mercoledì 28 agosto 2019

L'ora del coglione



A proposito dell’attuale situazione politica, Vittorio Feltri ama ripetere spesso che almeno una volta nella vita l’ora del coglione può colpire chiunque, comprese le persone intelligenti. Pare che l’espressione sia di origine toscana, ma qualunque ne sia l’origine, la condivido in pieno.
Per rimanere alla storia recente, Matteo Renzi, dopo una serie di toccatine lievi, ne fu colpito in pieno al momento del referendum e della sua improvvida e non richiesta promessa di ritirarsi in caso di sconfitta.
L’altro Matteo invece, il nostro Matteo Salvini, ne è stato colpito in pieno nel corso della recente crisi di governo e ne sta pagando le conseguenze. Gli ultimi sondaggi (Ipsos sul Corriere della sera) danno la Lega in calo di 4-5 punti rispetto ai sondaggi precrisi e lo stesso Salvini in calo dal 51 al 36% nell’indice di gradimento personale.
Sono convinto che questo generale arretramento non è stato determinato dalla mozione di sfiducia, del resto largamente condivisa dall’elettorato di centrodestra, ma dalla gestione fattane da Salvini, con ripensamenti, titubanze  e retromarce che hanno dato il fianco a lazzi e sberleffi vari, oltre che a vere e proprie pernacchie sparategli in faccia da parte dei suoi nemici, compresi i Grillini. E dico volutamente “nemici”, non “avversari”, perché nel caso di Salvini il legittimo contrasto politico si è trasformato spesso in odio, come forse non era mai successo in precedenza.
Non ci vuol molto a capire che lo sberleffo, al quale si risponde con voce flebile, prima o poi ti aliena le simpatie degli elettori. Perché gli elettori, quelli che ti seguono, quelli che ti danno il voto, possono anche mettere in conto di perdere una battaglia, ma non sono disposti a perdere la faccia e comunque a perdere la loro dignità insieme con la tua. Ed in questa vicenda Salvini è apparso a tratti patetico, fino a rimetterci una buona parte del credito accumulato nel corso degli ultimi due anni.
Salvini è certamente una persona intelligente, ma forse non ha capito che non si può scherzare con la dignità degli elettori, i quali, se si sentono umiliati, mettono in conto di abbandonarti, pur continuando ad avere fiducia in te. Anche perché, bisogna pur dirlo, Salvini avrà mille difetti, ma resta pur sempre il meglio o il meno peggio di quanto offre la piazza.
E vedere i minorati grillini che lo insultano; vedere Di Maio che storce la bocca a culo di gallina, quando sente il suo nome, in perfetto stile clerico- democristiano, da finto-abatino quale è; sentire Morra, il senatore Morra, il calabrese Morra, che volutamente e coscientemente confonde il Rosario di Salvini  con i pizzini degli ‘ndranghetisti, di cui forse ha sentito parlare nella sua qualità di presidente della commissione parlamentare anti-mafia; sentire Conte che nella solennità del Senato gli dà del violento e dell’inaffidabile; sentire e vedere i PDioti che quasi gli impediscono di replicare al Senato, i Pdioti, che finalmente gongolano perché sentono di poter rimettere le chiappe su quelle sedie da cui erano stati cacciati a pedate dagli Italiani.
Ecco, vedere e sentire certe cose fa male al cuore e fa ancora più male se la tua replica è debole e confusa. Perché, io almeno la penso così, a brigante brigante  e mezzo e, se uno ti dà un cazzotto, in politica devi replicare con una gragnuola di calci in culo. Non cercare giustificazioni, non chiedere e, soprattutto, non pietire.
Al momento in cui scrivo sta per nascere il nuovo governo M5S-PD, a meno di improbabili rotture dell’ultima ora. Ma ci voleva molto a capire che sarebbe andata così e che la Lega sarebbe finita all’opposizione? Forse in Italia solo Salvini non l’aveva capito o perlomeno non l’aveva messo in conto, tanto si sentiva sicuro delle elezioni anticipate.
Ma Salvini lo sa che al Quirinale c’è un certo Mattarella che, pur di non  andare ad elezioni anticipate, sarebbe stato disposto a fare a piedi dieci volte il tragitto dal Quirinale alla basilica di San Francesco d’Assisi? E lo sa Salvini che a quel posto ce l’ha messo Matteo Renzi in persona, cioè il PD?
Ma, tutto sommato, è meglio che sia finita così. Sono curioso di vedere cosa faranno insieme Grillini e PDioti. L’unico elemento che li collega è  la comune convinzione che lo Stato è un qualcosa da spolpare a fini personali e che nella vita è sempre meglio campare a spese dello Stato piuttosto che a spese proprie. Non che simili idee ogni tanto non circolino pure a destra, ma, in questo versante, è più facile imbattersi in qualche ingenuo, talmente ingenuo da ritenere che la ricchezza, prima di distribuirla, è pur necessario che qualcuno la produca. Per noi si tratta solo di avere pazienza, forse più di quanta ne abbiamo avuta sempre. E, oltre tutto, ad aspettare siamo pure abituati. Dovremo solo “attraversare la nostra penombra” o  “fare il nostro  lungo viaggio”, come dicevano alcuni (Lalla Romano, Ruggero Zangrandi) per altre epoche.
Coraggio!
Ezio Scaramuzzino

