lunedì 16 settembre 2019

Parole per un amico (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino


        
        Andar per funghi dalle nostre parti è una delle pratiche più diffuse dell’Autunno. Ci vado anche io, non più con l’assiduità di quando ero giovane ed il vigore non mi faceva avvertire più di tanto la fatica dell’inerpicarsi lungo le montagne della Sila, ma abbastanza spesso, a ciò indotto soprattutto dalle insistenze di Giovanni, carissimo amico e compagno insostituibile di queste escursioni.
        Preferiamo i giorni infrasettimanali, quando presumibilmente la concorrenza degli altri cercatori è meno accanita, e ci avviamo con qualsiasi tempo, impegnandoci sempre nello stesso tragitto: San Giovanni in fiore, Bivio Garga, Lorica. In genere facciamo anche provvista di acqua ad una delle tante fontane disseminate lungo la strada e non disdegniamo di raccogliere castagne, quando ci è possibile.
Poi ci impegniamo nella ricerca dei funghi per un paio d’ore e ci stanchiamo, inerpicandoci su versanti spesso impervi. La raccolta non sempre è soddisfacente, ma non importa, almeno per me. Rituffarsi nella natura, godere del silenzio religioso delle montagne e dimenticare gli affanni della vita sono delle dolci sensazioni, alle quali indulgo volentieri, sempre più volentieri, in questi ultimi tempi.
Quando si fa mezzogiorno, come ad un segnale convenuto, Giovanni mi dice:
-Andiamo a mangiare da qualche parte?
-Certo, ci mancherebbe. Andiamo da Amedeo?
Nessuno di noi due, forse, è disposto ad ammettere che la puntatina da Amedeo è il momento più felice della giornata, quello al quale teniamo di più, al di là dei funghi, delle castagne, dell’acqua e di tutto il resto.
Per chi non conosce bene quei luoghi e quindi non sa chi sia, Amedeo è il gestore di una trattoria, non pretensiosa, ma molto accogliente, lungo la strada che a Lorica porta verso gli impianti di risalita. E poi Amedeo non è più, o non è soltanto, il gestore della trattoria, perché nel corso degli anni è diventato un amico, un amico che è sempre piacevole rivedere e con cui intrattenersi.
-Caro Amedeo, grido quasi, non appena lo vedo.
-Oh, carissimi, da quanto tempo non vi siete fatti vivi…
Per Amedeo sono sempre mesi che non ci vediamo, anche quando è passata appena una settimana.
-Dove vi volete mettere? Vicino al caminetto? E’ meglio, perché oggi fa freddo.
Decidiamo il posto, ci sediamo, beviamo qualche goccio di vino, tanto per incominciare. Do uno sguardo tutt’intorno. Ci sono sempre altre persone, che stanno già mangiando. Capita di tutto in quella trattoria. Coppie di persone anziane, talvolta giovani, qualche famiglia al completo, cacciatori e altri cercatori di funghi, operai, che si dilungano nel pranzo, in attesa della sera e del ritorno a casa.
L’atmosfera è tranquilla, nell’andirivieni di Amedeo, che in quel locale fa di tutto, solo in particolari occasioni aiutato da un inserviente: cucina, serve i clienti, sparecchia, fa il cassiere. L’ambiente è abbastanza riscaldato. Man mano che il tempo passa, qualcuno, favorito anche da un bicchiere di vino in più, si alza, si aggira tra i tavoli, abbozza qualche confidenza. Tutti tengono a precisare che si considerano amici di Amedeo, non suoi clienti.
Nelle mie frequenti visite in quel locale, ho visto persone che cambiano posto, che offrono dolci agli altri, che uniscono i tavoli per favorire la conoscenza reciproca tra amici occasionali, in un’atmosfera informale e confidenziale, che probabilmente era l'elemento distintivo delle trattorie di una volta.
