martedì 4 ottobre 2022

Un popolo e il suo destino

 

Una spiaggia iraniana oggi


Dispiace, anzi addolora, quanto sta avvenendo in Iran dopo la morte della giovane Masha Amini in un carcere dove era stata rinchiusa per il reato di "immoralità" (portava il velo islamico lasciando fuori posto qualche ciocca di capelli). Ogni giorno proteste e duri interventi della polizia, con centinaia di arresti, morti e feriti. E' una strage continua e non è la prima volta che accade nella storia recente del Paese, ormai avvolto nella spirale continua di un destino di dolore e di morte. Solo che questa volta il destino c'entra ben poco, o perlomeno, se c'entra, bisogna pur dire che il popolo iraniano ci ha messo molto del suo nel costruirselo questo destino. Occorre, per forza di cose, ricordare qualche evento.

Era il 1978 e a Teheran regnava lo Scià, Reza Pahlavi. Era tutt'altro che perfetto questo imperatore, ma perlomeno era un sincero amico dell'Occidente ed aveva fatto varie riforme, che consentivano una lenta, ma graduale evoluzione dello stile di vita della popolazione. Lo Scià aveva anche un alto concetto di sé e solo qualche anno prima aveva celebrato il bimillenario della sua monarchia, che egli faceva addirittura risalire a Ciro il Grande, il fondatore dell'antico Impero persiano.

Lo Scià, però, non era riuscito a guadagnarsi il favore degli ayatollah, una sorta di alto clero dell'Islam sciita, molto intransigente e radicale. Costoro lo accusavano soprattutto di corruzione e di immoralità, soprattutto in relazione a quello che essi consideravano un vero e proprio decadimento dei costumi.

Nello stesso periodo divenne famoso a Parigi, dove viveva da esule, l'ayatollah Rhuollah Khomeyni, osannato per il suo antiamericanismo. E questo era più che sufficiente a far dimenticare il resto ed a renderlo appetibile all'opinione pubblica di mezzo mondo. Nel gennaio del 1979 lo Scià fuggiva all'estero, ormai incapace di sedare i tumulti che si ripetevano contro di lui, mentre, su un aereo graziosamente messo a disposizione dalla Francia, il primo febbraio 1979 Khomeyni arrivava a Teheran, accolto in delirio dalla folla.

Ricordo, come fosse ieri, che non riuscivo a dare una spiegazione logica a quel che vedevo e mi chiedevo come fosse possibile che quella popolazione in delirio non si rendesse conto e non si accorgesse dell'inizio di un nuovo Medioevo. La gente sembrava impazzita per l'arrivo dell'ayatollah e piangeva lacrime di gioia per la nuova vita che nasceva. Di lì a poco sarebbe nata la Repubblica Islamica dell'Iran e quelle lacrime di gioia di qualche giorno prima si sarebbero presto tramutate in lacrime di disperazione e di morte.

Una spiaggia iraniana nel 1970

Ezio Scaramuzzino

mercoledì 17 agosto 2022

La banalità del male

 


Durante la fiaccolata di ieri,  16 agosto 22, svoltasi a Crotone in solidarietà al giovane Davide Ferrerio, aggredito e ridotto in fin di vita da un quasi coetaneo, faceva bella mostra di sé un unico striscione con la scritta CROTONE DICE NO ALLA VIOLENZA. Ferma restando la nostra vicinanza alla vittima e alla famiglia, oltre che il nostro apprezzamento per l’iniziativa, ci si chiede se tutto sia andato per il verso giusto e se la cerimonia debba considerarsi inappuntabile nel suo svolgimento.

Intanto perché definire fiaccolata un percorso di poche centinaia di metri e con poche fiaccole rispetto al numero dei partecipanti? Perché non si è ritenuto opportuno utilizzare tutto, o in buona parte, il lungomare, cosa che avrebbe avuto un impatto emotivo ben più importante per l’intera città?

