venerdì 4 febbraio 2022

La gara degli asini (racconto inedito)

 



L’asino è stato per molti aspetti l’animale più comune e più in vista durante la mia infanzia e la sua apoteosi coincideva con la festa della Madonna del Condoleo, che a Scandale si celebrava annualmente, ad agosto.

L’ultimo giorno della festa c’era la gara degli asini, nella quale i primi arrivati vincevano di solito qualche provolone e qualche chilo di salsicce.

La modestia dei premi non escludeva però un certo accanimento, perché già allora nessuno si faceva scrupolo di avvalersi di accordi più o meno segreti e di sotterfugi. A lungo si parlò di un concorrente che, pur di danneggiare il favorito, si presentò con una giovane asina in calore, che sconvolse tutti i piani e finì col favorire la vittoria di un vecchio ronzino, molto avanti negli anni ed evidentemente insensibile al fascino della signorina asina.

Tra gli eterni favoriti, uno in particolare era considerato una sorta di idolo. In realtà gli idoli erano due: lui perché era bravo a cavalcare, l’asino perché era bravo a correre. Lui si chiamava Peppino Biafora ed abitava non molto lontano da casa mia. Chiamava il suo asino Ponente, forse per attribuirgli la velocità del vento, e lo custodiva in una stalla a fianco della sua abitazione.

Nei primi anni Cinquanta, Peppino e Ponente erano diventati dei miti nel mio quartiere, dove i due erano assurti quasi a simboli della nostra gloria sportiva.

I due avevano vinto una serie ininterrotta di primi premi, quando, nel 1956, il mito improvvisamente crollò, rovinando nel baratro dell’ignominia.

Si era a Luglio e dal balcone di casa mia era sempre possibile vedere Ponente  tenuto a pascolare liberamente nei campi. Di lì a poco ci sarebbe stata la festa e per Ponente quel pascolo tranquillo costituiva una sorta di preparazione psico-fisica alla gara. Verso sera il figlio di Peppino, Carletto, immancabilmente, andava a recuperarlo.

Una sera lo vidi rientrare con l’asino, mentre lui con una mano lo teneva dalla coda, in una posizione molto vicina alla giunzione col deretano, e con l’altra dava l’impressione di accarezzarlo amabilmente.

-Carletto, che dici? Ce la facciamo pure quest’anno a vincere?

-Certo che ce la facciamo. Come negli ultimi anni del resto.

-Ma Ponente incomincia ad invecchiare. A proposito quanti anni ha?

-Ha vent’anni, ma è come se ne avesse dieci di meno.

-Mah! So che quest’anno ci sono concorrenti nuovi e temibili. Speriamo bene.

-Tranquillo! Anzi, sai che ti dico? Considerati già invitato alla mangiata dopo la vittoria.

-Ah, grazie. Ciao.

-Ciao.

E venne il giorno della gara. Di fronte alla chiesa madre erano allineati quindici asini, senza bardatura e con in groppa i rispettivi padroni, che una volta all’anno si improvvisavano fantini. Gli asini sembravano aspettare placidamente, mentre tutt’intorno c’era fermento e confusione. Mi avvicinai a Ponente e mi capitò di ascoltare casualmente un fitto scambio di battute tra Peppino ed il figlio Carletto, del quale lì per lì non capii niente.

- Hai tutto pronto?

- Sì, tutto pronto.

- E dove ce l’hai?

- In tasca. In una bustina.

- Hai preso il migliore che c’era?

- Certo. Non sono scemo.

- A quella curva che t’ho detto. Dietro il cespuglio.

- Ho capito.

- Vai, corri, corri…

Le contestazioni sulla posizione di partenza si protrassero a lungo e quando, dopo più di mezz’ora,  il segnale fu finalmente dato, gli asini partirono. Lungo le strade polverose si stentò a vedere o a capire qualcosa di preciso. Ma una cosa fu chiara fin da subito: Ponente era in difficoltà e sembrava arrancare vistosamente, in ultima posizione.

Mancava ancora più di un chilometro alla conclusione della corsa, quando, in una curva defilata e seminascosta, da uno spettatore solitario Carletto fu visto avvicinarsi velocemente all’asino, accarezzarlo misteriosamente all’altezza della giuntura della coda e poi allontanarsi furtivamente, guardandosi attorno.

All’uscita da quella curva, Ponente incominciò a correre come un forsennato. Riguadagnò il terreno perduto, bevendosi gli altri concorrenti man mano che li raggiungeva, e batté l’ultimo rivale quasi sul filo di lana, riuscendo a vincere.

Anche in quel 1956 Ponente sbaragliava gli avversari e Peppino si portava a casa il premio che quell’anno era particolarmente generoso, prevedendo, oltre al solito provolone, anche un’intera porchetta, già pronta e da consumare con gli amici.

-Evviva Peppino, evviva Ponente!, si sentiva gridare da più parti, mentre il comitato organizzatore della gara proclamava ufficialmente i vincitori.