martedì 20 agosto 2019

Crotone, viale Gramsci by night



Una foto di Viale Gramsci, il lungomare di Crotone, scattata alle 21.30 di stasera 20 agosto 2019. Il tratto raffigurato è quello in cui una recente ordinanza comunale ha vietato ogni forma di parcheggio, sosta e transito dalle 20.30 all'1 di notte per tutta l'estate fino al 15 settembre 2019.
        Come può facilmente notarsi, la ressa della gente supera ogni umana aspettativa, gli spintoni e le liti per passare sono un fatto continuo e non trovasi un angolino libero nemmeno per respirare. Non parliamo poi dell'affluenza clamorosa dei clienti nei pochi locali pubblici della zona, che, verosimilmente, sono stati i primi a partorire l'idea e a suggerirla poi agli amministratori che, naturalmente, l'hanno recepita senza battere ciglio. Bisogna soltanto suggerire a chi di competenza di inviare sul posto qualche vigile in più, che possa regolare il traffico umano ed evitare quindi ingorghi paurosi, oltre che pericolosi per l'incolumità delle persone. Bisogna in ogni caso essere grati al nostro sindaco Ugo Pugliese per la felice idea, partorita con lungo travaglio delle meningi  di tante persone e poi portata felicemente ad esecuzione.
Io, che abito nella via interessata, posso garantire che lo spettacolo della folla traboccante e tumultuosa si ripete ogni sera e non è da escludere per il futuro un maggiore e più proficuo utilizzo della via in questione, magari similmente a quanto avviene a Siena per il Palio e l'utilizzo di Piazza del Campo.
      Un solo suggerimento ai nostri amministratori. Gli abitanti della via chiedono unanimemente ed a gran voce che il divieto venga esteso almeno fino alla fine dell'anno e che, in alternativa, l'ordinanza venga mutata da provvisoria a definitiva, in modo che possa allietare per il futuro la vista e l'udito dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri pronipoti, per omnia saecula saeculorum. Amen.
Ezio Scaramuzzino

domenica 18 agosto 2019

La retromarcia di Salvini



Avanzata francese e ritirata spagnola, si dice abitualmente quando uno avanza con irruenza e con altrettanta irruenza si ritira. E’ quello che sta succedendo a Salvini, che ha fatto  e sta facendo retromarcia su tutta la linea e, arrivati a questo punto, non è dato sapere che fine farà la sua mozione di sfiducia al governo Conte, non potendosi nemmeno escludere che egli finisca col ritirarla.
Bisogna pur dire che questa crisi Salvini l’ha iniziata male e la sta concludendo peggio. E comunque tutto questo ci può anche stare, perché in politica le battaglie si possono anche perdere.
 Il fatto che egli possa aver commesso degli errori, anche gravi, non avendo avuto ben chiare tutte le conseguenze della sua iniziativa, non ci induce comunque a perdere la fiducia in lui. Noi non siamo di quelli che fino a ieri gli consigliavano di rompere con i Grillini e, ora che l’ha fatto, gli rimproverano  acerbamente di averlo fatto.
D’altra parte gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto confermano che il suo elettorato continua a sostenerlo. Dopo lo scoppio della crisi, l’ultimo sondaggio di Panorama conferma la Lega al 38% e su Sky, un sondaggio, velocemente messo in piedi a proposito dell’Open Arms e dei clandestini fatti sbarcare, ha dato un responso clamoroso, ma non tanto: favorevoli a Salvini ed ai porti chiusi  71%,  contrari 29%.
Chi ha sostenuto Salvini, continua a sostenerlo ed è disposto a dargli una mano volentieri, perché, a guardarci attorno, magari capiamo che Salvini non è Napoleone o Winston Churchill, ma capiamo pure che egli resta comunque il meglio, o il meno peggio se vi piace, di quanto c’è sulla piazza e di quanto offre attualmente il mercato politico.
Questa immutata fiducia dei suoi sostenitori non deve però illudere Salvini più di tanto, perché tutti sono disposti a mettere in conto che gli possa perdere una battaglia, ma nessuno mette in conto che egli possa perdere la guerra o, peggio, che egli possa perdere la faccia e la dignità.
Perché in questa strana crisi, in cui finora è successo di tutto, sta succedendo anche un fatto curioso. Salvini riceve quotidianamente i soliti insulti e le solite minacce di sempre, ma gli insulti più sanguinosi e volgari li riceve proprio dai suoi “amici” o ex-amici grillini. Non riporto questi insulti solo per evitare il voltastomaco ed il vomito, mio e dei miei venti lettori.
Sentire il bibitaro Di Maio, o il minus habens Fico, quello che si è laureato al DAMS con la tesi su Mario Merola, tanto per capirci; sentire “l’avvocato del popolo”, principe del foro (boario)  e miracolato Conte, devotissimo di Padre Pio (e ci credo!); sentire Di Battista, il dottor Di Battista, pure lui con laurea al DAMS, quello che, insufflato da Travaglio, si crede un Barzini o un Montanelli redivivo; ecco, sentire tutti costoro parlare di slealtà, tradimento, indegnità morale, è qualcosa che supera ogni limite del linguaggio politico e della sopportazione umana.
Per non parlare poi del Fatto Quotidiano, organo semiufficiale dei Grillini, e del suo direttore Marco Travaglio, i cui fondi in questi giorni, più che alla storia del giornalismo, attengono alla storia della neuropsichiatria.
Salvini si limita ad incassare e non replica adeguatamente agli insulti, come volesse recitare il ruolo di persona civile tra gli incivili ed i cafoni, e/o volesse evitare di distruggere i ponti alle sue spalle. Ecco, Salvini deve stare attento: un politico, qualunque uomo politico, può perdere anche una battaglia, ma, se perde la dignità e l’onore, perde la fiducia degli elettori e finisce col perdere tutto.
Un solo consiglio per il capitano leghista: se deve essere guerra, che guerra sia. E, se deve rompere definitivamente, quale migliore occasione dello stillicidio della Open Arms e delle altre ONG?
Coraggio!
Ezio Scaramuzzino