E poi perché quell’unico striscione così banale  nella sua disarmante pochezza? Crotone dice no alla violenza e la cosa non fa una piega, ma ci si chiede se oggi possa esistere in Italia, in Europa, nell’universo mondo una qualche città, un paese, un borgo, un quartiere, un condominio che dice sì alla violenza. C’era bisogno di farlo sapere, era tanto importante divulgare una notizia così originale?

Forse si poteva evitare qualunque striscione, ma, se proprio si voleva, si poteva scrivere CROTONE: PERCHE’ TANTA VIOLENZA?

Perché è legittimo chiedersi:

Perché a Crotone una simile, disumana violenza, anche se ormai questa è un dato costante della nostra società?

Perché, pur potendolo fare, nessuno è intervenuto a difendere il giovane?

Perché l’aggressore, di origine Rom, pare oltretutto senza alcun motivo plausibile, ha deciso di farsi “giustizia” da solo in modo così feroce?

Si spera che l’inchiesta giudiziaria possa far luce su tutti gli aspetti della vicenda e che il colpevole sia condannato ad una pena esemplare, ma gli aspetti reconditi e sociali della vicenda non saranno mai analizzati e disvelati, se non ci sarà la volontà politica di risolvere alcuni nodi e problemi che da troppo tempo attanagliano il nostro vivere quotidiano.

Perché finora le tragedie, nel nostro Paese, sono spesso, se non sempre, servite a fare passerella. E anche ieri qualche politico e i vari sindaci in prima fila e con la fascia tricolore non sono mancati. Non potevano fare un passo indietro, o almeno di lato? Non era meglio consentire che fosse solo la società civile ad esprimere il suo dolore ed il suo sgomento? Qualche politico  ha anche manifestato l’intenzione di costituirsi Parte civile nel processo. Vedremo se avverrà e a che titolo. E, tanto per non lasciarci privi di indicazioni culturali, non è nemmeno mancato un Reverendo che, durante la cerimonia nella piazzetta del Carmine, ha ritenuto opportuno ricordare l’insegnamento del Mahatma Gandhi, piuttosto che quello del Vangelo, evidentemente ritenuto non adeguato alla bisogna.

Per intanto tutto sembra convergere verso un unico fine, quasi a voler confermare il titolo di un famoso saggio di Hannah Arendt sulla banalità del male.

Ezio Scaramuzzino

(seguono 16 firme dell'Associazione politico-culturale Popolo e Identità)

martedì 9 agosto 2022

In ricordo di Pasquale Attianese


 

A distanza di qualche giorno dalla sua scomparsa, ora che il tumulto dei ricordi si è come sedimentato ed ha ripreso la calma consistenza di ciò che è destinato a durare per sempre, mi piace ricordare Pasquale Attianese, un amico e collega che ci ha lasciati improvvisamente più soli. Di Pasquale, a voler parafrasare il titolo di un famoso film, posso dire “Io lo conoscevo bene“.

Certo, a Crotone, egli era conosciuto un po’ da tutti. La sua quarantennale attività di Docente di Latino e Greco al Liceo Pitagora l’aveva messo a contatto di tante famiglie ed anche io, all’inizio, lo avevo conosciuto in tale veste.  Si aggiungano a questo la sua competenza altissima di monetazione magno-greca e i tanti libri da lui pubblicati, che ne avevano fatto un’autorità indiscussa in materia. Le nostre strade si sono poi incrociate allorché entrambi ci siamo ritrovati  ad essere docenti dell’Istituto paritario Benedetto XVI ed in quell’occasione  ho avuto  il privilegio di poterlo apprezzare anche dal punto di vista umano.
Mi piace ricordare ora il suo eterno sorriso, le sue polemiche da burbero benefico quale in fondo egli era e che si sgonfiavano nel tempo di qualche minuto. Mi piace ricordare ancora le tante “pizze” che ci hanno visto insieme, le nostre escursioni in auto, il nostro piacere reciproco di ritrovarci  con i tanti amici e colleghi della scuola.
Caro Pasquale, siamo stati bene assieme e ci siamo voluti bene. Sempre a confidarci i nostri crucci, le poche volte che c’erano, con un tono tra il serio ed il faceto, che pareva essere diventato la cifra segreta del nostro modo di affrontare i problemi. Ma uno sgarbo, debbo ammetterlo, alla fine io l’ho ricevuto da te. Tu, che eri di qualche anno più giovane di me, mi hai preceduto nel lungo viaggio e mi hai dato il dispiacere della tua scomparsa. Ma non posso nemmeno escludere che in fondo si tratti soltanto del tuo ultimo sberleffo.
Io me ne vado, sembri volerci dire, i tempi sono quelli che sono ed io mi ero rotto. Arrangiatevi“.
Ezio Scaramuzzino
 