Si formò un corteo: una corona di fiori fu posta al collo di Peppino, mentre al collo di Ponente fu posta una più opportuna corona di biada. Peppino procedeva lentamente in groppa al suo asino, immediatamente seguito da quattro portantini che su una rudimentale barella di legno esibivano in bella mostra il provolone e la porchetta. Chiudeva un codazzo di gente che, già pregustando l’abbuffata imminente, si lasciava andare a lazzi e sfottò nei confronti degli avversari sconfitti.

-Viva la Colla! [il nostro quartiere], gridava qualcuno

-Abbasso il Chiano e Genuzzo! [altri quartieri rivali]

-Viva Peppino! Viva Ponente!

-Per il Chiano e Genuzzo finita la pacchia!...Una bella pernacchia…, gridavano alcuni rimatori estemporanei, che poi concludevano con pernacchie terrificanti.

Ma tra gli avversari sconfitti c’era chi non si dava pace e, su imbeccata di quell’uno che aveva visto, presentò un ricorso al comitato organizzatore.

Il presidente del comitato si vide consegnare un reclamo scritto a mano e firmato da tutti gli altri concorrenti, nel quale si leggeva:

Al Presidente onorabile del Comitato della gara della Madonna.

Noi partecipanti facciamo ricorso contro il vincitore, perché c’è qualche cosa che non va. Perché qualcuno ha visto il figlio del vincitore avvicinarsi alla coda dell’asino e manovrare. E perciò chiediamo un controllo sull’asino, possibilmente di un veterinario o di un fabbro ferraio che fa lo stesso, e  se non si fa il controllo subito scoppia una rivoluzione.

Fu dato incarico di procedere ad una visita corporale dell’asino al fabbro ferraio del paese, mastro Armando Gentile. Costui, seguito da un codazzo di persone tumultuanti della fazione che aveva presentato il ricorso, si recò a casa del vincitore, dove fervevano i preparativi per la gozzoviglia, e, sventolando in aria l’incarico scritto, si fece consegnare l’asino; subito dopo, in uno strano silenzio immediatamente prodottosi, diede inizio alla visita.

Infilò prima di tutto un paio di guanti, un po’ sdruciti, ma che gli conferivano un aspetto professorale, poi si fece largo tra i presenti ed incominciò. Gli guardò prima di tutto la bocca, ma non notò nulla di particolare, a parte i denti ancora impastati di biada. Poi passò agli zoccoli ed anche qui vide che tutto era a posto. Quindi pose un orecchio su vari punti della pancia dell’animale e non auscultò nulla che potesse apparire anormale. Infine, su insistenza di alcuni astanti che protestavano, passò all’esame della coda e delle parti posteriori.

Si convinse che anche la coda era a posto, ma non poté fare a meno di notare che il sottocoda, in particolare nella parte che coincideva con la giuntura al deretano, era chiaramente arrossato. Poi notò che era ancora più arrossata la zona perianale e, per convincersi meglio, fece girare l’asino in modo che il suo didietro fosse esposto più direttamente ai raggi del sole. Alla vivida luce del giorno vide che qualcosa di non meglio precisato fuoriusciva leggermente dall’orifizio anale e si chiese che cosa potesse essere. Infilò leggermente due dita ed estrasse con precauzione.

Non c’erano più dubbi: quel qualcosa che egli aveva estratto e che ancora teneva stretto tra due dita era semplicemente il residuo, la buccia o la parte terminale di un grosso peperoncino, tra l’altro della specie più piccante in assoluto.

Lo consegnò al Presidente, che lo aveva seguito con attenzione nel corso dell’ispezione corporale e quest’ultimo, seduta stante e senza perdere tempo, prese le sue decisioni. Si rischiarò la gola con due colpetti di tosse e ad alta voce gridò:

-Considerato che è assolutamente proibito fornire agli animali droghe che possano in qualunque modo alterare il loro rendimento durante la gara, squalifico il vincitore, confisco i premi attribuiti e li assegno al secondo arrivato.

Lascio immaginare quel che successe.

Parolacce, grida, spintoni ed anche qualche scazzottata tra le opposte fazioni. Nella confusione generale molta gente cercò comunque di conquistare un po’ di cibarie e quel provolone e quella porchetta finirono smembrati, spezzettati ed in parte anche calpestati e dispersi.

Io stesso, sgattaiolando tra le gambe dei litiganti, ero riuscito a procurarmi un’intera coscia della porchetta. Avevo ancora un livido sulla fronte, soffrivo per qualche botta rimediata e, mentre ritornavo a casa, stavo rimuginando su quel dialogo concitato tra Peppino e Carletto prima della partenza, che improvvisamente mi si schiarì e mi indusse ad un amaro sorriso. Il livido, la sofferenza e l’amarezza non mi impedirono comunque di rivolgere la mia attenzione alla porchetta trafugata, che incominciai a piluccare prima con calma e poi a mangiare quasi con voluttà, continuando a sorridere tra un boccone e l’altro. Di quel pasto fuori ordinanza e di quella giornata memorabile ancora oggi, a distanza di tanti anni, conservo il gusto ed un piacevole ricordo.

Ezio Scaramuzzino

Gennaio 2022