venerdì 16 agosto 2019

Caro Salvini



Caro Salvini, sono uno dei milioni di Italiani che alle ultime elezioni hanno votato per te e non ho la pretesa di darti consigli, oltre tutto non richiesti. Mi preme soltanto far sentire la mia voce accanto a quella dei tanti  che in questo momento vogliono condividere la battaglia che stai combattendo.    
Sappiamo che la tua battaglia è ardua e che tanti sono contro di te.
1-Sono contro di te le alte gerarchie della Chiesa cattolica, perché tu hai smascherato il loro tentativo di svilire la Chiesa eterna di Cristo e di livellarla alle esigenze delle varie Caritas diocesane.
2-Sono contro di te le ONG e le Cooperative, che finora hanno lucrato sull’assistenza ai clandestini e che adesso non riescono a trovare un’altra ragione sociale al loro operato.
3-Sono contro di te i partiti di sinistra, abituati a fare in ogni tempo di tutto e di più, e che non si rassegnano alla loro, attuale, irrilevanza politica.
4-Sono contro di te i magistrati di sinistra, purtroppo numerosi, troppo numerosi, che non si limitano ad applicare la legge, ma avvertono la sempre più impellente necessità di interpretarla e di usarla  secondo convenienze politiche.
5-Sono contro di te i grandi mezzi tradizionali di informazione (Stampa e TV), che non si rassegnano al fatto che la gente preferisce la comunicazione diretta ed immediata dei social network (Facebook, Instagram,…)
6-Sono contro di te gli antifascisti eterni, gli antirazzisti eterni e tutti gli altri anti di ogni tipo, che si vedono sottratto il giocattolo dalle mani e che si accorgono che il re, il loro re, è nudo.
7-Sono contro di te i parassiti di ogni tipo, abituati a campare sotto mille forme di sovvenzioni statali (vitalizi, false pensioni di invalidità, redditi di cittadinanza fasulli, ecc…).
8-Sono contro di te quelli che campano solo per dire no (No TAV, No ponte, No Ilva, No questo e No quello) e che sarebbero felici di trasportarci indietro nel tempo, all’epoca in cui si viaggiava a dorso d’asino e con gli sciaraballi.
9-Sono contro di te quelli che accusano gli uomini di essere la causa del riscaldamento globale e che fingono di non sapere, “gretini”, che le attività umane incidono in maniera del tutto irrilevante su tale riscaldamento.
10-Sono contro di te i mafiosi di ogni tipo, che non si annidano solo nelle cosche, ma che si nascondono anche nei circoli  di potere, quando tale potere è inteso come cura del proprio “particulare”.
11-Sono contro di te quelli che sono contro la vita e sono invece a favore dell’eutanasia, del suicidio assistito, dell’aborto, dell’affidamento dei bambini a coppie gay, dello sradicamento dei bambini dalla loro famiglia naturale, come le tristi vicende di Bibbiano ci hanno rivelato in questi giorni.
12-Sono contro di te tutti quelli che spasimano all’idea che l’Italia possa scomparire, quell’Italia in cui siamo nati e vissuti, in attesa che essa possa diventare una poltiglia indistinta di gente indistinta, che ci soffocherà e ci annullerà.
Esclusi quelli elencati ai punti precedenti, il resto degli Italiani è con te.
Caro Salvini, al momento in cui scrivo, la situazione della Open Arms è ancora fluida e non è dato sapere come si concluderà. Ti diciamo di resistere, perché non sei, non devi sentirti solo e questa è la nostra linea del Piave. Con un unico consiglio. Nel momento in cui, per qualunque motivo, i clandestini dovessero sbarcare per decisione del buonista di turno, ritira la delegazione leghista dal governo, in modo che la tua sfiducia a Conte possa apparire ed essere legata ad un motivo serio, anzi drammatico, e non negoziabile.
 I vari Conte, Trenta, Di Maio e Toninelli passeranno, ma l’Italia non passerà, perché non vuole morire ed anche noi, che ti siamo vicini, non vogliamo morire.
Che Dio ti assista.
Ezio Scaramuzzino