sabato 16 aprile 2022

Buona Pasqua

 


Buona Pasqua a quelli che si sentono o sono ricchi e a quelli che si sentono o sono poveri.

Buona Pasqua a quelli che cercano un lavoro e a quelli che invece un lavoro ce l’hanno.

Buona Pasqua a quelli che dormono nella sicurezza di una casa e a quelli che dormono sotto la volta delle stelle.

Buona Pasqua a quelli che sono o si sentono felici e a quelli che sono o si sentono infelici.

Buona Pasqua a quelli che sono o si sentono confortati dal calore di un’amicizia e a quelli che sono o si sentono soli ed abbandonati.

Buona Pasqua a quelli che hanno un amore e a quelli che un amore non ce l’hanno.

Buona Pasqua a quelli che tendono il cuore verso la  libera e prospera Ucraina e a quelli che sognano la grande madre Russia.

Buona Pasqua a quelli che sognano la pace ed ottengono la guerra e a quelli che sognano la guerra per ottenere la pace.

Buona Pasqua a quelli che votano a destra e a quelli che votano a sinistra.

Buona Pasqua ai vaccinati contro il Covid e a quelli che ritengono il vaccino inutile e pericoloso.

Buona Pasqua a quelli che si sentono prima di tutto Italiani e a quelli che si sentono prima di tutto uomini, Europei e cittadini del mondo.

Buona Pasqua a me, a voi, a voi tutti, amici miei.

Che il nostro animo sia aperto alla tolleranza, alla comprensione, all’affetto, all’amicizia, all’amore. La nostra esistenza su questa terra è solo un breve attimo dell’infinita esistenza dell’universo e la nostra vita è troppo breve per trascorrerla nell’intolleranza, nell’incomprensione, nel rancore, nell’odio.

Ezio Scaramuzzino

Pasqua  2022


venerdì 4 febbraio 2022

La gara degli asini (racconto inedito)

 



L’asino è stato per molti aspetti l’animale più comune e più in vista durante la mia infanzia e la sua apoteosi coincideva con la festa della Madonna del Condoleo, che a Scandale si celebrava annualmente, ad agosto.

L’ultimo giorno della festa c’era la gara degli asini, nella quale i primi arrivati vincevano di solito qualche provolone e qualche chilo di salsicce.

La modestia dei premi non escludeva però un certo accanimento, perché già allora nessuno si faceva scrupolo di avvalersi di accordi più o meno segreti e di sotterfugi. A lungo si parlò di un concorrente che, pur di danneggiare il favorito, si presentò con una giovane asina in calore, che sconvolse tutti i piani e finì col favorire la vittoria di un vecchio ronzino, molto avanti negli anni ed evidentemente insensibile al fascino della signorina asina.

Tra gli eterni favoriti, uno in particolare era considerato una sorta di idolo. In realtà gli idoli erano due: lui perché era bravo a cavalcare, l’asino perché era bravo a correre. Lui si chiamava Peppino Biafora ed abitava non molto lontano da casa mia. Chiamava il suo asino Ponente, forse per attribuirgli la velocità del vento, e lo custodiva in una stalla a fianco della sua abitazione.

Nei primi anni Cinquanta, Peppino e Ponente erano diventati dei miti nel mio quartiere, dove i due erano assurti quasi a simboli della nostra gloria sportiva.

I due avevano vinto una serie ininterrotta di primi premi, quando, nel 1956, il mito improvvisamente crollò, rovinando nel baratro dell’ignominia.

