Non
so come stiano le cose adesso, ma, quando io ero bambino, al paese, al mio
paese, a Scandale, di veri ladri non se ne vedevano in giro. E la cosa si
spiega facilmente. Si trattava di un paese povero e piccolo, dove c’era poco da
rubare. Le auto si contavano sulle dita di una mano. Al massimo, ogni tanto,
spariva qualche gallina e non so fino a che punto potesse essere considerato
ladro chi rubava solo per mettere qualcosa nello stomaco.
Le
cose cambiavano un po’ quando arrivavano gli zingari, che si accampavano alla
periferia del paese e destavano un po’ di allarme tra la gente. Ma anche loro
si limitavano a vendere qualche utensile in rame, dopo qualche giorno
ripartivano e la vita ritornava ad essere sonnacchiosa come prima.
Eppure,
in questo clima quasi idilliaco, anche al mio paese venne alla luce un ladro,
divenuto abbastanza famoso, anche se, c’è da precisarlo subito, a Scandale si
era limitato a nascere, perché il ladro l’avrebbe fatto a Milano, dove in
seguito avrebbe compiuto le sue gesta.
Si
chiamava Francesco Restivo, aveva poco più di quindici anni ed era il primo di otto
figli tra femmine e maschi. Era una famiglia povera quella dei Restivo, nella
quale vigeva una curiosa usanza. La casa era costituita da un unico stanzone,
dove erano distribuiti vari letti e lettini e dove non c’era posto per tutti, per cui la sera
l’ultimo che arrivava restava in piedi oppure andava a dormire all’addiaccio.
Era diventata famosa in paese e oggetto
delle risate dei paesani la vicenda di Francesco che una volta, svegliatosi
verso l’alba, aveva aperto gli occhi ed aveva detto al fratello che gli dormiva
accanto: “Giuva’, pari ca vi‘a méndula” (Giovanni, ho l’impressione di vedere
il mandorlo). Nulla di particolarmente grave. Era semplicemente successo che durante
la notte una tempesta di vento aveva fatto volare la fragile copertura della
casa, per cui all’interno aveva fatto capolino qualche ramo di un mandorlo che
cresceva lì vicino.
Comunque,
mandorlo o non mandorlo, mangiare o non mangiare, dormire o non dormire,
Francesco ben presto si era stancato di fare quella vita miserabile.
Una sera, mentre erano intenti a mangiare
una povera cena, nel silenzio generale, Francesco attirò l’attenzione di tutti
e disse:
- Papà, mamma, fratelli miei, sorelle mie,
io non ce la faccio più a vivere a Scandale. Sono il primo della famiglia e
voglio essere il primo a cercare fortuna e a partire.
- E che ti manca qui?, replicò il padre.
-
Niente manca, per chi si accontenta, ma a me manca tutto. Mi manca perfino
l’aria ed un posto per dormire.
E
dopo qualche giorno, in una fredda mattinata di gennaio dei primi anni
cinquanta, Francesco abbracciò i suoi familiari e partì, per Milano
precisamente. E siccome era un ragazzo sveglio ed intraprendente, oltre che
senza scrupoli, riuscì a fare fortuna, anche se soltanto come ladro. Erano gli
anni di Luciano Lutring, il solista del mitra, come era chiamato dai cronisti,
ma il nostro Francesco non era a quei livelli. Era, si direbbe oggi, un ladro
di serie B, ma approfittò del clima dell’epoca e, pur visitando abbastanza
spesso le patrie galere, riuscì ad accumulare una discreta fortuna.
A
Milano si sposò anche, con una ragazza del quartiere di Rogoredo, uno dei più
malfamati della città. Stava sfuggendo ad una retata della polizia e si era
infilato in un portone. Questa ragazza l’aveva visto, aveva capito tutto,
l’aveva fatto entrare a casa sua con la complicità della madre che era sarta e
vedova di uno dei tanti ladri della zona. Lo fecero nascondere in uno sgabuzzino
a scomparsa, che in precedenza era stato
utilizzato dal marito della sarta, quando, anche lui, ogni tanto aveva
bisogno di scomparire per qualche giorno, o per qualche ora.