giovedì 15 agosto 2019

Quello che ci attende



Ha fatto bene Salvini a sfiduciare il governo Conte? O ha fatto male? O doveva sfiduciarlo prima? O dopo? E quando? Subito dopo le elezioni europee? O dopo l’approvazione della prossima finanziaria? Il dibattito è aperto e si sentono molte opinioni in giro, alcune  espresse con la sicumera di chi ritiene di saperla lunga…
Sia ben chiaro: Salvini può anche aver commesso qualche errore tattico, ma il problema non è questo, non è quello del quando doveva farlo.
Secondo me, e l’ho sempre detto, Salvini questo matrimonio innaturale con i Grillini non doveva proprio farlo, sin dall’inizio, perché il gioco non valeva la candela ed i pochi vantaggi ottenuti, come qualche effimero successo sul fronte dell’immigrazione, non compensano i bocconi amari che ha dovuto ingoiare.
Non poteva che finire così. In quest’anno e mezzo di governo Salvini è stato messo in croce dagli avversari politici, e ci poteva stare, dalla magistratura, e si sapeva, dall’ Unione Europea, e c’era da aspettarselo, dai grandi mezzi di comunicazione, e non poteva che essere così. Ma è stato messo in croce anche dai suoi alleati di governo, sempre pronti a punzecchiarlo, a deriderlo, quando non ad insultarlo nel vero senso della parola.  Salvini aveva dalla sua parte solo la maggioranza degli Italiani.
La situazione è precipitata infine dopo le elezioni europee e ci restano ancora nelle orecchie le parole di  certi grillini: Salvini doveva essere contento e soddisfatto  del solo fatto di essersi potuto alleare con il M5S perché questo connubio aveva purificato la Lega  e l’”amico “ Di Maio è arrivato perfino a chiamarlo Dudù, come il barboncino di Berlusconi.  E Salvini, prima di difendere la sua dignità, doveva pur difendere la dignità del suo partito, di coloro che lo votano e di quella maggioranza di Italiani che credono in lui
Questi insulti non mi meravigliano più di tanto, perché rientrano nello stile politico di molta sinistra, ed i Grillini, a prescindere da ciò che dicono in merito, sono un partito di sinistra ed hanno anche la boria tipica di molti partiti di sinistra. Pretendono di aver abolito la povertà solo perché hanno incominciato a regalare soldi  con il cosiddetto Reddito di cittadinanza che sarebbe più appropriato chiamare Reddito degli sfaccendati e lo hanno fatto con il trionfalismo tipico di quella sinistra che non sa, o meglio finge di non sapere, che la ricchezza, prima di distribuirla, deve pur essere prodotta da qualcuno, perché altrimenti distribuisci e crei solo debiti per la collettività.
Ora quell’ insensato ed innaturale connubio tra Salvini e Di Maio, tra Grillini e Leghisti, è finito e si ritorna alla normalità. Da una parte  quelli che sono o si sentono di sinistra, dall’altra quelli che sono o si sentono di destra. Meglio così, meglio questo ritorno alla normale dialettica politica, senza stravolgimenti ed acrobazie che servono solo a confondere e sconcertare gli elettori. “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”, diceva Qualcuno vissuto circa duemila anni fa.(Mt5,17-37)
Quanto alla prossima mozione di sfiducia, non c’è bisogno di essere profeti per sapere come andrà a finire. La mozione non passerà, il governo sarà salvo ma questo non impedirà a Conte di rimettere comunque il suo mandato. Ci saranno le consultazioni al Quirinale, ma tutto è stato già deciso o sarà deciso in questi giorni.
Avremo un nuovo governo ed una nuova maggioranza, con Il PD, il M5S e qualche  riempitivo. Chi sarà il capo del governo?! Potrà ancora essere Conte, ma non interessa, perché per costoro è ancora valida l’affermazione di Lenin secondo cui nelle società strutturate da “loro”, anche una cuoca può  governare e d’altra parte, dopo aver avuto primi ministri come Gentiloni e Letta, forse è proprio vero che anche una cuoca può farlo.
Non tutto il male vien per nuocere. La Lega ed il Centrodestra staranno all’opposizione e la nuova maggioranza governerà. Certo, tre anni  e mezzo sono lunghi da passare, come diceva una canzone di Rosanna Fratello di tanti anni fa, ma potremo avere qualche sorpresa adeguata ai tempi che stiamo vivendo.
Probabilmente ritornerà Renzi, l’altro Matteo, e pretenderà il Ministero degli Interni, proprio quello di Salvini. Immagino che vorrà far ritornare i tempi felici di quando governava lui, con i porti non aperti, ma spalancati, e milioni di Africani che verranno a farci visita, non come turisti purtroppo. Avremo l’approvazione immediata dello Ius Soli, perché bisogna pur sostituire i milioni di Italiani che non votano più PD. Avremo quasi certamente Maria Elena Etruria Boschi in un ministero finanziario, vista la competenza da lei acquisita nei rapporti con le banche. Forse non potremo vedere Valeria Fedeli all’Istruzione, perché tale Ministero è rivendicato dai Grillini, che intendono assegnarlo a Roberto Fico, il quale, per chi non lo sapesse, ha una laurea al DAMS con tesi sulla canzone neomelodica napoletana e su Mario Merola. Penso che anche Giggino Di Maio potrà continuare a fare il Ministro del Lavoro, evitando di dover ritornare a casa, o ritornare a lavorare allo Stadio San Paolo di Napoli nel caso ci fossero state elezioni anticipate.
        Ma il culmine di tanto fervore politico e amministrativo sarà, sono pronto a scommetterci la camicia, l’elezione di Beppe Grillo alla Presidenza della Repubblica. Non che un comico non possa diventare Presidente della Repubblica, ci mancherebbe, e del resto di recente anche in Ucraina un comico è diventato Presidente. Ma son sicuro che Grillo ci metterà qualcosa di  più e di suo. Immagino già la scena. A fine anno Grillo abolirà l’inutile discorso del Presidente alla nazione e lui, già abituato anni fa al Vaffaday, per la notte di Capodanno istituirà il Vaffanight. L’Italia sarà la prima nazione al mondo a poter godere di questo privilegio.
        Avremo tutti la fortuna di assistere a questi meravigliosi cambiamenti, sicché un giorno potremo anche raccontarlo ai nostri nipoti e dire…IO C’ERO.
Ezio Scaramuzzino