Si era a Luglio e dal balcone di casa mia era sempre possibile vedere Ponente  tenuto a pascolare liberamente nei campi. Di lì a poco ci sarebbe stata la festa e per Ponente quel pascolo tranquillo costituiva una sorta di preparazione psico-fisica alla gara. Verso sera il figlio di Peppino, Carletto, immancabilmente, andava a recuperarlo.

Una sera lo vidi rientrare con l’asino, mentre lui con una mano lo teneva dalla coda, in una posizione molto vicina alla giunzione col deretano, e con l’altra dava l’impressione di accarezzarlo amabilmente.

-Carletto, che dici? Ce la facciamo pure quest’anno a vincere?

-Certo che ce la facciamo. Come negli ultimi anni del resto.

-Ma Ponente incomincia ad invecchiare. A proposito quanti anni ha?

-Ha vent’anni, ma è come se ne avesse dieci di meno.

-Mah! So che quest’anno ci sono concorrenti nuovi e temibili. Speriamo bene.

-Tranquillo! Anzi, sai che ti dico? Considerati già invitato alla mangiata dopo la vittoria.

-Ah, grazie. Ciao.

-Ciao.

E venne il giorno della gara. Di fronte alla chiesa madre erano allineati quindici asini, senza bardatura e con in groppa i rispettivi padroni, che una volta all’anno si improvvisavano fantini. Gli asini sembravano aspettare placidamente, mentre tutt’intorno c’era fermento e confusione. Mi avvicinai a Ponente e mi capitò di ascoltare casualmente un fitto scambio di battute tra Peppino ed il figlio Carletto, del quale lì per lì non capii niente.

- Hai tutto pronto?

- Sì, tutto pronto.

- E dove ce l’hai?

- In tasca. In una bustina.

- Hai preso il migliore che c’era?

- Certo. Non sono scemo.

- A quella curva che t’ho detto. Dietro il cespuglio.

- Ho capito.

- Vai, corri, corri…

Le contestazioni sulla posizione di partenza si protrassero a lungo e quando, dopo più di mezz’ora,  il segnale fu finalmente dato, gli asini partirono. Lungo le strade polverose si stentò a vedere o a capire qualcosa di preciso. Ma una cosa fu chiara fin da subito: Ponente era in difficoltà e sembrava arrancare vistosamente, in ultima posizione.

Mancava ancora più di un chilometro alla conclusione della corsa, quando, in una curva defilata e seminascosta, da uno spettatore solitario Carletto fu visto avvicinarsi velocemente all’asino, accarezzarlo misteriosamente all’altezza della giuntura della coda e poi allontanarsi furtivamente, guardandosi attorno.

All’uscita da quella curva, Ponente incominciò a correre come un forsennato. Riguadagnò il terreno perduto, bevendosi gli altri concorrenti man mano che li raggiungeva, e batté l’ultimo rivale quasi sul filo di lana, riuscendo a vincere.

Anche in quel 1956 Ponente sbaragliava gli avversari e Peppino si portava a casa il premio che quell’anno era particolarmente generoso, prevedendo, oltre al solito provolone, anche un’intera porchetta, già pronta e da consumare con gli amici.

-Evviva Peppino, evviva Ponente!, si sentiva gridare da più parti, mentre il comitato organizzatore della gara proclamava ufficialmente i vincitori.

Si formò un corteo: una corona di fiori fu posta al collo di Peppino, mentre al collo di Ponente fu posta una più opportuna corona di biada. Peppino procedeva lentamente in groppa al suo asino, immediatamente seguito da quattro portantini che su una rudimentale barella di legno esibivano in bella mostra il provolone e la porchetta. Chiudeva un codazzo di gente che, già pregustando l’abbuffata imminente, si lasciava andare a lazzi e sfottò nei confronti degli avversari sconfitti.

-Viva la Colla! [il nostro quartiere], gridava qualcuno

-Abbasso il Chiano e Genuzzo! [altri quartieri rivali]

-Viva Peppino! Viva Ponente!

