mercoledì 13 settembre 2023

Un ladro a Scandale, racconto (inedito) di Ezio Scaramuzzino

 


Non so come stiano le cose adesso, ma, quando io ero bambino, al paese, al mio paese, a Scandale, di veri ladri non se ne vedevano in giro. E la cosa si spiega facilmente. Si trattava di un paese povero e piccolo, dove c’era poco da rubare. Le auto si contavano sulle dita di una mano. Al massimo, ogni tanto, spariva qualche gallina e non so fino a che punto potesse essere considerato ladro chi rubava solo per mettere qualcosa nello stomaco.

Le cose cambiavano un po’ quando arrivavano gli zingari, che si accampavano alla periferia del paese e destavano un po’ di allarme tra la gente. Ma anche loro si limitavano a vendere qualche utensile in rame, dopo qualche giorno ripartivano e la vita ritornava ad essere sonnacchiosa come prima.

Eppure, in questo clima quasi idilliaco, anche al mio paese venne alla luce un ladro, divenuto abbastanza famoso, anche se, c’è da precisarlo subito, a Scandale si era limitato a nascere, perché il ladro l’avrebbe fatto a Milano, dove in seguito avrebbe compiuto le sue gesta.

Si chiamava Francesco Restivo, aveva poco più di quindici anni ed era il primo di otto figli tra femmine e maschi. Era una famiglia povera quella dei Restivo, nella quale vigeva una curiosa usanza. La casa era costituita da un unico stanzone, dove erano distribuiti vari letti e lettini e dove  non c’era posto per tutti, per cui la sera l’ultimo che arrivava restava in piedi oppure andava a dormire all’addiaccio. Era diventata  famosa in paese e oggetto delle risate dei paesani la vicenda di Francesco che una volta, svegliatosi verso l’alba, aveva aperto gli occhi ed aveva detto al fratello che gli dormiva accanto: “Giuva’, pari ca vi‘a méndula” (Giovanni, ho l’impressione di vedere il mandorlo). Nulla di particolarmente grave. Era semplicemente successo che durante la notte una tempesta di vento aveva fatto volare la fragile copertura della casa, per cui all’interno aveva fatto capolino qualche ramo di un mandorlo che cresceva lì vicino.

Comunque, mandorlo o non mandorlo, mangiare o non mangiare, dormire o non dormire, Francesco ben presto si era stancato di fare quella vita miserabile.

Una sera, mentre erano intenti a mangiare una povera cena, nel silenzio generale, Francesco attirò l’attenzione di tutti e disse:

- Papà, mamma, fratelli miei, sorelle mie, io non ce la faccio più a vivere a Scandale. Sono il primo della famiglia e voglio essere il primo a cercare fortuna e a partire.

- E che ti manca qui?, replicò il padre.

- Niente manca, per chi si accontenta, ma a me manca tutto. Mi manca perfino l’aria ed un posto per dormire.

E dopo qualche giorno, in una fredda mattinata di gennaio dei primi anni cinquanta, Francesco abbracciò i suoi familiari e partì, per Milano precisamente. E siccome era un ragazzo sveglio ed intraprendente, oltre che senza scrupoli, riuscì a fare fortuna, anche se soltanto come ladro. Erano gli anni di Luciano Lutring, il solista del mitra, come era chiamato dai cronisti, ma il nostro Francesco non era a quei livelli. Era, si direbbe oggi, un ladro di serie B, ma approfittò del clima dell’epoca e, pur visitando abbastanza spesso le patrie galere, riuscì ad accumulare una discreta fortuna.

A Milano si sposò anche, con una ragazza del quartiere di Rogoredo, uno dei più malfamati della città. Stava sfuggendo ad una retata della polizia e si era infilato in un portone. Questa ragazza l’aveva visto, aveva capito tutto, l’aveva fatto entrare a casa sua con la complicità della madre che era sarta e vedova di uno dei tanti ladri della zona. Lo fecero nascondere in uno sgabuzzino a scomparsa, che in precedenza era stato  utilizzato dal marito della sarta, quando, anche lui, ogni tanto aveva bisogno di scomparire per qualche giorno, o per qualche ora.