martedì 6 agosto 2019

Una sera di luna piena (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino



Quando io ero bambino, al paese nessuno aveva in casa impianti di riscaldamento o condizionatori. Nessuno se ne lamentava, perché nessuno ne avvertiva l’esigenza, o, più probabilmente, perché nessuno sapeva che esistevano e, se anche qualcuno lo sapeva, li riteneva roba da ricchi e lussi da pregustare solo nei film.
Al caldo dell’estate non si pensava proprio di porre rimedio. Il caldo era considerato un fatto ineluttabile, al quale era inutile opporsi. Al più ci si spogliava, riducendo al minimo l’abbigliamento, e, quando proprio non se ne poteva più, si faceva un’escursione in Sila, “a cambiamento d’aria”, come si diceva allora.
        Ma una piccola Sila l’avevamo pure in loco: una Sila modesta e casereccia, tutto sommato, a ridosso delle prime case del paese, prima dell’espansione urbanistica degli anni successivi. Era il Timpone, questa oasi di fresco, "U Timpuni", come lo chiamavano al paese.
        Il Timpone era in realtà una collina, cui si poteva accedere da ogni lato, ma che, vista dal lato Sud, dalla parte più bassa dell’abitato, assumeva un aspetto imponente e molto simile a quello di una vera montagna.
        Il Timpone per noi bambini era un vero e proprio mondo da esplorare. Lungo le pareti era pieno di anfratti dove era piacevole giocare, sulla sommità aveva un largo spiazzo e dappertutto c’erano grandi ulivi che protendevano i loro rami.
       Lì, preferibilmente, andavo a giocare a nascondino. Lì, qualche volta, io e i miei piccoli amici ci rinchiudevamo in qualche cavità naturale. Ci sentivamo felici, perché ci sentivamo separati e lontani dal mondo esterno. Soprattutto a me, che magari avevo letto qualche libro più degli altri, toccava di raccontare favole e altre storie,  più o meno inventate, ad un pubblico di bambini incantati e riconoscenti. Saremmo rimasti lì fino alla fine del mondo, ma poi, quando incominciava a far sera, ritornavamo mesti alle nostre case.
        Ancora lì, sullo spiazzo popolato di ulivi, davamo i primi calci ad un pallone, perché quello era l’unico campo di calcio del paese. C’era qualche inconveniente però. Spesso il pallone andava a finire tra i rami degli ulivi e, quando non bastavano i lanci di pietre, con frequenti rimbalzi delle pietre sulla testa  di un malcapitato, era necessario che qualcuno si arrampicasse tra i rami per il recupero. Poi qualche volta il pallone volava oltre il limite dello spiazzo, precipitava lungo i declivi e bisognava andare a recuperarlo lontano, tra forre, burroni, strade e sentieri. Ma nessuno se ne lamentava e non nascevano litigi, perché avevamo stabilito una norma rigorosa: il recupero del pallone toccava a chi ce l’aveva mandato.
Lì, su quella collina, qualche volta giocavamo alla lippa, “u vettu e ra squigghia”, come si diceva al paese. Si giocava con due legni di lunghezza diversa, con il vettu che colpiva la squigghia e la faceva volare lontano e talvolta sulla testa di qualcuno, con frequenti, successive corse all’ambulatorio, dove il medico Mauro e l’infermiere don Gustino erano sempre pronti a suturare ferite.
Lì, su quella collina, quando il caldo dell’estate bruciava perfino l’erba tutt’intorno, non era infrequente trovare qualcuno che “prendeva il fresco” all’ombra degli ulivi. E spesso, anche di notte, qualcuno andava a dormirci, per sfuggire al caldo dei muri delle case arroventate dal sole.
Quando poi c’era maltempo e pioveva, in una zona argillosa del Timpone spuntavano lunghi fili d’erba, da noi chiamati chissà perché “ricottegghre”,  che formavano un  manto su cui era piacevole scivolare, stando in piedi e cercando di mantenere l’equilibrio, come in una gara di sci.
Ricordo che, pur tra luci ed ombre,  tutto sommato ero felice allora. Ero un’autentica schiappa al pallone, me la cavavo appena con il vettu e la squigghia, ma ero bravo a raccontar favole, che mi venivano richieste frequentemente dai miei piccoli amici e compagni di scuola. E comunque qualcosa mi angustiava.
