In
ogni regione italiana esistono paesi e paesini in eterna e simpatica lotta tra
di loro e molti forse ignorano che una simile rivalità esiste, o almeno
esisteva, anche fra Scandale e San Mauro Marchesato, in provincia di Crotone. Io sono vissuto a Scandale
fino ai 30 anni e di questa simpatica, ma a volte sordida, rivalità ho avuto la
possibilità di essere testimone e talvolta partecipe diretto ed indiretto.
Le prime avvisaglie le percepii già da
ragazzino, quando incominciai a far caso in paese alla strana presenza di
persone sconosciute. A Scandale ci conoscevamo tutti e la presenza di uno
sconosciuto non passava inosservata. Succedeva che, soprattutto la domenica,
quando gli Scandalesi si riversavano a Crotone, per una semplice gita in auto o
per andare al cinema, a Scandale si vedevano passeggiare
lungo il corso principale molti giovanotti, talvolta in coppia, ma più spesso da
soli. Li vedevi a volte impacciati nell’abito della domenica e con le scarpe
nuove usate solo per le grandi occasioni.-Chi sono e da dove vengono queste
persone?, chiedevo ogni tanto.-Sono i giovanotti di San Mauro, che vengono qui
a cercare moglie, mi sentivo rispondere. Già, perché quei giovanotti
consideravano Scandale la loro Crotone ed il fatto di potersi sposare con una
delle nostre ragazze era da loro considerato una sorta di promozione sociale. E
difatti nascevano allora molti matrimoni tra i giovani dei due paesi, favoriti
anche dal fatto che, tutto sommato, le ragazze di Scandale non disdegnavano
quegli approcci con giovanotti considerati seri, lavoratori, risparmiatori e
pronti a sobbarcarsi per una vita intera le fatiche ed i sacrifici di una
famiglia.
Ogni tanto, ovviamente, nascevano degli
screzi, delle perplessità, e per lungo tempo si parlò del fidanzamento di
Giuseppina di Scandale e Franceschino di San Mauro. Franceschino era un bravo
ragazzo, un po’ tracagnotto a dire il vero, ma, quel che è peggio, povero e
privo di terre o di beni al sole. Giuseppina aveva qualche perplessità e si
premurò di chiedere il parere del padre che lavorava in Germania. Ed il padre,
ben consapevole della scarsa avvenenza della figlia probabilmente destinata a
rimanere zitella, si affrettò a rispondere in un Italiano approssimativo:-Cara
Giuseppina, ho capito. Non ci pensare troppo, picchì iggru ni tincia, ma nua
l’anniricamu (perché lui ci sporca, ma noi lo
facciamo nero).
Poi i due si fidanzarono e, quando subito
dopo anche Franceschino fu costretto ad andare in Germania, essi, che non erano
molto gagliardi nella scrittura, presero l’abitudine di mandarsi delle lettere
prendendole dal Segretario galante,
un libro allora molto diffuso, che entrambi avevano acquistato e che conteneva
lettere d’amore. Giuseppina scriveva:-Caro Franceschino, la mia lettera è
quella a pagina 105 del libro. E l’altro:-Cara Giuseppina, la lettera di
risposta è a pagina 106. “Bei tempi”, verrebbe da dire.
Ma i rapporti tra i due paesi non si esaurivano
nella creazione di famiglie. Un’altra importante occasione di rapporti era
costituita dalle partite di calcio. Non c’era occasione importante in cui a
Scandale non si organizzasse una partita con gli eterni rivali di San
Mauro. Allora non c’erano regolari campionati ed ogni scusa era buona per
organizzarne una. Su campi improvvisati, con attrezzature improvvisate e con
maglie di diversa foggia o a torso nudo i giocatori, tra i quali spesso ero
anche io, allora considerato una discreta schiappa, si giocavano partite alle
quali assisteva un incredibile numero di persone dei due paesi. Lo scopo
principale non era quello di vincere, ma quello di darsele di santa ragione. Si
giocava solo per azzoppare o per picchiare gli avversari e, in queste condizioni,
raramente le partite finivano regolarmente, al 90° minuto. Il più delle volte,
il capitano del San Mauro chiedeva all’arbitro la sospensione per qualche
minuto, poi radunava i suoi, parlottava con loro e, immancabilmente, concludeva
ad alta voce:-Ragazzi, sputazza(saliva) in bocca e tutti a casa. Lo ricordo
ancora oggi, nitidamente, come fosse ieri.
