Un giorno di Aprile dei primi anni sessanta, qualcuno al Bar Centrale diede la notizia che entro qualche mese, a Scandale, sarebbe stato girato un film, Il brigante. Si trattava di un film sull’occupazione delle terre nell’immediato secondo dopoguerra, tratto da un bel romanzo di Giuseppe Berto.
L’attesa era spasmodica e ai primi di Giugno arrivarono i camion con le attrezzature, arrivarono i tecnici e soprattutto arrivò il regista del quale tanto si parlava, il famoso Renato Castellani, e poi gli attori protagonisti, Adelmo Di Fraia e Serena Vergano, due giovani promesse di cui si raccontavano mirabilia. Di Castellani già allora si diceva che fosse omosessuale, cosa non infrequente nel mondo del cinema, e qualcuno dava per sicuro che il giovane attore protagonista fosse il suo amante segreto, il che solleticava ulteriormente la curiosità della gente. Aiuto regista era un giovane con i baffetti, che calzava sempre degli stivali, con qualunque tempo, un certo Eriprando Visconti, del tutto sconosciuto, ma che ai più informati evocava il nome del grande Luchino Visconti, del quale in effetti il giovane era nipote, come si venne a sapere subito.
In una piazza fu allestito il set e la vita del piccolo paese fu sconvolta: c’era da passare il tempo e inoltre, cosa che non guastava, c’era da guadagnare qualche soldino, che avrebbe fatto comodo alle nostre tasche in perenne crisi di astinenza. La produzione, a quel che si diceva, pagava bene e molti venivano sottoposti a provini per qualche particina secondaria o, in alternativa, per le scene di massa, che si preannunziavano spettacolari e numerose.
L’anno scolastico intanto era giunto al termine ed anche io mi preparavo a lasciarmi coinvolgere da quell’avventura. L’incipiente consumismo non costringeva ancora la gente a partire per le vacanze e, se qualcuno aveva voglia di un po’ di mare, si limitava a scendere a Crotone per mezza giornata e a sistemare un ombrellone su un tratto di spiaggia libera. Il film si preannunziava come un interessante ed elettrizzante diversivo in un’estate che non sarebbe quindi trascorsa come tutte le altre che l’avevano preceduta.
Per la prima volta nella mia vita potei vedere come si girava un film, conoscere i trucchi del cinema ed assistere dal vivo alle riprese di quelle scene che fino ad allora avevo potuto guardare solo nel chiuso e nel buio di una sala cinematografica. Al mattino, verso le otto, ero già pronto a sistemarmi in una posizione comoda per assistere alle riprese. Conobbi le macchine della pioggia e le macchine del vento, con il lancio di terra davanti alle loro enormi pale per simulare la polvere delle strade. Conobbi il trucco di sistemare dei mortaretti in una traccia sotto terra per simulare i colpi dei mitra e delle pistole. Conobbi l’uso della salsa di pomodoro che simulava il sangue dei morti e dei feriti. Vidi, con mia grande meraviglia, che alcuni attori, quando dovevano dire qualcosa, si limitavano ad elencare dei numeri senza senso, perché il sonoro sarebbe poi stato montato a parte nel chiuso degli studi cinematografici. Assistetti alla ripresa di scene di massa, in cui i contadini del luogo si muovevano seguendo gli ordini impartiti dal regista attraverso un megafono.
Assistetti incantato alle riprese di alcune scene in cui recitava la giovane attrice protagonista, che interpretava il ruolo della donna del brigante, destinata a morire tragicamente nello scontro a fuoco finale con i carabinieri. Quella giovane attrice a me sembrava particolarmente brava e bella e per qualche tempo essa alimentò i miei sogni di adolescente. Immaginai di poter recitare anche io e per qualche tempo sperai che la fortuna, o il caso, mi consentisse di dire almeno qualche battuta davanti alla macchina da presa accanto a lei. Decisi di sottopormi a dei provini, ma fui inesorabilmente scartato, con mio grande rammarico.