Vedo che Giovanni si adegua facilmente, incominciando a conversare con perfetti sconosciuti, che, anche loro, hanno voglia di parlare. Io, in genere, tardo a carburare, ma godo di quell’ atmosfera e finisco con l’adeguarmi anche io.
Noto sulla nostra destra due persone, presumibilmente marito e moglie, abbastanza riservate e che, almeno apparentemente, non hanno molta voglia di unirsi alla conversazione generale. Lui dimostra più o meno la mia età. E’ abbastanza elegante, con il suo vestito, la giacca, la camicia, la cravatta, con un abbigliamento formale che sembra in contrasto con quello casual, quando non trascurato, degli altri. Mangia con lentezza, prendendo piccoli bocconi e dimostra di apprezzare molto il cibo portato da Amedeo. La moglie è vestita anche lei con una certa ricercatezza, sta eretta sul busto e sembra volersi dare un certo tono. I due parlano poco e sottovoce.
Mi giro ogni tanto verso di lui ed un paio di volte mi accorgo che mi sta guardando con attenzione, mi sta scrutando insomma, se non proprio esaminando.
Ad un certo punto decido di rompere il ghiaccio e gli chiedo:
-Da dove venite?, rivolto a tutti e due, per evitare di dovere scegliere tra il “tu” ed il “lei” rivolto ad una sola persona.
-Siamo di Cariati, fa lui. Veniamo spesso qui, quando abbiamo voglia e tempo di fare una corsetta in Sila, perché ci troviamo bene da Amedeo. Sono anni che veniamo. E voi due?
-Veniamo da Crotone, fa Giovanni, almeno lui. Io in realtà vengo da Isola Capo Rizzuto.
- Anche noi veniamo spesso da Amedeo, faccio io, ma non è da molto che lo conosciamo. Tu come ti chiami? Scusami se ti do del “tu”.
 L’atmosfera generale, una certa cordialità, che traspare dalle nostre parole e dai nostri gesti, gli forniscono forse una carica in più, ai limiti dell’euforia, che lo spinge a parlare quasi senza trattenersi.
-Mi chiamo Antonio Russo e faccio il commercialista, o meglio lo facevo, perché ormai sono in pensione, esordisce.
Mi racconta quasi tutto della sua vita. Quando riesco ad inserirmi nel suo discorso, approfittando di una piccola pausa, gli dico:
-Io ho un amico di Cariati che si chiama pure lui Russo, Cataldo Russo. Lo conosci? Per caso siete parenti?
-I Russo sono molto diffusi a Cariati e tra me e Cataldo c’è una certa parentela, anche se piuttosto lontana. Ma tu come ti chiami? Come vi chiamate? Non me l’hai ancora detto.
Gli presento Giovanni e poi aggiungo:
-Io mi chiamo Ezio Scaramuzzino. Sono di Scandale, ma vivo a Crotone, da tanti anni. Ho fatto il professore ed ora sono anche io in pensione. Siamo tutti pensionati. Gli Italiani stanno diventando un popolo di pensionati, aggiungo con un sorriso.
Immaginare un fiume, che straripa improvvisamente per la troppa acqua trasportata, dà l’idea di quel che avviene al mio vicino di tavolo, sconosciuto per me fino a qualche minuto prima.
-Ezio Scaramuzzino?!?! Ezio Scaramuzzino ?!?!, ripete. Ah, dunque sei tu? Mi sembravi una faccia conosciuta. Non so se te ne sei accorto, ma io ti stavo osservando da un po’ per cercare di capire o di ricordare…
- Io non penso di conoscerti, anzi credo proprio che questa è la prima volta in vita mia che ti vedo…Scusami, forse ho dimenticato…
- Ma come? Non ti ricordi di me? Non hai fatto il Liceo a Crotone?... Al Pitagora?... Maturità anno 1961-62…
