Non so se conoscete Max Del Papa. Se non lo conoscete, o se non avete mai letto un suo articolo, vi siete perso qualcuno o qualcosa nella vita. Ma si può sempre iniziare a conoscerlo. Riporto il suo ultimo articolo. Questa volta il suo atteggiamento non è indignato, come spesso gli capita, bensì dolente e quasi commosso, come di chi osserva da una specola lontana il formicolio disperato degli umani su questa terra e sa che quel formicolio è inutile e che presto nessuno resterà immune.
File chilometriche per la
minestra dei poveri, lungotevere ridotto una baraccopoli, portici invasi da
coperte. Questi costi sono umani, ma non c’è umanità per loro. Vuoti a perdere,
costi non rimborsati, è andata così, sotto a chi tocca… Una epidemia mal
curata, politicamente, socialmente, e si muore ogni giorno un po’. Gli
strombazzati piani di Conte sono fuffa cotta e mangiata. Il potere è così: cava
le sue di castagne, sul fuoco ci lascia i cittadini. E insistono, richiudono
tutto, non sentono ragioni, non si preoccupano di niente. Questi sono i costi
che sfuggono, non controllabili, non calcolabili
Quali
sono i costi non controllabili di una pandemia? Sono quelli che sfuggono, che
nessuno si prende la briga di calcolare: considerati inevitabili e lasciati là,
alla mercé del fato. Questi costi sono umani, ma non c’è umanità per loro.
Vuoti a perdere, costi non rimborsati, è andata così, sotto a chi tocca. Poi
succede che un telegiornale, per una volta, si sofferma a raccontare la vita di
quelli che prima del Covid bene o male tiravano avanti e poi le ultime funi si
sono spezzate e si sono ritrovati sotto i ponti del Tevere, chiusi in una
tenda, a sperare l’impossibile. Una e una sola volta: si spara il servizio
patetico di quello salvato dagli amici, dalle raccolte su Facebook, che ha
ritrovato un futuro, e finisce lì. Come se gli altri invece non restassero alla
mercé del nulla. Non se ne parla più, l’informazione ha fatto il suo dovere,
“voltiamo decisamente pagina”, come dice la speaker.
Ma
se volti pagina, ne trovi una uguale: file chilometriche per la minestra dei
poveri, lungotevere ridotto una baraccopoli, portici invasi da coperte con
dentro esseri umani. Che uno non ci crede, uno pensa: ma non è possibile. E non
vuole saperlo, perché quei “barboni” sono troppo vicini, sono a un passo dal
destino: perché è toccato a loro e non a te? Perché non avevano una rete
familiare come la tua, in grado di sopperire alla scomparsa del futuro? Ma ci
sono di continuo “costi” che perdono la bussola, che non hanno più lavorato,
hanno tenuto duro fino a che gli espedienti non sono bastati più. Poi,
lasciarsi morire giorno dopo giorno o farla finita in un attimo, il solito
biglietto di scuse per una colpa mai commessa, non fa tutta questa differenza.
Molti,
non tutti, stanno nel commercio spicciolo, nella ristorazione, nelle opere di
fatica, o nello spettacolo: musici, istrioni, attori un tempo di successo, una,
che non vogliamo nominare per rispetto, si è appena umiliata alla sua età:
quarant’anni fa era sulla bocca di tutti, straziante attrice comica, adesso è
volata via da Roma, tornata a casa di sua madre e “mando provini, mi dicono le
faremo sapere, ma nessuno mi fa sapere. E non so che sarà di me”. “Se poi è
così difficile morire”, cantava Lucio Battisti. No, non è difficile: basta un
morbo inatteso, una epidemia mal curata, politicamente, socialmente, e si muore
ogni giorno un po’, pur restando vivi.
Il
Lungotevere come una baraccopoli? Possibile? Sì, possibile e verissimo. Roma
come la Parigi di Simenon, nei cui romanzi, nei cui Maigret non c’è mai una
indagine senza i clochard: non dettaglio, non sfondo, ma carne viva e consunta
del racconto, non quinta ma centro, sbandate esistenze i cui odori, le cui
ruggini dicono tutto della precarietà dell’uomo. A Simenon servono per
illustrare una verità troppo ingrata: che un giorno prima anche quei “barboni”
avevano case riscaldate, mestieri, futuri in saldo, e poi sono rotolati sotto i
ponti della Senna, allo stesso modo in cui un assassino è un uomo “normale”
fino a un attimo prima: dopo, non sarà mai più come gli altri.
L’abissale
sincerità di Simenon è un insegnamento quasi evangelico: non disprezzare, non
condannare, perché sei troppo fragile di fronte al mare della vita, ogni
momento un’ondata può spazzarti via. E adesso Roma è un romanzo di Maigret. Vai
per il Lungotevere e trovi questa allucinante trama di stracci, di tende rotte,
di carabattole di chi ha finito i giorni. E si allungherà, perché lo sappiamo,
perché la verità è che nessuno sa bene cosa fare – gli strombazzati “piani di
resistenza e resilienza” di Conte sono la quintessenza della fuffa cotta e
mangiata – e i soldi non ci sono. È difficile sfiorare un barbone. Uno teme
sempre che la sua fine sia contagiosa quanto e più del Covid; ma si sta facendo
inevitabile. E “barboni” sono in tanti: quello che ha perduto il lavoro, quello
che sta seduto al tavolino della trattoria, unico cliente di se stesso, quello
che guarda fuori dalla vetrina e vede solo fantasmi, quello che aspetta un
provino, un colpo di telefono o semplicemente un colpo che se lo porti via.
Magari il giorno di Natale, questo Natale che non ci sarà, perché qualcuno ha
voluto così. Ma la solitudine, quando si sta al limite, è più letale del virus,
è una sirena irresistibile. Neppure la sventura è democratica, si accanisce
sempre sui deboli, quelli col destino a pieno carico che, se ci si posa sopra
un corvo, tutto schianta.
Noi
siamo un Paese di statalisti molto sedicenti liberali, pretendiamo sempre sia
un potere istituzionale a cavarci le castagne dal fuoco. Ma il potere cava le
sue di castagne, sul fuoco ci lascia i cittadini, percepiti come numeri. Roma,
Milano, Como, Palermo come la Parigi di Simenon: ma insistono, richiudono
tutto, non sentono ragioni, non si preoccupano di niente. Questi sono i costi
che sfuggono, non controllabili, non calcolabili. Sono “loro”, e noi siamo a un
passo da quelle tende.
Max Del Papa
Un momento incerto, doloroso che ci obbliga a guardarci intorno e svegliare la nostra insensibilità.Il potere istituzionale pensa a salvaguardare i propri interessi non ai problemi della Gente, in questo momento di bisogno e di Solitudine obbligata.
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