Frequentavo la quinta elementare ed avevo lettoIl piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. La storia mi era piaciuta molto, ma non capivo perché il protagonista, che poi era un bambino, si fosse innamorato di una rosa. Anche un bambino poteva innamorarsi, certo, ma perché innamorarsi di una rosa?
Avevo deciso che anche io mi sarei innamorato, ma non di una rosa. Io mi sarei innamorato di una bambina. C’era solo un problema: che, per essere innamorato di una bambina, bisognava almeno dirglielo e sperare che anche lei si innamorasse. Ma la sola idea di dire una cosa del genere ad una bambina mi spaventava, perché ero molto timido. A questo comunque si poteva pensare pure in seguito, ma intanto bisognava pur trovarla questa bambina che facesse per me.
La mia era una delle poche classi miste del paese. Passai in rassegna le mie compagne e mi accorsi, con rammarico, che nessuna di esse mi piaceva. S. mi faceva sempre dispetti; T. era bruttina ; L. invece era piuttosto graziosa ed alta, ma , proprio per questo, si sentiva una diva e disdegnava tutti; F. poi si permetteva pure di prendermi in giro qualche volta e, proprio per questo, la detestavo.
Scartate anche le altre, ne rimaneva una sola, R.T., una bambina piuttosto cresciuta e che sedeva di lato al banco dopo il mio. Più di una volta l’avevo aiutata nei compiti ed ero convinto che di questo lei mi fosse riconoscente. Ecco, R.T. era la bambina di cui mi sarei innamorato, anche perché era graziosa, con gli occhi stranamente verdi ed i capelli neri raccolti in lunghe trecce. C’era solo il problema che, prima o poi, bisognava pur dirglielo che ero innamorato di lei.
R.T. era figlia di un muratore, di un capomastro come diceva lei, ed abitava nel rione Villetta, in una delle prime case del paese, proprio a ridosso del Timpone, da cui la separava un breve ed agile sentiero. Per andare o venire da scuola, ogni giorno, faceva un lungo tratto a piedi e passava sempre davanti casa mia. Mi capitava di vederla spesso lungo il tragitto, ma mai mi era capitato di fare un tratto insieme con lei, per un semplice motivo: io, allora, non ero solito camminare, perché, semplicemente, correvo e quindi lasciavo indietro tutti gli altri.
Mi dissi che per prima cosa  dovevo smettere di correre e poi avrei cercato di avvicinarla. Ma questo era il meno. C’era poi che io non sapevo proprio come dirle che ero innamorato di lei. Come si dicono certe cose? E con quali parole? E poi con quale tono? Non era certo la stessa cosa di quando raccontavo favole ai bambini nascosti negli anfratti del Timpone. Forse dovevo dirle che dovevamo fidanzarci? O sposarci come fanno le persone grandi? Ma noi non eravamo grandi.
Avevo idee abbastanza confuse, ma, ad evitare di fare errori o brutte figure, mi preparai l’intero discorsetto da fare, lo scrissi addirittura e l’imparai a memoria. Le avrei detto così, immaginando pure le sue domande  e le sue risposte.
-       Ciao. Sai, ho letto un libro di recente in cui si parla di un piccolo principe.
-       Ah, sì? Bello! Me lo fai leggere?..........
E poi mi dissi che non dovevo essere timido, che non dovevo arrossire, che non dovevo avere esitazioni mentre parlavo. Ah se le donne, tutte le donne, grandi o piccole che siano, conoscessero il dramma di una simile condizione… Comunque io dovevo solo trovare il momento opportuno, che ovviamente non tardò a presentarsi.
        Già il giorno dopo, al mattino, la vidi sopraggiungere da lontano. Potevo aspettarla, spifferarle il discorsetto che avevo preparato, ma non ne ebbi il coraggio. Mi misi a correre, come al solito, e giunsi a scuola prima di lei. All’uscita feci forza a me stesso e mi misi a camminare lentamente. La vidi subito e mi accostai. Il cuore mi batteva, forte, ma meno di quanto temessi.
-Ciao.
-Ciao.
-Sai, ho letto un libro di recente in cui si parla di un piccolo principe.
-Purtroppo io riesco a leggere solo i libri scolastici. Con tutti i compiti da fare a casa…