- Sì, certo, è come dici tu. Ma io non ricordo, dico con un certo imbarazzo. Ed il mio imbarazzo aumenta quando lui dimostra di ricordare tutto, proprio tutto di me, mentre io di lui non ricordo nulla. Poi cerco di recuperare e di giustificarmi.
- Scusami, sono mortificato. Ma sono passati tanti anni, più di cinquanta da allora, ed un blackout può capitare, è nell’ordine delle possibilità umane.
- Certo, non è un problema. Ma ti ricordi? Col professore Maviglia, il prof di Scienze, quante volte lo sfottevamo, facendo le pernacchiette, e lui si incazzava e se la prendeva spesso con te. E la prof di Storia dell’arte te la ricordi? Silvia Maggiolini si chiamava. Bella ragazza, anzi bella donna, aveva una predilezione per te. Eh… Tempi felici….e forse non ci accorgevamo della nostra felicità.
Poi continua a parlare, a raccontarmi quello che ancora non mi ha raccontato della sua vita. Mi parla di una sua figlia, Elisabetta, che vive negli USA e fa la cantante lirica, la soprano. Me la fa vedere su YouTube, rapidamente, perché deve avere il link sempre pronto sul display. E’ una donna graziosa: la ammiro in un breve filmato, mentre si esibisce, non in teatro, ma in un salone, accompagnata al pianoforte dal grande Andrea Bocelli.
-Prenditi il link. Su YouTube trovi altri video.
Io e Giovanni lo accontentiamo. Ma Antonio è un fiume in piena, irrefrenabile.
-Quanto mi sento felice, oggi. Chi me lo doveva dire che dopo più di cinquanta anni avrei rivisto Ezio Scaramuzzino.
-Anche io sono contento, caro Antonio. Non capita tutti i giorni rivedere un vecchio e caro compagno di scuola, dopo quasi sessanta anni. Quando e se ciò accade, è perché evidentemente il caso, la fortuna, la nostra fortuna, ha voluto darci il gusto di un’ultima felicità cui abbiamo diritto noi che non ci siamo piegati alle tempeste della vita e siamo ancora qui.
Poi cerco di focalizzare meglio i ricordi, a poco a poco le tenebre incominciano a diradarsi e riesco a rivedere, seppure in modo sfumato e vago, quel ragazzo tranquillo e un po’ troppo serio, a volte pignolo, che sedeva al primo banco. Infine, come in un lampo, ricordo anche un nomignolo che gli avevamo affibbiato, “cinquista”, perché lui era l’unico studente di Cariati che prendeva il treno delle cinque, a differenza di tutti gli altri che prendevano quello delle sei, pur di arrivare presto a scuola e non trovare chiuso il cancello d’ingresso, come capitava ai ritardatari. Ma evito di rinnovare lo sfottò, anche perché intanto Antonio continua a parlare, senza mai fermarsi.
-Ma non è finita qui. Ora che ci siamo visti, dobbiamo rivederci.
-Certo, perché no? Siamo all’inizio dell’Autunno e ci ritroviamo prima o poi.
-Prima o poi? Ma che dici? Ci rivediamo domenica prossima, tra sette giorni. Giovedì ti do la conferma, tu aspetta la mia chiamata. Ti chiamo io, anzi scambiamoci i numeri di telefono, per ogni evenienza! Cacciamo Amedeo via dalla cucina, io porto i pesci e li cucino. Cucino io per tutti, continua Antonio, raggiante di felicità, mentre la moglie lo ascolta in silenzio, limitandosi ad annuire ogni tanto.
-E, sia ben chiaro, portate anche le vostre mogli, le voglio conoscere.
-Certo, Antonio, le porteremo, anche se non possiamo garantirti la loro partecipazione, almeno io. Ma penso che non ci saranno problemi. In ogni caso, se tu porti i pesci, noi porteremo qualche altra cosa. Mica possiamo portare solo “panza e prisenza”, come diciamo in Calabria.
-Fate quello che volete. L’importante è che ci vediamo.