Miglior fortuna riusciva ad avere nel frattempo il sarto Giovanni Parrilla, mio amico anche se alquanto più grande di me, che aveva avuto qualche esperienza di lavoro nella sartoria del Teatro alla Scala di Milano e che già da qualche tempo, per motivi di salute, era ritornato al paese, dove aveva aperto una sua bottega artigiana. Nei primi giorni di lavorazione si era offerto di collaborare con le maestranze e, richiesto di qualche ritocco ai costumi di scena, aveva saputo farsi apprezzare, tanto che il regista a un certo punto gli chiese di creare un intero costume da contadina, da far indossare alla protagonista nell’ultima e drammatica scena del film.
Un giorno Giovanni mi informò, quasi senza riuscire a contenersi per la gioia, che l’indomani Serena Vergano sarebbe venuta nella sua bottega per delle prove e per le misure del costume che lui avrebbe dovuto creare. Lo pregai, lo implorai quasi di farmi partecipare all’evento in qualche modo e lui, in nome della vecchia amicizia, mi assunse seduta stante come semplice aiutante, fornendomi le necessarie ed indispensabili istruzioni.
Il giorno dopo la Vergano, accompagnata da Renato Castellani, verso mezzogiorno faceva il suo ingresso nella bottega artigiana del mio amico. L’attrice, che era una ragazza piuttosto semplice e con atteggiamenti tutt’altro che da diva, non si perse in preamboli e, seguendo le istruzioni del regista, si spogliò subito, rimanendo in sottoveste.
Io avevo l’incarico di avvolgerle le spalle con degli scampoli di velluto, fino alla scelta di quello definitivo, che, su indicazione del sarto, il quale osservava un po’ discosto , avrei dovuto richiudere con una spilla da balia.
Ero emozionato ed un po’ incerto nei movimenti, ma riuscii a nascondere il mio segreto turbamento. Quando sarto e regista concordarono nella scelta della stoffa ed io fui invitato a bloccarla con la spilla, la Vergano, forse per una sua disattenzione, forse per consentire una migliore aderenza della stoffa sulle sue spalle nude, con un gesto improvviso lasciò cadere la sottoveste, che prima sembrò impigliarsi nelle dita della sua mano e poi, scivolando dolcemente lungo i fianchi, andò a posarsi ai suoi piedi, afflosciandosi inerte.
Risollevai lo sguardo, che aveva seguito le evoluzioni della sottoveste, e vidi il petto della ragazza, candidissimo, completamente nudo.
Dovevo richiudere la stoffa con la spilla, ma probabilmente mi misi ad armeggiare con imperizia ed in maniera disarticolata e convulsa. Si sentì solo un grido acutissimo e subito dopo si vide la Vergano coprirsi il seno con una mano, mentre alcune gocce di sangue gocciolavano tra le sue dita.
Mentre Castellani imprecava contro di me, lanciandomi una pedata che mi colpì di striscio, qualcuno provvide a portare di corsa l’attrice dal medico Mauro, che la curò, iniettandole un’antitetanica, disinfettando la ferita e applicandovi una garza e un cerotto.
Qualche giorno dopo si stava girando una scena di massa sotto una pioggia artificiale. C’era molta confusione sul set e Castellani impartiva ordini, gridando in un megafono con la sua vocetta stridula, come fosse spiritato. Mi avvicinai a lui, approfittando della confusione, e mi fermai alle sue spalle. Studiai le sue mosse e, come mi accorsi che stava prendendo la rincorsa per precipitarsi chissà dove, infilai il mio piedino destro in mezzo ai suoi.
Il famoso regista, che era un ometto basso e magro, fece dapprima una capriola su se stesso, riuscendo quasi miracolosamente a rimanere in piedi, ma poi perse definitivamente l’equilibrio, navigò scivolando per un paio di metri in un mare di fango e cadde bocconi, lungo disteso sulla strada.
Chi lo soccorse e lo stesso Castellani, quasi irriconoscibile per il fango limaccioso che gli ricopriva il volto, erano convinti che la caduta fosse da addebitarsi alla concitazione del momento. Io intanto, sgattaiolando tra la gente, riuscivo ad allontanarmi. Mi ero vendicato della mancata assunzione come figurante e, soprattutto, cosa che mi bruciava particolarmente, mi ero vendicato della pedata di qualche giorno prima. Eravamo pari, finalmente, anzi, forse, potevo anche mettere in conto un piccolo, ma significativo vantaggio su di lui.
Ezio Scaramuzzino
Ezio Scaramuzzino
Nessun commento:
Posta un commento