Poi c’erano anche incontri occasionali, non
meno esilaranti. Una volta mi trovavo verso mezzogiorno in piazza Oberdan a
Scandale, in attesa dell’arrivo di un pullman. Da poco in un angolo era stata
piazzata una colonnina di benzina, di quelle che calcolavano il rifornimento
con un quadrante ad orologio, novità assoluta per i paesi del circondario. Vidi
passare un giovanotto che, nel notare per la prima volta la colonnina, si
accostò, fissò il quadrante, poi alzò il braccio sinistro, tirò su la manica e armeggiò con il suo orologio. Dopo qualche minuto si trovò a ripassare,
ripeté le operazioni di prima, poi si accostò e mi chiese:-Cugì’ [a San
Mauro si chiamano tutti “cugini”], ma quell’orologio è fermo?.
Un’altra volta, quando a Scandale avevano da
poco inaugurato il monumento ai caduti, un soldato armato di fucile, mi si
avvicinò uno sconosciuto, che mi chiese:-Scusatemi, ma quello sul monumento
quale santo è? Gli risposi:
-
Quel monumento non è un santo, ma un soldato e rappresenta i caduti in guerra.
–Ah…, scusatemi. Ovviamente, sentitomi chiamare “cugino”, non avvertii la
necessità di chiedergli da dove venisse.
Un giorno mi ritrovai a San Mauro per non
ricordo più quale motivo. Vidi, accanto all’insegna di un barbiere,
un’indicazione più piccola, “GIORNALI”. Entrai, deciso a comprare il mio
giornale preferito in quel periodo, Il
tempo di Roma. –Avete il quotidiano Il
tempo? –Certo che ce l’abbiamo. Pagai, uscii e solo allora mi accorsi che
mi avevano dato Il corriere della sera. Rientro.-Scusate,
ma mi avete dato il Corriere, io
avevo chiesto Il tempo. – Ah, ma io Il tempo non ce l’ho. –Ah, mi dispiace,
ma io volevo Il tempo. – E che ci fa?
Non è sempre un quotidiano? Le notizie sono le stesse. Siete di Scandale, vero?
Solo a Scandale avete queste fisime. Sorrisi, tenni il Corriere ed uscii.
Mi capitò un giorno di avvertire un’eco
della vita di San Mauro anche a Milano. Erano gli anni ottanta del secolo
scorso e con la mia famiglia mi ritrovai a fare una visita al Duomo nel
pomeriggio di una calda domenica estiva. Vidi ed ascoltai due persone che,
pigramente sedute sulla scalinata, parlavano animatamente tra di loro.
Dall’accento capii che erano miei “cugini” ed ascoltai distintamente uno dei
due che diceva all’altro: - A crap’’i Catinazzu s’ha manciat’ i cuvategghri ‘i
da Benincasa” (la capra di Catinazzo s’è mangiata i cavatelli della Benincasa).
Per capire: i cavatelli erano un tipo di pasta fatta in casa che veniva messa
ad asciugare al sole ed evidentemente una capra del vicino non s’era fatta
scrupolo di papparseli crudi. Era questa la notizia del giorno per i due
simpatici Sanmauresi; molto più importante della guerra in Vietnam o della
crisi di governo.
Ci fu una volta però che un Sanmaurese mi
colpì e mi fece restare a bocca aperta con la sua stringente logica
aristotelica. Ero fermo con la mia auto nei pressi del Bivio Manile, a poca
distanza dal paese, in attesa che un meccanico venisse a farmela ripartire dopo
un guasto improvviso. Vidi ai bordi della strada un pastore che controllava a
distanza una piccola mandria di mucche pascolanti su una vicina collinetta.
Questo fu il dialogo che si instaurò, su mia iniziativa, tra noi due.
-Cugì’,
sono tue queste vacche?
-Sì,
sono mie.
-Ed
il terreno dove pascolano è pure tuo?
-No,
quello l’ho preso in affitto.
-E
quanto paghi d’affitto?
-Dipende…
-Dipende
da che cosa?
-Dipende
se le vacche hanno la coda o non ce l’hanno.
-Fammi
capire. Che c’entra la coda? Per caso mangiano con la coda le tue
vacche?, replicai con intento sfottitorio e
sorridente.
-C’entra
perché una vacca con la coda paga di più di una vacca senza coda.
-Ma
perché? Non capisco.
-Cugì’,
ma allora sei tardivo. Una vacca senza coda spesso deve alzare la
testa per cacciare le mosche e quindi mangia
meno di quella con la coda,
che invece mangia continuamente perché fa con
la coda quello che l’altra fa
con la testa.
-Hai
ragione, cugì’. Scusami. Non ci avevo pensato.