Continuiamo così a lungo, mangiucchiando e bevicchiando qualcosa. Quando ci accorgiamo che si è fatto tardi, ci alziamo, ci salutiamo con un abbraccio e ci diamo appuntamento a presto.
Sulla strada del ritorno, mentre stanno calando le prime ombre della sera, io e Giovanni evitiamo di parlare di Antonio e della moglie, se non per un fugace accenno.
-Pensi che lo rivedremo?, mi fa Giovanni.
-Non lo so, ma mi sembrava sincero. Ho visto tante di queste promesse sfumare, ma non per cattiva volontà. Spesso ci si fa prendere dall’entusiasmo, si parla, si promette, poi, a mente fredda, i proponimenti svaniscono. Senza dimenticare che le mogli spesso giocano un ruolo importante nella realizzazione di queste vicende. Sono loro che finiscono col decidere il corso degli eventi, specie in ambito familiare.
Passa il giorno successivo, il Lunedì, come passano anche gli altri giorni della settimana. Di Antonio nessuna notizia. Sabato mi chiama Giovanni:
-Ti ha chiamato Antonio?
-Niente Giova’, non so che dirti. Sono un po’ sorpreso, ma non si può mai essere sicuri in queste cose. Forse c’è stato un contrattempo. Aspettiamo un po’, prima di trarre conclusioni.
Passa anche la seconda settimana. Poi passa la terza. Passa quasi un mese da quel giorno. Ogni tanto penso ad Antonio, al suo entusiasmo, alla sua decisione di rivederci ad ogni costo. Non so che pensare, mi sembra tutto così strano.
Dopo circa un mese, un pomeriggio, sento squillare il cellulare. Sul display mi appare la scritta “Antonio Russo”. E’ proprio lui, finalmente.
- Pronto. Ciao, Ezio.
- Ciao, Anto’, come va?
- Come vuoi che vada? Va abbastanza bene, ma non benissimo. Sono a Cosenza, ma non in vacanza. Sono ricoverato in ospedale. Ero venuto per degli accertamenti che faccio di routine ed i medici mi hanno imposto il ricovero.
-Mi dispiace tanto, caro Antonio,…
Potrei chiedergli perché è ricoverato, di che cosa soffre, ma non lo faccio; per uno strano pudore ed uno strano senso di discrezione, che sempre mi prendono, quando qualcuno mi parla dei suoi problemi di salute, e che mi inducono a non fare troppe domande; per evitare magari risposte imbarazzate ed aspettare che sia l’altro a dirmi quello che ritiene opportuno e nei limiti che egli ritiene opportuni. Intanto Antonio continua:
-Forse potevo non farlo, ma ti ho voluto chiamare, perché tu non pensassi che io ho dimenticato la mia promessa. Anzi, sai che ti dico? Che, appena esco dall’ospedale, la prima cosa che faccio è quella di organizzare il nostro incontro a Lorica. Tieniti pronto.
-Anto’, ma quanti problemi ti crei! Sono cose che capitano e comunque pensa a guarire, che è la cosa più importante. Poi penseremo al resto. E intanto ti saluto con affetto, ti abbraccio forte. Salutami anche tua moglie. Ciao, a presto. E stai tranquillo.
- Ciao, ti abbraccio anche io. Forte.
Passano i giorni, le settimane, i mesi e di Antonio non so più nulla, né lui si fa più vivo. A distanza di quasi un anno mi ritrovo con Giovanni a Lorica. Come sempre, andiamo da Amedeo. Saluti di rito, calorosi come sempre, e subito Amedeo mi dice:
-Ricordi Antonio, il tuo amico e compagno di scuola di Cariati? E’ morto, per un male incurabile. Ma, quando l’hai visto tu, era già ammalato, e, evidentemente, era giunto alla fine. Mi dispiace per lui… Ho perso un amico... Mi ha chiamato la moglie qualche tempo fa, per dirmi che il marito era morto e che, almeno per il momento, è difficile per lei venire fino a Lorica.