-Per il Chiano e Genuzzo finita la pacchia!...Una bella pernacchia…, gridavano alcuni rimatori estemporanei, che poi concludevano con pernacchie terrificanti.

Ma tra gli avversari sconfitti c’era chi non si dava pace e, su imbeccata di quell’uno che aveva visto, presentò un ricorso al comitato organizzatore.

Il presidente del comitato si vide consegnare un reclamo scritto a mano e firmato da tutti gli altri concorrenti, nel quale si leggeva:

Al Presidente onorabile del Comitato della gara della Madonna.

Noi partecipanti facciamo ricorso contro il vincitore, perché c’è qualche cosa che non va. Perché qualcuno ha visto il figlio del vincitore avvicinarsi alla coda dell’asino e manovrare. E perciò chiediamo un controllo sull’asino, possibilmente di un veterinario o di un fabbro ferraio che fa lo stesso, e  se non si fa il controllo subito scoppia una rivoluzione.

Fu dato incarico di procedere ad una visita corporale dell’asino al fabbro ferraio del paese, mastro Armando Gentile. Costui, seguito da un codazzo di persone tumultuanti della fazione che aveva presentato il ricorso, si recò a casa del vincitore, dove fervevano i preparativi per la gozzoviglia, e, sventolando in aria l’incarico scritto, si fece consegnare l’asino; subito dopo, in uno strano silenzio immediatamente prodottosi, diede inizio alla visita.

Infilò prima di tutto un paio di guanti, un po’ sdruciti, ma che gli conferivano un aspetto professorale, poi si fece largo tra i presenti ed incominciò. Gli guardò prima di tutto la bocca, ma non notò nulla di particolare, a parte i denti ancora impastati di biada. Poi passò agli zoccoli ed anche qui vide che tutto era a posto. Quindi pose un orecchio su vari punti della pancia dell’animale e non auscultò nulla che potesse apparire anormale. Infine, su insistenza di alcuni astanti che protestavano, passò all’esame della coda e delle parti posteriori.

Si convinse che anche la coda era a posto, ma non poté fare a meno di notare che il sottocoda, in particolare nella parte che coincideva con la giuntura al deretano, era chiaramente arrossato. Poi notò che era ancora più arrossata la zona perianale e, per convincersi meglio, fece girare l’asino in modo che il suo didietro fosse esposto più direttamente ai raggi del sole. Alla vivida luce del giorno vide che qualcosa di non meglio precisato fuoriusciva leggermente dall’orifizio anale e si chiese che cosa potesse essere. Infilò leggermente due dita ed estrasse con precauzione.

Non c’erano più dubbi: quel qualcosa che egli aveva estratto e che ancora teneva stretto tra due dita era semplicemente il residuo, la buccia o la parte terminale di un grosso peperoncino, tra l’altro della specie più piccante in assoluto.

Lo consegnò al Presidente, che lo aveva seguito con attenzione nel corso dell’ispezione corporale e quest’ultimo, seduta stante e senza perdere tempo, prese le sue decisioni. Si rischiarò la gola con due colpetti di tosse e ad alta voce gridò:

-Considerato che è assolutamente proibito fornire agli animali droghe che possano in qualunque modo alterare il loro rendimento durante la gara, squalifico il vincitore, confisco i premi attribuiti e li assegno al secondo arrivato.

Lascio immaginare quel che successe.

Parolacce, grida, spintoni ed anche qualche scazzottata tra le opposte fazioni. Nella confusione generale molta gente cercò comunque di conquistare un po’ di cibarie e quel provolone e quella porchetta finirono smembrati, spezzettati ed in parte anche calpestati e dispersi.

