricordò con terrore quando vide che dalla sua vescica fuoriusciva un getto di liquido blu, come non l’aveva mai visto in vita sua. Si sentì perduto. Si rivestì in fretta e, vanamente inseguito dalla moglie che cercava di calmarlo, si diresse quasi di corsa alla casa di Gentilino, che stava ancora dormendo e fu svegliato da furiosi colpi alla porta.
-Sto morendo, gridò Vittorio, portami subito all’ospedale di Crotone con il tuo furgone.
-Che è successo?
- E’ successo che ho fatto la pipì blu.
-Sei sicuro?
-Sì, sono sicuro, sicuro come la morte. Era blu come un topazio. Sbrigati, sono morto….
-Ma dai…ma quale ospedale…magari ti porto dal Medico Mauro, qui a Scandale.
Mentre Vittorio si dimostrava sempre più impaziente e smaniava, con calma Gentilino si vestì, fece colazione, si preparò e poi con il furgone lo portò all’ambulatorio medico, già aperto.
Vista l’urgenza del caso, gli altri pazienti gli diedero la precedenza e l’infermiere don Agostino Madia lo introdusse direttamente dal medico.
Qui Cugino Cugì cercò di spiegare al medico quel che era successo, parlando di trote, vino, pipì blu, Cosenza, ma era difficile capirlo.
Il medico:- Che t’è successo?
Cugino Cugì:- Ho pisciato blu.
-E perché hai pisciato blu?
- Per le trote.
- Quali trote?
- Quelle che erano nel vino….
- Le trote erano nel vino!?
- Non erano nel vino, ma venivano da Cosenza…
- E come facevano a venire da Cosenza?
- Non lo so come facevano. Ma io sto per morire ed ho pisciato blu.
Alla fine il medico Mauro ritenne che  l’unica malattia di Vittorio fosse quella derivante da una solenne sbronza non ancora smaltita, gli prescrisse un sedativo e lo tranquillizzò sulla rapida guarigione.
 Intanto la notizia del malore si era sparsa nel paese e all’uscita dall’ambulatorio Gentilino e Vittorio ritrovarono gli amici della compagnia che si scompisciavano dalle risate. In quattro lo sollevarono e, trasportandolo come su una barella, lo accompagnarono verso casa. Si formò uno strano corteo, nel quale finii col trovarmi pure io, che seguivo gli altri ed osservavo meravigliato e divertito. Il corteo attraversò le strade del paese e, man mano che procedeva, si  ingrossava sempre di più, soprattutto per la presenza di tanti monelli, che facevano coro gridando e spernacchiando a più non posso. Quando si arrivò a destinazione, il “malato” fu affidato alle amorevoli cure della moglie, in ansia per la lunga attesa.
Così si viveva allora a Scandale e così spesso ci si divertiva e si passava il tempo. Quanto a Gentilino, quell’anno egli si fermò al paese quasi fino a ottobre e spesso ritornò a parlare delle trote, del vino e della pipì blu, sempre destando la meraviglia e l’ilarità degli ascoltatori.
Tanti anni dopo, si era negli anni settanta, vidi Gentilino per l’ultima volta. Era venuto nel periodo di Natale e lo incontrai presso dei parenti. Non l’avevo quasi riconosciuto: era magro, pallido, con l’occhio spento; non era più il Gentilino di una volta, rubizzo, robusto, in carne, sempre pronto e padrone di se stesso. Ci abbracciammo con affetto e lui mi disse che era affetto da una grave forma di diabete. Ci intrattenemmo su varie cose e forse parlammo anche della pipì blu e di Cugino Cugì. Al momento dei saluti, mi accorsi che ero commosso un pochino e che anche lui era un po’ commosso. Non l’avrei più rivisto.
Ezio Scaramuzzino

domenica 24 febbraio 2019

Un sogno che dura una vita


Ho appena finito di leggere il tuo libro “Un sogno che dura una vita”. L’ho letto d’un fiato, come alla “ricerca del tempo perduto”, che accomuna le vite di tanti che sono giovani e vanno incontro alla vita, o di tanti che giovani sono stati in quei formidabili anni 70 che ci hanno visti crescere e diventare uomini e che tu hai saputo raccontare tanto bene.
E’ stato un ritorno al tempo dei nostri sogni, alla riscoperta di un tempo che forse non ritornerà più, perché tante cose sono cambiate da allora e non è più il tempo delle feste organizzate in casa, dei balli quasi clandestini, delle partite di calcio a livello dilettantistico che nei nostri paesi assumevano la stessa importanza di una finale di Coppa del mondo. E dico “nostri paesi”, perché questi paesi si rassomigliavano un po’ tutti: ci accontentavamo di poco ed eravamo felici, senza saperlo.
Poi, su quel mondo fatto di piccole cose e di tanta, sconosciuta, felicità, si abbatte la tempesta del dolore e della morte e la vita viene sconvolta. Resta il valore dell’amicizia virile, della forza incrollabile della speranza che non muore, e resta soprattutto il valore ineliminabile del ricordo, che diventa grande come la vita, anzi più grande della vita, perché non conosce limiti e niente o nessuno potrà mai affievolirlo o cancellarlo.
Un famoso film degli anni sessanta, Il sorpasso, di Dino Risi, con Vittorio Gassman, si conclude con un tragico incidente stradale. Non ti nascondo che, mentre leggevo le ultime frasi del tuo libro, per una evidente associazione emotiva, ho ricordato quel film e quel finale. E mi sono commosso.
Ezio Scaramuzzino