domenica 5 ottobre 2014

Tra una notizia e l'altra...





Vedo  sempre più di rado dei Tg. Ne rifuggo quasi istintivamente: le notizie che ci arrivano dalla cronaca, dalla politica, da tutto il resto, di certo non contribuiscono a tranquillizzarci circa il futuro del mondo, dell’Italia, di ognuno di noi in particolare. Guerre in varie parti del mondo, crisi economica generale, incertezza, a volte paura. 
Ma ci sono alcune notizie che mi procurano particolare angoscia e non so se tra queste  esista un filo sottile che le collega e ce le fa apparire come  facce diverse di un’unica realtà. Quando mi capita di sentire queste notizie, avverto come un senso di ripulsa, che mi induce a pensare ad altro, a distogliere lo sguardo e qualche volta a spegnere la tv o a cambiare programma.
            Le voci monocordi ed impersonali dei giornalisti ci fanno capire per altro che per molti  di loro non c’è poi tanta differenza tra le varie notizie. Ed è qui l’aspetto terribile: ci stiamo abituando a tutto.
Io invece non riesco ad abituarmi a tutto e c’è una parte di me che ancora si ribella e si rifiuta di accettare come normale routine ciò che invece non lo è.
Quando i TG mostrano gli sgozzamenti perpetrati dai musulmani dell’ISIS nei confronti di poveri cristi umiliati ed indifesi, non penso più a nulla, non dico più nulla, perché tutto ormai è stato pensato, tutto è stato detto, anche se non tutto è stato fatto, di fronte a tanta ignominia. Mi limito a cambiare canale TV. Non mi va di pensare ai balbettii dell’Occidente, troppo interessato al petrolio e al gas, per potersi interessare alla dignità e alla vita dei suoi cittadini.
Quando i TG mostrano l’invasione continua, l’alluvione  di sbarchi, che il nostro governo persegue e favorisce con la Marina addirittura utilizzata nella ricerca e nella protezione dei clandestini; quando assisto a questo scempio, mi limito a cambiare canale TV. Non mi va di pensare  alla  nostra classe politica, vile, miope ed ottusa, che si limita a gestire l’oggi alla meno peggio e si rifiuta di pensare al domani.

domenica 10 agosto 2014

Massacro in corso di Cristiani

10 AGOSTO 2014

 Il dramma in corso dei cristiani perseguitati vede i laici (perfino governi anticlericali come quello francese) quasi più sensibili del mondo cattolico ed ecclesiastico. Dove si trattano con poca sensibilità e qualche fastidio le vittime, mentre si usa una reticente cautela – cioè i guanti bianchi – verso i carnefici.
Duecentomila cristiani (ma anche altre minoranze) sono in fuga, cacciati dai miliziani islamisti che crocifiggono, decapitano e lapidano i nemici. In queste ore  giungono pure notizie ufficiose di efferatezze indicibili su donne e bambini (speriamo non siano vere).
Considerando questo martirio dei cristiani che sono marchiati come “nazareni” senza diritti, braccati, uccisi, con le chiese bruciate e la distruzione di tutto ciò che è cristiano, la voce del Vaticano e del Papa – di solito molto interventista e vigoroso – è stata appena un flebile vagito.
Neanche paragonabile rispetto al suo tuonare cinque o sei volte “vergogna! Vergogna! Vergogna!” per gli immigrati di Lampedusa, quando peraltro gli italiani non avevano proprio nulla di cui vergognarsi perché erano corsi a salvare quei poveretti la cui barca si era incendiata e rovesciata mentre erano in mare.