Io stesso, sgattaiolando tra le gambe dei litiganti, ero riuscito a procurarmi un’intera coscia della porchetta. Avevo ancora un livido sulla fronte, soffrivo per qualche botta rimediata e, mentre ritornavo a casa, stavo rimuginando su quel dialogo concitato tra Peppino e Carletto prima della partenza, che improvvisamente mi si schiarì e mi indusse ad un amaro sorriso. Il livido, la sofferenza e l’amarezza non mi impedirono comunque di rivolgere la mia attenzione alla porchetta trafugata, che incominciai a piluccare prima con calma e poi a mangiare quasi con voluttà, continuando a sorridere tra un boccone e l’altro. Di quel pasto fuori ordinanza e di quella giornata memorabile ancora oggi, a distanza di tanti anni, conservo il gusto ed un piacevole ricordo.

Ezio Scaramuzzino

Gennaio 2022

venerdì 21 gennaio 2022

Un amico che se ne va



Non sapevo della sua malattia ed ho saputo adesso della sua scomparsa. Il caro Peppe non c'è più ed avverto la necessità di dedicargli queste ultime parole, per fargli capire, se già non l'aveva capito, l'affetto che mi legava a lui e che è lo stesso affetto con cui adesso lo ricordo. Peppe è stato uno dei punti fermi della mia infanzia e dei legami di tenera amicizia che legava tutti quelli che abitavamo, a Scandale, nei dintorni di Viale Puccini e del quartiere San Leonardo. Lo ricordo quando, con un sorriso, cercava di dire il suo cognome, mettendosi le mani alle orecchie e restringendo le guance per creare simpaticamente l'immagine di un coniglio. Lo ricordo quando si sforzava di ripetere il mio difficile e lungo cognome e mi chiamava Hunt, come un famoso calciatore inglese dei mondiali del '66, finendo, lui per primo, col sorridere della confusione che si creava. Lo ricordo ancora quando mi vedeva ritornare al paese, di tanto in tanto, e ci teneva a dirmi che aveva stima di me e, chissà perché, accompagnava le sue parole con l'indicazione di una penna che scrive. Caro Peppe, ora che non ci sei più, avverto pienamente il senso della vita che scorre e ci lascia soltanto il ricordo struggente di ciò che maggiormente ci ha legati alle nostre abitudini più care, ai nostri legami più teneri e più dolci. Mi piace immaginarti mentre ancora ti aggiri, gesticolando, in un luogo destinato alle persone giuste, alle persone  che se ne vanno e ci lasciano con un bilancio che è in credito con la vita. Ti invio un lungo, ultimo, affettuoso abbraccio. Riposa in pace.

domenica 9 gennaio 2022

Un anno dopo



Tesoro mio, è passato un anno da quando te ne sei andata e mi hai lasciato, ci hai lasciati. Temevo di non farcela ed invece eccomi qui, a rivolgerti, anche se non sei più tra di noi, quelle parole d'amore che hanno accompagnato la nostra vita e ne sono state il simbolo e l'essenza. Io sono ancora una volta vicino a te per continuare in maniera sommessa quel discorso ininterrotto, per ripetere i gesti della nostra comune esistenza, da quando ti ho conosciuta  fino a quando ho stretto per l'ultima volta le tue mani ormai fredde ed inerti tra le mie che cercavano di trasmetterti un po' del mio respiro.

        E' passato un anno da allora, 365 giorni, tanti attimi, tanti fuggevoli istanti, che ho smesso di contare, perché ho capito che la nostra vita non è finita: essa continua, anche se in modo diverso. Perché la tua è stata una vita unica, con il rilievo di ciò che non è caduco e che quindi è destinato a durare per sempre. Perché tu sei eterna per me, tu sei ancora viva. Procedevi nella vita come in un sogno ed avanzavi leggera, come in una danza, mentre negli occhi e sulla fronte ti risplendeva la gioia di vivere. Poi sei caduta. La malattia ha oltraggiato la tua bellezza, ma non è riuscita a cancellare la tua immagine nitida dalla mia memoria.

        Rivedo la nostra vicenda come nei fotogrammi di un film e mi accorgo che questo film, irripetibile, è più grande della vita terrena, è un capolavoro senza tempo, che conserva ancora intatto il fascino della poesia eterna, il senso ed il mistero coinvolgente di ciò che ha significato la tua, la mia, la nostra condizione. Ciao, tesoro mio, ciao.