Francesco
si annoiava in quello sgabuzzino che prendeva aria e luce solo da un finestrino
posto in alto: incominciò a sbuffare, poi a smaniare e, pur di aver qualcosa di
cui occuparsi, tirò via dalla parete un calendario di frate Indovino. Ma quale
fu la sua sorpresa quando si accorse che dietro quel calendario era stato
praticato un foro! Accostò l’occhio e vide che quel foro dava direttamente sul
laboratorio della sarta, anzi direttamente sul punto dove le clienti provavano
i vestiti.
Vide di tutto quel giorno: seni, gambe, sederi,
e vide anche una ragazza bellissima che lo mandò in estasi. Quando, verso sera,
la ragazza che lo aveva salvato venne a portargli qualcosa da mangiare,
Francesco ebbe l’idea di provarci, ma la cosa non andò a buon fine, almeno per
quella prima volta. Le disse:
-Mi
hai salvato e te ne ringrazio, ma ancora non so nemmeno come ti chiami. Io mi
chiamo Francesco, Francesco Restivo e sono Calabrese.
-Sei
un terùn, allora. Ma di dove, precisamente?
-Della
provincia di Catanzaro, rispose genericamente, ritenendo che fosse inutile dare indicazioni più
precise.
-Ma
proprio, proprio di Catanzaro?
-Beh,
veramente sono di Crotone, replicò, ritenendo sufficiente questa indicazione.
-Ma
proprio, proprio di Crotone?, continuò la ragazza
-Beh,
veramente sono di un paesino a 20 km di distanza, Scandale, che certamente tu non
conosci.
-Ma
và a dà via i ciapp (vaff… in milanese). Mio nonno era di Scandale ed abitava
in via Cafone del Molinaro. Si chiamava Tallarico ed io mi chiamo Cesira,
Cesira Tallarico.
I
due, ridendo, si scoprirono compatrioti, compatrioti all’estero e tutto questo indusse
Francesco a diventare un po’ più audace e ad allungare una mano.
-Sta
a l’indree, te se propri un pirla! (Stai dietro, sei proprio un cretino).
La
cosa finì lì, al momento, ma i due si rividero in seguito, si frequentarono e
qualche mese dopo si sposarono in una chiesetta della periferia, alla presenza
di pochi invitati, tra i quali non mancavano alcuni rappresentanti della mala
milanese.
Passarono
gli anni e, grazie alla sua intraprendenza ed alla sua abilità, Francesco era
intanto riuscito a raggiungere un certo livello di benessere, oltre ad una
certa stima ed un certo rispetto nella cerchia dei ladri di Milano.Viveva in un
bell’appartamento, vestiva elegantemente, aveva una macchina di lusso,
viaggiava spesso, si poteva permettere quasi tutto. Tra l’altro viveva anche
tranquillo, perché aveva ridotto la sua attività di ladro a pochi colpi, sicuri
e quasi senza rischio.
Ma
non era del tutto contento della sua vita. Intanto non era riuscito ad avere
figli dalla sua Cesira, e questo gli dispiaceva molto, e poi ormai era troppo
tardi per cercare di averne, perché stranamente, inspiegabilmente, si accorse
che si sentiva vecchio. Ma la cosa che lo angustiava di più era una strana e
struggente nostalgia che da qualche tempo lo aveva preso: nostalgia per il suo
paese natio, per la sua famiglia di cui ormai sapeva ben poco e con cui già da
tempo aveva tagliato ogni rapporto. Sapeva soltanto che i suoi vecchi erano
morti, che molti suoi fratelli e sorelle erano emigrati in America, ma tutto in
modo nebuloso e senza nulla di concreto.
Un
giorno si decise ad affrontare l’argomento con Cesira.
-Tesoro, che ne diresti di
trascorrere la nostra vecchiaia a Scandale? Qui non abbiamo nessuno e invece lì
potremmo rifarci una vita, come se fossimo giovani e ricominciassimo da zero.
Cesira,
che in fondo aveva piacere di conoscere i luoghi di origine della sua famiglia,
si lasciò convincere facilmente. E l’anno successivo si ritrovarono al paese,
dove acquistarono una villetta isolata in zona periferica.