Capii subito che tutto il discorsetto che avevo preparato non serviva a niente e che dovevo improvvisare… Un altro problema per la mia emozione…
-Comunque era un bel libro. Il piccolo principe si era innamorato di una rosa…
-Di una rosaaa? Ma tu l’hai capito bene il libro?
-Difatti…Come ci si può innamorare di una rosa? Se proprio ci si innamora, ci si innamora di un’altra persona…Come me. Io pure sono innamorato…
-Ah, sì? Di una margherita?
-Ma no, che dici! Indovina un po’…
-Come faccio ad indovinare? Dimmelo tu.
-Di te, proprio di te.
Ce l’avevo fatta. Mi sentii improvvisamente calmo, rilassato, come nella quiete dopo la tempesta.
-Scordatelo! Io non mi posso innamorare di nessuno, perché sono ancora piccola.
-E con questo? Anche i bambini si innamorano….Così…Senza niente altro…
-E no! Se ci innamoriamo, poi ci dobbiamo baciare qualche volta e mia madre mi dice sempre che, se do un bacio a qualcuno, faccio peccato e poi vado all’inferno.
Di fronte alla paura dell’inferno, intuii che forse non era il caso di insistere,  perché, forse, di quella bambina io mi ero innamorato un po’, e la cosa mi dispiaceva ….certo…quanto mi dispiaceva! Era il mio primo tentativo ed era andato a vuoto…
Proseguimmo senza dire più una parola e, arrivato vicino casa mia, la salutai con un velo di tristezza. Ciao…Ciao…
        Per qualche giorno cercai di non pensare più a R.T., ma qualcuno provvide a farmi ricordare di lei, perché, certamente, lei ne aveva parlato in giro…
Fu proprio S., quella che mi faceva sempre i dispetti, ad uscirsene con una battuta.
- Ma è vero che i principi si innamorano delle rose?
Non le risposi nemmeno ed in più mi accorsi che la stavo odiando.
Dopo qualche tempo, mentre ritornavo da scuola, fui accostato da Totò Greco, un ragazzino, pure lui del rione Villetta, mio compagno abituale nelle partite di pallone. Mi disse con naturalezza, certamente senza alcun riferimento personale,
-La sai l’ultima? R.T. se la fa con Michele, mio amico e nostro vicino di casa, più grande di lei.
Conoscevo appena questo Michele e comunque, visti i precedenti, stentavo a crederci.
-Non ci credo, gli replicai.
-Non ci credi? Credici pure, perché li ho visti io.
-Non ci credo, insistetti.
-Se vuoi, puoi vederli anche tu.
-E dove?
-Da quando è incominciato il caldo, dopo il tramonto del sole, ogni sera, i due sono soliti fare una passeggiatina sul Timpone. Non ci vuole molto da casa loro, cinque minuti e sono lì.
        Finsi di non dare molto peso a quello che mi diceva, lo salutai e mi affrettai verso casa. Seduto a tavola, davanti ad un piatto fumante di pasta, mi accorsi che non avevo fame e scansai il piatto, con molta meraviglia di mia madre. Già allora, evidentemente, come poi sarebbe continuato a succedermi nel corso della vita, il primo sintomo delle mie preoccupazioni era la perdita dell’appetito. Mangiai poco e di malavoglia quel giorno e ripensai spesso a quello che mi aveva detto Totò Greco.
Non potevo capacitarmene. Non potevo credere che R.T., con le sue storie sul peccato e sull’inferno, potesse aver ceduto ad un ragazzino, che, per quel poco che lo conoscevo, appariva, e probabilmente era, un buzzurro ed un violento col quale era meglio non avere a che fare. Eppure non riuscivo a non pensarci e, fino a sera, ondeggiai continuamente tra l’idea di lasciar perdere e la tentazione di salire sul Timpone, di vederli e possibilmente parlare con lei, anche con lui eventualmente, così, per capire e magari per rassegnarmi e non pensarci più.
Ad un certo punto mi decisi. Sarei andato lì, prima di tutto per sapere se era vero quel che mi era stato detto. Uscii di casa e per prima cosa, istintivamente, guardai in cielo. Il sole non c’era più, ma al suo posto c’era una luna piena, che a me sembrò grandissima, immensa, e che illuminava il paese tutt’intorno. Verso occidente spiccava nettamente il pianeta Venere e nel buio della sera si distinguevano i profili delle case, delle persone, dei contadini che si ritiravano dalla campagna, degli animali che si avviavano vero i recinti e le stalle.
