Lucia Romani
è una giovane signora toscana. Un anno fa ha pubblicato il libro Il tempo
di un respiro. Ne riporto la presentazione.
Ho conosciuto Lucia Romani qualche anno fa
su Internet, in uno dei tanti social
network che oggi costituiscono la croce
e la delizia dei tempi che viviamo. La persona mi incuriosiva per tanti motivi.
Lucia, o Lu’, come tutti la chiamavano, diceva cose non banali e rivelava nelle
sue parole un’intensità di vita, che non è dato riscontrare normalmente nei
discorsi che si fanno in tali siti.
Dopo i primi scambi di battute, rituali e scontati in simili circostanze, passammo a
parlare d’altro. Così seppi che Lu’ viveva ad Abbadia San Salvatore, che era
sposata ed aveva due figli, che lavorava in uno studio notarile. Pensai in un
primo momento al caso, non infrequente, di una persona che cerca di
interrompere il grigiore e la routine della vita quotidiana, ma fui anche
felicemente sorpreso di constatare che lei aveva gusti estetici raffinati: cantava
come soprano nel locale coro di Abbadia, amava Ivano Fossati e Zucchero,
prediligeva Mozart, leggeva l’ Imitazione
di Cristo di Tommaso da Kempis e i grandi romanzieri della seconda metà
dell’Ottocento, come Gustave Flaubert e Leone Tolstoj.
Poi, con il passare del tempo, venni a
sapere altro. Fu lei stessa a dirmi che era reduce da due lutti familiari, che avevano profondamente
segnato la sua vita. Nel 1989 era morta la madre Giovanna Antida e nel 1994 era
morta, in giovane età, la sorella Grazietta. Me ne parlò con pudore, con
l’esitazione tipica delle persone che quasi hanno paura di dare libero sfogo
all’onda dei sentimenti. Fui io ad insistere perché mi raccontasse tutto, un
po’ perché sono naturalmente desideroso di conoscere gli accadimenti umani di
chi per un verso o per l’altro entra nella mia vita, ma anche, e soprattutto,
perché mi venne voglia di sapere tutto di lei e della sua famiglia.
Poi, per un lungo periodo di tempo, non
parlammo più di queste vicende. Proprio in quel periodo avevo iniziato a
collaborare con una rivista mensile, per la quale scrivevo dei racconti. Lei molte volte lesse questi racconti in
anteprima e mi fu utile in molte circostanze, suggerendomi qualche titolo e
rivelando inoltre un vivo interesse per quello che scrivevo.
Un giorno le suggerii, senza troppa
convinzione e quasi per un riflesso automatico, di cimentarsi nella scrittura
e di raccontare le vicende della sorella
Grazietta. Speravo, forse in maniera inconscia,
di avere in tal modo un quadro completo e organico delle vicende che lei
mi aveva raccontato in momenti diversi e in modo frammentario.
Lu’ prese molto seriamente il suo compito e,
nell’arco di un mese o poco più, ne cavò fuori questo libro. Me lo mandò in lettura via e-mail in un
pomeriggio di Settembre e lo lessi con un’ emozione, che mi impedì di staccare
gli occhi dal testo prima di essere arrivato alla parola “Fine”.
Non ho esitazione a dire che questo
libro non solo mi ha emotivamente
coinvolto, ma mi ha anche profondamente commosso, tanto che, quando Lu’ ha
deciso di pubblicarlo e me ne ha chiesto
una presentazione, ho accettato con piacere di scrivere queste brevi note.
Potrà sembrare strano che ciò accada, ma
bisogna dire per prima cosa che la narrazione è pacata e tranquilla e che proprio per questo ha una forza emotiva straordinariamente intensa.
Le sue parole, prive di orpelli e di ridondanze, sembrano ricondotte al loro
significato primigenio e colpiscono con la forza del ricordo la mente e il
cuore di chi già sa o vuole sapere che
cosa significhi l’affetto tra sorelle, un affetto grande, più grande della vita
e della morte.
Per uno strano caso ho avvertito , sia nel
titolo, sia nella narrazione, l’eco lontana di un libro che a suo tempo fu
famoso. In quel libro, Breve come un
sospiro, Anne Philippe raccontò nel 1964 la scomparsa del marito, l’attore francese
Gérard Plilipe, morto all’età di 37 anni per un tumore. Il racconto di Anne
Philipe ebbe allora un grande successo ed è ancora considerato un piccolo
gioiello della letteratura memorialistica.
Orbene, con la stessa convinzione sento di
poter dire che anche il lungo racconto di
Lucia Romani, questo diario di un dolore, deve essere considerato un piccolo
gioiello e merita di essere conosciuto.
Ezio Scaramuzzino
Nessun commento:
Posta un commento