Appena
arrivato, Francesco andò a vedere con un po’ di ansia la casa in cui era nato,
ma la trovò diroccata. Chiese discretamente notizie in giro, ma nessuno sapeva
dargli notizie precise, per cui si mise il cuore in pace e non ci pensò più.
Decise
di vivere la sua nuova vita in maniera discreta, limitandosi soltanto a
frequentare gli ambienti della parrocchia e diventandone anzi uno dei
frequentatori più assidui e convinti. Lui e la moglie non mancavano mai alla
Messa domenicale, alle varie cerimonie liturgiche e Francesco ci tenne a
diventare il presidente del comitato che organizzava la festa annuale della Madonna
del Condoleo, di cui era diventato il finanziatore più generoso. Sembrava che
con la loro nuova vita Francesco e Cesira volessero quasi espiare le turbolenze
della loro vita precedente ed in tutto il paese erano apprezzati e
discretamente riveriti.
Ancora
oggi, se si va in visita alla chiesetta della Madonna del Condoleo a Scandale,
è possibile sedersi su un banco che riporta una vistosa targhetta: DONO DELLA
FAMIGLIA FRANCESCO E CESIRA RESTIVO.
Erano
gli anni sessanta del secolo scorso e, in una serata di novembre, Francesco e
Cesira avevano appena finito di cenare e si stavano preparando a vedere, in
cucina, su un monumentale televisore in bianco e nero, la puntata settimanale
della famosa trasmissione Lascia o
raddoppia, presentata dal mitico Mike Bongiorno. Erano soli in casa, in
vestaglia e pantofole, come d’abitudine, perché non erano soliti invitare
qualcuno e d’altra parte, per il fatto di vivere in una villetta isolata, non
avevano l’assillo di un problema allora molto diffuso in paese. I possessori di
un televisore erano ancora molto pochi, fortunati o sfortunati che fossero, e
questi pochi si vedevano ogni sera la casa invasa da parenti, amici e vicini,
che accorrevano per vedere la TV allora ai primi passi.
La trasmissione era iniziata da un bel po’
ed i due erano molto attenti a seguirla, quando Francesco, che per deformazione
professionale aveva sviluppato un udito eccezionale, ebbe l’impressione di
sentire un rumore nella stanza vicina.
-Hai
sentito?
-Che
cosa?
-Un
rumore strano.
-Non
ho sentito niente. Cerco solo di sentire la trasmissione.
-Mah…
Dopo
qualche minuto, Francesco ebbe l’impressione di sentire ancora un rumore
provenire da una delle stanze.
-Hai
sentito?
-Ancora?!
-Ho
sentito un altro rumore.
-E
io non sento niente.
-Mah…
Francesco continuava a
stare attento ai rumori, ma non sentiva più niente. Pensò di essersi sbagliato.
Dopo alcuni minuti ancora, sentì provenire chiaramente il rumore di una sedia
che cade per terra. Questa volta non disse niente a Cesira.
Si
alzò silenziosamente e aprì con delicatezza la maniglia di una porta che dava
nel corridoio. Era tutto buio e silenzio. Si mosse con circospezione,
lentamente, attento a non fare il benché minimo rumore e trattenendo quasi il
respiro. L’aria tutt’intorno sembrava ferma e soltanto da una finestra poté
notare che fuori una impercettibile brezza di vento moveva leggermente le
foglie degli alberi rischiarati dalla luna. Avanzò in silenzio fino ad arrivare
alla porta del suo studio. Aprì la porta, entrò, accese la luce e vide che
tutto era in ordine. Continuò a procedere nel buio e si fermò davanti alla
porta di un ripostiglio. Anche qui aprì, accese la luce, tutto in ordine.
Continuò a procedere nel buio e si fermò davanti all’ultima porta del
corridoio, che dava nel salone. Trattenne il respiro per qualche secondo, poi
respirò profondamente, aprì e contemporaneamente accese la luce.
Quello che gli si presentò davanti agli occhi fu come un
fotogramma bloccato nella trasmissione di un video: due persone, apparentemente
giovani, uno di fronte e l’altro di fianco, ciascuno con in mano due candelabri
d’argento, che fino a qualche minuto prima facevano bella mostra di sé su una
mensola del salone. I due erano rimasti bloccati dall’improvvisa accensione
della luce, quasi incapaci di muoversi e con gli occhi spalancati davanti allo
sconosciuto padrone di casa, che intanto si stava avvicinando.