Mi diressi al Timpone imboccando il primo sentiero incontrato, subito dietro la cappelletta di San Leonardo. Presi a salire, mentre non si sentiva un alito di vento e tutt’intorno la natura sembrava addormentata. Nel rasentare la zona umida del Timpone, là dove eravamo soliti giocare allo scivolo, sentii il gracidio delle rane, che improvvisamente si tacquero al mio appressarsi. Continuavo a salire, a salire, velocemente, non perché avessi fretta di arrivare, ma perché avevo una sorta di tumulto nel cuore. Ogni tanto però mi fermavo. Osservavo dall’alto le luci del paese che sembrava distendersi per lungo come un serpente sinuoso e poi spaziavo con lo sguardo lungo i declivi della montagna, per cercare di vedere, chissà, qualche sagoma, qualche ombra…
Poi arrivai allo spiazzo in cima. Dovunque c’era silenzio. Tutt’intorno potevo osservare gli ulivi che erano stati i muti testimoni della mia fanciullezza e che continuavano a protendere i loro rami contorti, tra i quali si intravvedeva la luna tranquilla, luminosa lassù in cielo. Non c’era una nuvola.
Improvvisamente sentii il canto di un usignolo, nitido e sonoro come in pieno giorno e venne da chiedermi perché la natura consentiva che quell’uccellino melodioso, solo quello, continuasse i suoi gorgheggi solitari mentre tutti gli altri erano assopiti. Sentii il bisogno di dire una preghierina, come facevo la sera a letto, prima di addormentarmi. Ma non ne ebbi il tempo.
In fondo, da dietro un albero, erano apparse due figure. Si tenevano per mano, ogni tanto si fermavano, si guardavano negli occhi e poi riprendevano il cammino, lentamente, molto lentamente, come volessero assaporare ogni attimo del tempo che trascorreva inesorabile. Erano R.T. e Michele. Loro non potevano vedere me, perché mi ero nascosto dietro il tronco di un ulivo, ma io li vedevo distintamente al chiarore della luna, anche se non riuscivo a percepire chiaramente le loro parole.
Mi passai una mano sul volto, come per cacciare un cattivo pensiero e la ritrassi bagnata. Non era sudore il mio, erano lacrime, semplicemente lacrime. Mi vergognai, non tanto per quello che stavo facendo, ma per le mie lacrime, e capii che il mio posto non era lì, tra quelle piante, in quel silenzio. Mi ritrassi lentamente, cercando di non far rumore, e infine mi misi a correre, disperato, mentre la grande luna in cielo continuava ad assistere muta ed impassibile alle mie pene.
 A distanza di tanti anni, qualche tempo fa, trovandomi al paese, sono andato a rivedere quei luoghi. Una stradina asfaltata, al posto del sentiero di una volta, consente oggi di arrivare facilmente sullo spiazzo del Timpone. Non ci sono più alberi oggi ed in particolare non ci sono più gli ulivi  che una volta protendevano i loro rami. Al loro posto ci sono dei fabbricati, anonimi anche se pretenziosi. Ho fermato l’auto dove una volta giocavamo al pallone, o alla squigghia. Un signore mi è venuto incontro, apparentemente della mia età, quasi calvo, con pochi capelli bianchi, alto e magro. Mi dice:
-Ma voi non siete il…?
-Sì certo, sono io. Ma io non mi ricordo di voi. Voi chi siete?
-Io sono Michele, non so se vi ricordate di me. Un mio figlio è stato anche  alunno vostro.
-No, non mi ricordo. Scusatemi. Sono passati tanti anni…
Stavo per aggiungere:- Ma per caso vostra moglie è…? Ma non gliel’ho chiesto, perché improvvisamente mi è venuto di pensare che non volevo sapere niente di quella storia e di quella mia infantile pena d’amore. Era meglio non sapere, era meglio che tutto rimanesse sfumato, come in un sogno senza fine…
Ho acceso l’auto, ho innestato la marcia e, lentamente, mi sono avviato. Una parte della mia vita di fanciullo era finita per sempre e  preferivo non ricordare e non sapere, anche se quella mia fuga con l’auto mi ricordava un’altra fuga di tanti anni prima, sul Timpone del paese, sotto i raggi della luna, tra il silenzio degli ulivi ed il canto solitario di un usignolo.
Ezio Scaramuzzino