Così allora trascorreva il tempo e tali
erano i rapporti instauratisi tra i due paesi, tra amabili sfottò e reciproci
dispetti; tranne che in un periodo, circoscritto ma non per questo meno spiacevole,
intorno agli anni sessanta. Si era sparsa la voce a Scandale che passare con
l’auto da San Mauro, per andare a Catanzaro, era diventato pericoloso. Alcune
tra le poche auto circolanti allora, nell’attraversare San Mauro, si erano
ritrovate con uno pneumatico forato ed erano state costrette a fermarsi, con
dispendio di tempo e di denaro. Fu breve il passaggio da questi pochi casi di
forature alla diceria che i Sanmauresi, ad un segnale convenuto, si divertivano
a spargere chiodi per strada quando riconoscevano l’auto di qualcuno di
Scandale.
La diceria ad un certo punto divenne
un’inoppugnabile verità e gli Scandalesi ritennero che fosse giunto il momento di vendicarsi.
Ben presto anche molte auto provenienti da San Mauro, nell’attraversare
l’abitato di Scandale, furono costrette a fermarsi per forature strane ed
inspiegabilmente numerose.
La conclusione fu che per molti mesi le auto
di Scandale, dirette a Catanzaro, furono costrette a passare da Crotone e le
auto di San Mauro, dirette a Crotone, furono costrette a passare da Cutro. Poi,
a poco a poco, il fenomeno si diradò, finì e tutto tornò come prima.
C’era un fatto però sul quale, già allora,
c’era poco da discutere e Scandale, cavallerescamente, riconosceva l’indiscussa
superiorità di San Mauro. E questo fatto consisteva nella capacità di
organizzare la propria festa patronale. San Mauro e Scandale avevano ed hanno
due Madonne come protettrici: rispettivamente la Madonna del Soccorso e la
Madonna di Condoleo, le cui feste si celebravano in estate a poca distanza di
tempo l’una dall’altra. Orbene quella della Madonna del Soccorso era una festa
infinitamente più bella e più ricca rispetto all’altra. Gli Scandalesi lo
riconoscevano, amaramente, ma lo riconoscevano. Diciamo pure che
nell’organizzare la festa i Sanmauresi si sublimavano, davano fondo alle loro
risorse e diventavano insuperabili. Ricordo che, quando c’era la festa del
Soccorso, molti Scandalesi si raccoglievano su una collina dalla quale potevano
comodamente vedere a distanza di pochi chilometri i fuochi d’artificio che
stupivano fino all’incanto. Ricordo pure che qualche volta le famiglie si
riunivano sulla terrazza di qualche casa più alta per assistere allo
spettacolo.
Ma anche gli spettacoli serali erano una
goduria. Già allora a San Mauro arrivavano cantanti famosi che si esibivano in
piazze affollatissime, con gente proveniente dai paesi vicini, quando ancora a
Scandale si assisteva a malinconici spettacoli di bande musicali, che si
esibivano in noiosi concerti di opere liriche raffazzonate, di cui non fregava
niente a nessuno.
Una volta venne Miranda Martino, bellissima
e mitica cantante, della quale si chiacchierava molto al paese, perché si
raccontava che fosse l’amante dell’argentino Grillo, un famoso giocatore del
Milan. Bisognava proprio andare a vederla, possibilmente da vicino. Ci
organizzammo tra amici e a piedi, in un gruppo di circa venti persone tra
ragazzi ed adulti, ci dirigemmo a San Mauro, accorciando i pochi chilometri di
percorso con l’imboccare sentieri e mulattiere di campagna.
Alle 8 di sera eravamo già tutti davanti al
palco, quando ancora mancava un’ora all’inizio. Nessuno si spostava dal posto
faticosamente conquistato, proprio davanti all’ingresso del palco, a furia di
spintoni e gomitate. Vicino a noi due giovanotti, con il vestito nuovo della
festa e la testa impomatata di brillantina, inneggiavano ad alta voce:-
Mi-ran-da! Mi-ran-da! Uno dei due sembrava irrefrenabile e continuava ad agitarsi,
fino a quando l’altro, Michele, gli disse:- Cicciarì’, u ti scurdari ca dumani
amu jir’ a métiri (Ciccillo, non dimenticare che domani dobbiamo andare a
mietere). Al che Ciccillo si diede una calmata, almeno fino all’arrivo di
Miranda, che subito mandò tutti in delirio con una famosa canzone di Battisti, Pensieri e parole. La sua voce potente e
luminosa si librò nell’aria come un arcobaleno: -Che ne sai tu di un campo di
grano…-Cicciarì’, ha sintutu? A nua ni dicia che ne sai tu di un campo di
grano, a nua ca dumani amu jir’a métiri.(Ciccillo, hai sentito? A noi dice che
ne sai tu di un campo di grano, a noi che domani dobbiamo andare a mietere). E
così tra lazzi, frizzi, urla ed applausi trascorse la serata almeno fino a
mezzanotte, quando i due amici di San Mauro si avviarono mogi verso casa. Io li
seguivo a ruota ed ebbi modo di sentire un’ultima perla.