Francesco si annoiava in quello sgabuzzino che prendeva aria e luce solo da un finestrino posto in alto: incominciò a sbuffare, poi a smaniare e, pur di aver qualcosa di cui occuparsi, tirò via dalla parete un calendario di frate Indovino. Ma quale fu la sua sorpresa quando si accorse che dietro quel calendario era stato praticato un foro! Accostò l’occhio e vide che quel foro dava direttamente sul laboratorio della sarta, anzi direttamente sul punto dove le clienti provavano i vestiti.

Vide di tutto quel giorno: seni, gambe, sederi, e vide anche una ragazza bellissima che lo mandò in estasi. Quando, verso sera, la ragazza che lo aveva salvato venne a portargli qualcosa da mangiare, Francesco ebbe l’idea di provarci, ma la cosa non andò a buon fine, almeno per quella prima volta. Le disse:

-Mi hai salvato e te ne ringrazio, ma ancora non so nemmeno come ti chiami. Io mi chiamo Francesco, Francesco Restivo e sono Calabrese.

-Sei un terùn, allora. Ma di dove, precisamente?

-Della provincia di Catanzaro, rispose genericamente, ritenendo  che fosse inutile dare indicazioni più precise.

-Ma proprio, proprio di Catanzaro?

-Beh, veramente sono di Crotone, replicò, ritenendo sufficiente questa indicazione.

-Ma proprio, proprio di Crotone?, continuò la ragazza

-Beh, veramente sono di un paesino a 20 km di distanza, Scandale, che certamente tu non conosci.

-Ma và a dà via i ciapp (vaff… in milanese). Mio nonno era di Scandale ed abitava in via Cafone del Molinaro. Si chiamava Tallarico ed io mi chiamo Cesira, Cesira Tallarico.

I due, ridendo, si scoprirono compatrioti, compatrioti all’estero e tutto questo indusse Francesco a diventare un po’ più audace e ad allungare una mano.

-Sta a l’indree, te se propri un pirla! (Stai dietro, sei proprio un cretino).

La cosa finì lì, al momento, ma i due si rividero in seguito, si frequentarono e qualche mese dopo si sposarono in una chiesetta della periferia, alla presenza di pochi invitati, tra i quali non mancavano alcuni rappresentanti della mala milanese.

Passarono gli anni e, grazie alla sua intraprendenza ed alla sua abilità, Francesco era intanto riuscito a raggiungere un certo livello di benessere, oltre ad una certa stima ed un certo rispetto nella cerchia dei ladri di Milano.Viveva in un bell’appartamento, vestiva elegantemente, aveva una macchina di lusso, viaggiava spesso, si poteva permettere quasi tutto. Tra l’altro viveva anche tranquillo, perché aveva ridotto la sua attività di ladro a pochi colpi, sicuri e quasi senza rischio.

Ma non era del tutto contento della sua vita. Intanto non era riuscito ad avere figli dalla sua Cesira, e questo gli dispiaceva molto, e poi ormai era troppo tardi per cercare di averne, perché stranamente, inspiegabilmente, si accorse che si sentiva vecchio. Ma la cosa che lo angustiava di più era una strana e struggente nostalgia che da qualche tempo lo aveva preso: nostalgia per il suo paese natio, per la sua famiglia di cui ormai sapeva ben poco e con cui già da tempo aveva tagliato ogni rapporto. Sapeva soltanto che i suoi vecchi erano morti, che molti suoi fratelli e sorelle erano emigrati in America, ma tutto in modo nebuloso e senza nulla di concreto.

Un giorno si decise ad affrontare l’argomento con Cesira.

-Tesoro, che ne diresti di trascorrere la nostra vecchiaia a Scandale? Qui non abbiamo nessuno e invece lì potremmo rifarci una vita, come se fossimo giovani e ricominciassimo da zero.

Cesira, che in fondo aveva piacere di conoscere i luoghi di origine della sua famiglia, si lasciò convincere facilmente. E l’anno successivo si ritrovarono al paese, dove acquistarono una villetta isolata in zona periferica.