Francesco si avvicinò lentamente, ma
risolutamente, come spesso avviene nei sogni, quando i movimenti appaiono
rallentati. Per prima cosa tolse loro i candelabri e li ripose su un tavolo,
senza incontrare la benché minima resistenza. Poi disse:
-Mi
conoscete? Sapete chi sono?
-No,
non ti conosciamo, non sappiamo chi sei, ma perdonaci, perché noi rubiamo solo
per necessità, rispose uno dei due.
-Allora
ve lo dico io chi sono. Io sono Francesco Restivo. Avete mai sentito parlare di
me?
-Certo
che ne abbiamo sentito parlare. Ma non sapevamo che questa fosse casa tua. Ti
chiediamo perdono.
E
così dicendo, si prostrarono e caddero in ginocchio davanti a lui.
-Allora
vi perdono. Ma per il futuro un consiglio ve lo voglio dare. Quando rubate,
rubate soldi, non oggetti come i candelabri, perché i soldi sono di tutti e di
nessuno ed è facile scambiarli, mentre i candelabri possono sempre essere
rintracciati e questo può procurarvi soltanto guai.
Poi
li prese entrambi per la collottola, li accompagnò alla porta, assestò ad
ognuno dei due un solenne calcio nel culo e li lasciò liberi di scappare.
Infine si voltò indietro e vide la moglie, a qualche metro di distanza, che lo
aveva seguito in silenzio, senza profferire parola.
Ritornarono
insieme verso la cucina, finirono di vedere la trasmissione in tv e poi,
placidamente, andarono a dormire, senza particolari patemi. Avevano visto ben
altro nella loro vita e non si allarmavano certamente per un fatto che, tutto
sommato, essi consideravano abbastanza banale.
Al mattino, come sempre, Cesira fu la prima
ad alzarsi dal letto. Andò in bagno, si agghindò un pochino perché doveva
arrivare in paese a sbrigare alcune faccende, poi, in cucina, preparò il caffelatte per il marito ed il latte per sé. Poi andò a chiamare il marito, che
arrivò mezzo addormentato, e si sedettero a fare colazione. Infine Cesira gli disse:
-Già
che vado in paese, se mi dai i soldi, pago anche una bolletta dell’energia
elettrica che sta per scadere.
-Lo
sai dove tengo sempre il portafogli: nel primo cassetto della scrivania, nello
studio.
Cesira
vi si diresse, ma dopo un po’ disse ad alta voce:
-Non
lo trovo. Non c’è nel primo cassetto.
-Non
trovi mai niente tu. Guarda bene. Ci deve essere. Lo lascio sempre lì.
-Non
c’èeeeeeee…
-Arrivo.
Francesco
si alzò e di malavoglia si diresse verso lo studio. Aprì il primo cassetto, il
portafogli non c’era. Aprì il secondo, non c’era. Aprì il terzo, non c’era.
Incominciò a preoccuparsi e rovistò dappertutto. Infine si sedette sulla sua
poltrona, sfinito e scoraggiato, e sotto il cuscino avvertì un rigonfiamento.
Infilò la mano e tirò fuori il portafogli. Lo aprì, con il cuore in gola: c’era
tutto, ma i soldi non c’erano. C’erano i documenti, alcune ricevute, ma i
soldi non c’erano. Eppure ci dovevano essere: ricordava bene che qualche giorno
prima aveva fatto un prelievo sul suo libretto postale ed aveva conservato ben
200.000 lire nel portafogli. E poi come c’era finito il portafogli sotto il
cuscino della poltrona? Non sapeva spiegarselo.
Ad un certo punto ebbe come un lampo e capì
tutto. Scoraggiato, si alzò in piedi, si avvicinò a Cesira e l’abbracciò, quasi
per consolarsi di quello che gli frullava in testa.
-Tesoro,
disse, ci hanno fregato 200.000 lire. Però, che tempi! che mondo! non c’è più
rispetto per nessuno…che tempi…che tempi…
Ezio
Scaramuzzino