LA NOTA (STONATA)
Ha ragione Giuliano Ferrara. Che di fronte all’orrore che si sta consumando nella pianura di Ninive, il Vaticano abbia partorito, giovedì (in grave ritardo oltretutto), una semplice “nota” di padre Federico Lombardi dove, a nome del Papa, si chiede alla “comunità internazionale” di porre fine al “dramma umanitario in atto” in Iraq, è quel minimo sindacale che ha l’unico obiettivo di salvare la faccia.
Anche perché è ben più di un “dramma umanitario” e nulla si dice su cosa bisognerebbe fare. Inoltre – osserva Ferrara – “nulla, nella dichiarazione freddina, viene detto su chi siano i responsabili di questi ‘angosciosi eventi’. Non un accenno alle cause che hanno costretto le ‘comunità tribolate’ a fuggire dai propri villaggi”.
Ormai la forza con cui Giovanni Paolo II difendeva i cristiani perseguitati è cosa passata e dimenticata. E anche la limpidezza del grande discorso di Ratisbona di Benedetto XVI – che era una mano tesa all’Islam perché riflettesse criticamente su se stesso – è cosa rimossa.
Quella dell’attuale pontificato è una reticenza sconcertante di fronte a dei criminali sanguinari con i quali – dicono i vescovi del posto – non c’è nessuna possibilità di dialogo perché nei confronti dei cristiani loro stessi han detto “non c’è che la spada”.
Una reticenza che è ormai diventata consueta nell’atteggiamento di papa Bergoglio, che non pronuncia una sola parola in difesa di madri cristiane condannate a morte per la loro fede in Pakistan o in Sudan (penso ad Asia Bibi o a Meriam), che si rifiuta perfino di invitare pubblicamente a pregare per loro, che quando c’è costretto parla sempre genericamente dei cristiani perseguitati e arriva ad affermare, come nell’intervista a “La Vanguardia” del 13 giugno: “i cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno”.
Per non offendere chi? I criminali sanguinari che crocifiggono i “nemici dell’Islam”? Non è sconcertante?
Ci sono migliaia di innocenti inermi in pericolo di vita, braccati e laceri, in fuga dagli assassini e Bergoglio si preoccupa di “non offendere” i carnefici?
Perché tutti questi riguardi quando si tratta del fanatismo islamista? Perché nemmeno si osa nominarlo? E perché si chiede alla comunità internazionale di mettere fine al “dramma umanitario” senza dire come?

L’ESEMPIO DI WOJTYLA
Oltretutto il papa poteva seguire l’esempio di Giovanni Paolo II. Ci aveva già pensato questo grande pontefice infatti a elaborare la nozione di “ingerenza umanitaria”, venti anni fa: quando si deve impedire un crimine contro l’umanità e non vi sono più altri mezzi diplomatici è doveroso, da parte della comunità internazionale, un intervento militare mirato e proporzionato che scongiuri il perpetrarsi di orrori incombenti.
Bastava a Bergoglio ripetere questo principio che è stato già recepito a livello internazionale.
D’altra parte che di questo ci sia bisogno lo dicono i vescovi di quelle terre: “Temo che non ci siano alternative in questo momento a un’azione militare, la situazione è ormai fuori controllo, e da parte della comunità internazionale c’è la responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire o fermare tutto questo”.
Lo ha dichiarato Bashar Matti Warda, l’arcivescovo di Erbil che si trova in prima linea, immerso nel dramma.
E’ troppo comodo – da parte di certi cattolici – lanciare generiche denunce contro l’Occidente, contro il “silenzio colpevole” (di chi?), quando da anni fra i notabili cattolici si evita accuratamente di denunciare i fanatici islamisti con nome e cognome, quando si ha cura solo di sottolineare che il loro non è il vero Islam (che com’è noto è rose e fiori), quando non si richiama mai energicamente il mondo islamico al dovere di rispettare le minoranze cristiane e si evita di chiedere un intervento concreto della comunità internazionale per mettere fine al massacro.

L’INAUDITO
Del resto Bergoglio non solo non ha chiesto ingerenze umanitarie, ma nemmeno ha lanciato operazioni di soccorso umanitario o iniziative di solidarietà a livello internazionale che coinvolgessero il vasto mondo cattolico. Tardiva è stata anche l’attivazione della diplomazia.
Domenica scorsa, all’Angelus, non ha detto una sola parola sulla tragedia in corso e ha perfino taciuto sull’iniziativa della Chiesa italiana che ha indetto una giornata di preghiera per il 15 agosto a favore dei cristiani perseguitati.
Anche pregare per i cristiani perseguitati è “offensivo” verso i musulmani?
Quantomeno quella dei vescovi italiani sarà una vera e seria preghiera cristiana. E non capiterà di rivedere l’imam che, invitato in Vaticano per l’iniziativa di pace dell’8 giugno scorso con Abu Mazen e Peres, ha scandito un versetto del Corano dove si invoca Allah dicendo “dacci la vittoria sui miscredenti”.
Quasi un inno alla “guerra santa” islamica nei giardini vaticani. Un incidente inaudito.
Alla preghiera indetta dalla Cei non accadrà. Ora ci si aspetta almeno che il Papa, prima o poi, si associ all’iniziativa dei vescovi, magari replicando la preghiera in piazza San Pietro per la pace in Siria che, come ricordiamo, combinata con la diplomazia, qualche buon effetto lo ebbe.
Auspicabile sarebbe anche un’attivazione di tutta la cristianità per iniziative di aiuto e di solidarietà ai perseguitati.
Ma pare proprio che non sia questa l’aria. Sembra di essere tornati indietro allo smarrimento dei cupi anni Settanta, alla subalternità ideologica dei cristiani, a quel buio che fu dissolto solo dall’irrompere del grande pontificato di Giovanni Paolo II.