-Ohi
Miché, l’ha saputa l’urtima?
-Picchì?
chi d’è successo?
-L’aiu
sintutu aru comunicatu i menzijùarnu (al giornale radio di mezzogiorno). Mo nua
dumani avissim’i jiri a métiri e propri’oi
(proprio oggi) l’Americani anu jittatu na bumba tomma (bomba atomica)
subba n’atollu (sopra un atollo, piccola isola).
-'Na chi? (che cosa)
-'Na
bumba tomma…
-E
chi d’è ‘na bumba tomma?
-Oi Miché, è 'na bumba ca, s’’a jettanu a San Mauro, ni vrusciano tutt’u siminatu(
ci bruciano tutto il raccolto). Atru ca métiri. (Altro che mietere).
Ci allontanammo dai due e tutti gli Scandalesi, ancora non rassegnati a considerare finita la festa e vogliosi di
prolungarla oltre ogni limite, ci fermammo ad un bar a prendere un gelato. Ed
avvenne qualcosa cui ancora oggi, solo a pensarci, stento a credere.
Si era seduto vicino a me, allo stesso
tavolo, un signore di Scandale, certo Luigi Bomparola, che ad un certo punto mi
si accostò all’orecchio e mi disse:
-Posso
chiederti un favore?
-Certo…Che
ti serve?
-Vedi
il tipo con i baffi a quel tavolo a
circa 20 metri da qui? Girati lentamente…
-L’ho
visto.
-Beh…Quello
lì si chiama Mario Ammirati ed è un contadino di San Mauro. Mi deve dei soldi
da tanto tempo e non riesco a farmeli restituire. Anzi, mi aveva pure scritto
che era ancora in Germania e che sarebbe rientrato ad ottobre ed invece il
bastardo è proprio qui. Ora io lo avvicino. Tu non devi fare niente. Devi solo
controllare che qualcuno non mi aggredisca alle spalle. Vado.
Si diresse verso il suo debitore ed io gli
andai dietro a breve distanza. Ma l’Ammirati, avendo riconosciuto il suo
creditore, si era alzato pure lui, per dileguarsi e probabilmente far perdere
le sue tracce. Si era formato uno strano corteo. L’Ammirati avanti, svelto e
quasi di corsa, e dietro noi due, che pure stentavamo a tenere il passo, ma
cercavamo di raggiungerlo.
Ce l’avevamo quasi fatta, quando l’Ammirati,
sentendosi quasi perduto, vide alla sua destra come unica possibilità di
salvezza un gabinetto pubblico, nel quale si infilò, chiudendo la porta dietro
di sé. Il Bomparola, sopraggiunto col fiatone, non si rassegnò ed incominciò ad
assestare calci alla porta del gabinetto, gridando:
-Compà’,
chiri sordi…(Compare, quei soldi)
E
dall’interno:
-Compà’,
aviti ragiuni, ma mo tegnu ‘n’affari pi ri mani e, si mi va bonu ca mi va bonu,
u primu bucu chi tapp’è propri’’u vostu (Compare, avete ragione, ma adesso ho
un affare per le mani e, se mi va bene, il primo buco che tappo è proprio il
vostro).
-Compà,
ma chi mi cuntati? Mi vuliti pigghiari pi ru culu? (...prendere per il culo?)
E
dall’interno nessuna risposta. E, siccome il silenzio si protraeva, il
Bomparola prese la rincorsa ed assestò un tale calcio che sfondò la porta e la spalancò. Ma all’interno non c’era nessuno. Tutti e due guardammo in alto,
dove era posto un finestrino con il vetro in frantumi. Ma era mai possibile che
l’Ammirati, grosso com’era, si fosse volatilizzato attraverso quel finestrino?
Mogi mogi tornammo indietro a raggiungere
gli altri, mentre il Bomparola continuava ad inveire contro quel “bastardo”. Ma
noi l’Ammirati l’avevamo visto davvero in carne ed ossa o avevamo visto solo il
suo fantasma? E poi quello che credevamo di aver visto era veramente l’Ammirati
o uno che soltanto gli rassomigliava, mentre il vero Ammirati era probabilmente ancora
in Germania? Ed infine si poteva escludere che quella fosse soltanto l’ultima
presa per i fondelli che un Sanmaurese aveva orchestrato ai danni di uno Scandalese?
Non dimentichiamo che l’Ammirati era un contadino ed il contadino, si sa…,
scarpe grosse…e cervello fino.
Ezio Scaramuzzino