Appena arrivato, Francesco andò a vedere con un po’ di ansia la casa in cui era nato, ma la trovò diroccata. Chiese discretamente notizie in giro, ma nessuno sapeva dargli notizie precise, per cui si mise il cuore in pace e non ci pensò più.

Decise di vivere la sua nuova vita in maniera discreta, limitandosi soltanto a frequentare gli ambienti della parrocchia e diventandone anzi uno dei frequentatori più assidui e convinti. Lui e la moglie non mancavano mai alla Messa domenicale, alle varie cerimonie liturgiche e Francesco ci tenne a diventare il presidente del comitato che organizzava la festa annuale della Madonna del Condoleo, di cui era diventato il finanziatore più generoso. Sembrava che con la loro nuova vita Francesco e Cesira volessero quasi espiare le turbolenze della loro vita precedente ed in tutto il paese erano apprezzati e discretamente riveriti.

Ancora oggi, se si va in visita alla chiesetta della Madonna del Condoleo a Scandale, è possibile sedersi su un banco che riporta una vistosa targhetta: DONO DELLA FAMIGLIA FRANCESCO E CESIRA RESTIVO.

Erano gli anni sessanta del secolo scorso e, in una serata di novembre, Francesco e Cesira avevano appena finito di cenare e si stavano preparando a vedere, in cucina, su un monumentale televisore in bianco e nero, la puntata settimanale della famosa trasmissione Lascia o raddoppia, presentata dal mitico Mike Bongiorno. Erano soli in casa, in vestaglia e pantofole, come d’abitudine, perché non erano soliti invitare qualcuno e d’altra parte, per il fatto di vivere in una villetta isolata, non avevano l’assillo di un problema allora molto diffuso in paese. I possessori di un televisore erano ancora molto pochi, fortunati o sfortunati che fossero, e questi pochi si vedevano ogni sera la casa invasa da parenti, amici e vicini, che accorrevano per vedere la TV allora ai primi passi.

La trasmissione era iniziata da un bel po’ ed i due erano molto attenti a seguirla, quando Francesco, che per deformazione professionale aveva sviluppato un udito eccezionale, ebbe l’impressione di sentire un rumore nella stanza vicina.

-Hai sentito?

-Che cosa?

-Un rumore strano.

-Non ho sentito niente. Cerco solo di sentire la trasmissione.

-Mah…

Dopo qualche minuto, Francesco ebbe l’impressione di sentire ancora un rumore provenire da una delle stanze.

-Hai sentito?

-Ancora?!

-Ho sentito un altro rumore.

-E io non sento niente.

-Mah…

Francesco continuava a stare attento ai rumori, ma non sentiva più niente. Pensò di essersi sbagliato. Dopo alcuni minuti ancora, sentì provenire chiaramente il rumore di una sedia che cade per terra. Questa volta non disse niente a Cesira.

Si alzò silenziosamente e aprì con delicatezza la maniglia di una porta che dava nel corridoio. Era tutto buio e silenzio. Si mosse con circospezione, lentamente, attento a non fare il benché minimo rumore e trattenendo quasi il respiro. L’aria tutt’intorno sembrava ferma e soltanto da una finestra poté notare che fuori una impercettibile brezza di vento moveva leggermente le foglie degli alberi rischiarati dalla luna. Avanzò in silenzio fino ad arrivare alla porta del suo studio. Aprì la porta, entrò, accese la luce e vide che tutto era in ordine. Continuò a procedere nel buio e si fermò davanti alla porta di un ripostiglio. Anche qui aprì, accese la luce, tutto in ordine. Continuò a procedere nel buio e si fermò davanti all’ultima porta del corridoio, che dava nel salone. Trattenne il respiro per qualche secondo, poi respirò profondamente, aprì e contemporaneamente accese la luce.

        Quello che gli si presentò davanti agli occhi fu come un fotogramma bloccato nella trasmissione di un video: due persone, apparentemente giovani, uno di fronte e l’altro di fianco, ciascuno con in mano due candelabri d’argento, che fino a qualche minuto prima facevano bella mostra di sé su una mensola del salone. I due erano rimasti bloccati dall’improvvisa accensione della luce, quasi incapaci di muoversi e con gli occhi spalancati davanti allo sconosciuto padrone di casa, che intanto si stava avvicinando.