Antonio Socci
Da “Libero”


giovedì 7 agosto 2014

Chador, burqa e niqab

Penso che tra un paio di generazioni, circa 50 anni, l’Italia e gli Italiani, per come li abbiamo conosciuti, non ci saranno più. L’Italia delle chiese, dei campanili  e delle piazze non ci sarà più. Sarà una grossa perdita? Non lo so. Alla stragrande maggioranza degli Italiani non gliene frega un bel niente, perché ormai gli Italiani  pensano all’oggi e al domani, non certo al dopodomani. In compenso avremo moschee e minareti e in giro vedremo chador, burqa e niqab. Perché il pericolo è proprio lì, nell’Islam, non nell’immigrazione in generale. Gli altri immigrati si adeguano e si integrano abbastanza facilmente, ma i Musulmani no  e sono proprio i Musulmani la parte più consistente dell’immigrazione clandestina, anche per motivi geografici. Non facciamoci soverchie illusioni. I Musulmani sono violenti ed integralisti e, se non si fanno sentire eccessivamente, è perché sono ancora relativamente pochi. Il giorno in cui saranno e si considereranno in numero adeguato, incominceranno a pretendere, a fare la voce grossa, come del resto sono abituati a fare, e saranno guai.
Qualcuno obietta che ci sono anche i Musulmani moderati. E’ vero. Ma sono pochi e non hanno la forza, o la voglia,  di opporsi alla marea montante di quelli che urlano e vanno avanti a furia di minacce e di mistificazioni.
Chi dobbiamo ringraziare per tutto ciò? Prima di tutto i nostri governanti, che con il loro buonismo straccione stanno consentendo questo scempio, a scapito del futuro degli Italiani. Ma un pensiero va rivolto anche alle gerarchie della Chiesa cattolica. In Africa ed in Asia i Cristiani sono perseguitati ed addirittura crocifissi dai Musulmani, mentre da noi  non una parola viene spesa dalle gerarchie per condannare tanto orrore. Anzi…

martedì 22 luglio 2014

1000 sbarchi al giorno


Ad una media di mille sbarchi al giorno, il totale è presto fatto. Si tratta di circa 30.000 sbarchi al mese, 365.000 all’anno. E’ vero che ogni tanto qualcuno muore durante la traversata, con profonda costernazione della presidente Boldrini, ma a tutto c’è rimedio. Gli Italiani siamo “brava gente” e non possiamo permettere il dolore della fuga e del futuro incerto, lo strazio del mare infinito. Già facciamo tutto il possibile per alleviare la sofferenza di chi fugge e cerca riparo sulle nostre coste: grazie all’operazione “Mare nostrum” la nostra marina è sempre all’erta, la guardia costiera si prodiga a più non posso, ogni tanto anche i bagnanti interrompono il rito della tintarella e si danno da fare per salvare i profughi. Eppure non basta e qualcuno continua a morire durante la traversata.
Io un’idea ce l’avrei, per ovviare a tanti lutti. A me piace, non so a voi. Perché non istituire un regolare servizio di traghetti? Si potrebbero collegare i porti di Alessandria d’Egitto, di Tripoli, di Tunisi e di Casablanca con i porti di Catania, di Cagliari, di Messina, di Napoli. La traversata diverrebbe un fatto di routine, senza incidenti, senza problemi, senza danni. Le spese? Basta poco. Una piccola accisa sui carburanti e chi se ne accorge? Una in più, una in meno…