La notizia mi lascia di stucco. Capisco tante cose, che ignoravo, ed avverto per lui, per la sua memoria, una dolce e struggente pietà.
Mentre pranzo nella trattoria di Amedeo, cerco di dimenticare quanto di doloroso è legato al ricordo del caro Antonio, ma non ci riesco facilmente.
A distanza di un anno ancora, mi ritrovo da Amedeo e lui, dimenticando di avermelo già detto, mi ripete la notizia. La cosa mi fa riflettere. Penso a quanto siano labili a volte i ricordi delle persone cui abbiamo voluto bene e che ci hanno voluto bene. Mi prende un senso di colpa, che cerco di riscattare con il racconto della sua vicenda, un racconto che dedico a lui e che racchiude  le parole che non gli ho dette e che gli avrei dette di persona, col cuore in mano, se fossi stato presente e al corrente della sua dipartita.
Caro Antonio, ti ricordo in quell’ultimo giorno che ti ho visto dal nostro Amedeo. Eri sereno quel giorno e a me apparivi sereno, anche perché io non conoscevo le tue pene. Tu stavi vivendo intensamente e fino allo spasimo quegli ultimi giorni che ti restavano da vivere, come chi non ha rimpianti o non ha nulla da rimproverarsi, perché, anche nel momento del dolore, si è grati alla vita e a quello che essa ci ha concesso. Si dice che chi è al corrente della sua prossima fine, vive attimo per attimo, giorno per giorno, come per gustare  gli ultimi sapori di una parabola che sta per concludersi. E tu l’hai fatto, nell’entusiasmo che ti prese quel giorno, nella gioia che traspariva dal tuo volto, nella voglia di continuare a vivere e di vivere fino all’ultimo giorno.
Quel tuo giorno a Lorica, a ripensarci adesso, a distanza di due anni, è stata una lezione di vita, per chi ha saputo e voluto leggere, nei lineamenti del tuo volto, la tua tranquilla e fiduciosa sicurezza.
Io non so come tu hai vissuto i tuoi ultimi giorni. Immagino, anzi ne sono sicuro, che, anche se eri disteso in un lettino d’ospedale, ti sarai sollevato ed avrai atteso in piedi l’arrivo della vecchia signora e, quando lei ha bussato alla tua porta, tu lei avrai soltanto detto:
-Sono pronto. Un attimo. Debbo solo prendere il cappotto.
Poi le hai porto la mano e con lei ti sei avviato, con passo leggero, fino a scomparire, in fondo alla strada.
Ezio Scaramuzzino
Foto1 - La trattoria Antichi Sapori Silani a Lorica
Foto2 - Amedeo, il gestore del locale

2 commenti:

  1. Bellissimno racconto.
    Questa volta la condivisione è al 100%.
    Un ricordo tenero,delicato,gentile di un amico di infanzia.
    Fa effetto e mi è piaciuto molto,il modo come sistemi "la vecchia signora"che
    viene a bussare perché ,la disarmi ingentilendola (via la falce e il teschio)

    diventa nel racconto se non accettabile scontata.

    Mi permetto di suggerirti,se ti è possibile di far conoscere questo racconto

    alla moglie è ai figli.Credo che lo apprezzeranno.
    Ultima precisazione ,da testimone involontario il racconto è reale dalla A
    alla Z.
    Ciao Giovanni

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  2. Mi commuove e mi fa riflettere la tenera leggerezza con cui affronti temi scabrosi come la malattia e la morte. Il tuo amico ti sarà grato del dolce ricordo che gli hai regalato!
    Ah ...avessi io il dono che hai tu di questa "penna" leggera e discreta, che scrive entrando dritta nel cuore e nelle pieghe dell'anima!

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