Francesco si avvicinò lentamente, ma risolutamente, come spesso avviene nei sogni, quando i movimenti appaiono rallentati. Per prima cosa tolse loro i candelabri e li ripose su un tavolo, senza incontrare la benché minima resistenza. Poi disse:

-Mi conoscete? Sapete chi sono?

-No, non ti conosciamo, non sappiamo chi sei, ma perdonaci, perché noi rubiamo solo per necessità, rispose uno dei due.

-Allora ve lo dico io chi sono. Io sono Francesco Restivo. Avete mai sentito parlare di me?

-Certo che ne abbiamo sentito parlare. Ma non sapevamo che questa fosse casa tua. Ti chiediamo perdono.

E così dicendo, si prostrarono e caddero in ginocchio davanti a lui.

-Allora vi perdono. Ma per il futuro un consiglio ve lo voglio dare. Quando rubate, rubate soldi, non oggetti come i candelabri, perché i soldi sono di tutti e di nessuno ed è facile scambiarli, mentre i candelabri possono sempre essere rintracciati e questo può procurarvi soltanto guai.

Poi li prese entrambi per la collottola, li accompagnò alla porta, assestò ad ognuno dei due un solenne calcio nel culo e li lasciò liberi di scappare. Infine si voltò indietro e vide la moglie, a qualche metro di distanza, che lo aveva seguito in silenzio, senza profferire parola.

Ritornarono insieme verso la cucina, finirono di vedere la trasmissione in tv e poi, placidamente, andarono a dormire, senza particolari patemi. Avevano visto ben altro nella loro vita e non si allarmavano certamente per un fatto che, tutto sommato, essi consideravano abbastanza banale.

Al mattino, come sempre, Cesira fu la prima ad alzarsi dal letto. Andò in bagno, si agghindò un pochino perché doveva arrivare in paese a sbrigare alcune faccende, poi, in cucina, preparò il caffelatte per il marito ed il latte per sé. Poi andò a chiamare il marito, che arrivò mezzo addormentato, e si sedettero a fare colazione. Infine Cesira gli disse:

-Già che vado in paese, se mi dai i soldi, pago anche una bolletta dell’energia elettrica che sta per scadere.

-Lo sai dove tengo sempre il portafogli: nel primo cassetto della scrivania, nello studio.

Cesira vi si diresse, ma dopo un po’ disse ad alta voce:

-Non lo trovo. Non c’è nel primo cassetto.

-Non trovi mai niente tu. Guarda bene. Ci deve essere. Lo lascio sempre lì.

-Non c’èeeeeeee…

-Arrivo.

Francesco si alzò e di malavoglia si diresse verso lo studio. Aprì il primo cassetto, il portafogli non c’era. Aprì il secondo, non c’era. Aprì il terzo, non c’era. Incominciò a preoccuparsi e rovistò dappertutto. Infine si sedette sulla sua poltrona, sfinito e scoraggiato, e sotto il cuscino avvertì un rigonfiamento. Infilò la mano e tirò fuori il portafogli. Lo aprì, con il cuore in gola: c’era tutto, ma i soldi non c’erano. C’erano i documenti, alcune ricevute, ma i soldi non c’erano. Eppure ci dovevano essere: ricordava bene che qualche giorno prima aveva fatto un prelievo sul suo libretto postale ed aveva conservato ben 200.000 lire nel portafogli. E poi come c’era finito il portafogli sotto il cuscino della poltrona? Non sapeva spiegarselo.

Ad un certo punto ebbe come un lampo e capì tutto. Scoraggiato, si alzò in piedi, si avvicinò a Cesira e l’abbracciò, quasi per consolarsi di quello che gli frullava in testa.

-Tesoro, disse, ci hanno fregato 200.000 lire. Però, che tempi! che mondo! non c’è più rispetto per nessuno…che tempi…che tempi…

Ezio Scaramuzzino