sabato 12 luglio 2014

Pensieri di una notte di mezza estate

Sono le due di notte, sto smaltendo i postumi di una brutta influenza e sono sveglio. Sto leggendo un libro e mi viene da pensare che da un po’ di tempo leggo poco. Ho letto tanti libri nel corso della mia vita, ma da qualche tempo leggo decisamente poco e anzi, più che leggere, preferisco rileggere.
Mi piace riprendere in mano un vecchio libro che mi è piaciuto, perché so già quello che vi troverò, perché so che non sprecherò del tempo e non avrò spiacevoli sorprese. Mi scorrono tra le mani i vecchi, grandi autori che hanno alimentato la mia vita e così, se  ho voglia di leggere, rileggo Boccaccio, Lucrezio, Leopardi, Moravia, Chiara, Fallaci e, tra gli stranieri, Maugham, Lawrence,Thomas Mann, Lee Masters, Flaubert, Tolstoj. In genere prediligo i prosatori, in particolare i cosiddetti realisti, quelli che hanno raccontato la vita e il mondo senza finzioni e senza inutili abbellimenti. I nuovi autori li conosco poco, anche perché aspetto sempre che il loro successo si consolidi e non appaia il frutto di mode effimere o, peggio, di combine editoriali, come spesso avviene.
Quanto si legge oggi? Molto poco. Le case editrici sono quasi tutte in crisi e non si intravedono tempi migliori. Quanto ai giovani, poi, meglio stendere sopra un velo pietoso. Tranne rare, lodevoli eccezioni, essi hanno sostituito i libri con le chat e gli autori con i cantautori. Forse è normale che sia così, perché la lettura richiede il silenzio e la solitudine, piaceri che essi disdegnano. Li avete mai osservati i nostri giovani? In genere sgomitano, si parlano addosso, spesso non si capiscono nemmeno tra di loro. E’ uno spettacolo che talvolta induce ad amare riflessioni. Ancora più triste e malinconico di questo spettacolo c’è solo un altro spettacolo: quello offerto dagli adulti che si credono e si comportano come i giovani, mentre si limitano a scimmiottarli in un grottesco gioco delle maschere. 

sabato 21 giugno 2014

Semel in anno

In un punto imprecisato del pianeta Terra, Sabato 14 Giugno 2014, dopo un anno di duro lavoro...

mercoledì 4 giugno 2014

La nostra linea Maginot



















      
         Quello che si vede nella foto 1 è uno dei tanti fortini costruiti lungo le coste del territorio crotonese durante la Seconda Guerra Mondiale. Mussolini era convinto che l’invasione della penisola da parte degli alleati sarebbe incominciata proprio qui da noi e diede ordine di disseminare le coste di tali manufatti. Nella foto 2 è possibile vederne uno sulla strada che conduce a Scandale, nei pressi di una curva denominata proprio “curva del fortino”. Evidentemente faceva parte di una seconda linea difensiva.
Se ispezionato da vicino, il manufatto permette di farsi  un’idea  dei grandi piani strategici dei capi del Fascismo. Vi si accede da una piccola apertura posta a livello del terreno ed è ampio non più di 4 – 5 metri quadri. Un certo numero di feritoie, come negli antichi castelli, consente di appoggiarvi delle armi e di tentare una qualche opposizione all’invasore.
Se si pensa alla Linea Maginot o al Vallo  Atlantico costruiti  sul territorio francese, ma soprattutto se si pensa al diluvio di fuoco che gli Americani fecero piovere sulle coste della Normandia, non so se viene da ridere o da piangere. Consola il fatto che quei fortini non furono mai utilizzati, perché non ce ne fu mai bisogno. Essi restano lì, inerti e muti testimoni dell’imbecillità e della follia umana.

                                                                                                                                                                                                                                                                           

giovedì 29 maggio 2014

Un giorno al Benedetto XVI

Francesco Latella
Rossella Napolano
Serafino Parise
Giovanna Freno
Ezio Scaramuzzino
Lucia Lonetti
Gelsomina Pompò






         
                                                  

Un giorno nella vita all'Istituto Benedetto XVI di Crotone. Un corso di dizione, una torta e dei pasticcini, tanti cari amici, due quadri sulla parete, il piacere di stare assieme, di insegnare agli altri e di imparare dagli altri.
          E, soprattutto, il proponimento di fare altro, di più.

mercoledì 28 maggio 2014

giovedì 22 maggio 2014

Guzzanti- Verdi- Mazzini



bruno gualdi scrive:
molto bello ( non lei ma il lavoro).
molto Mazziniano, almeno me lo ricorda, con qualche capello di troppo ma qualche rassomiglianza c’è
GUZZ _ MI rallegrano sempre le manifestazioni umane di malignità.
Tre piccole righe per cercare soltanto di dire qualcosa di fastidioso, di cattivo nel senso di infantile.
Certo che sono io, e certo che è un lavoro fatto ad arte ed è arte.
Lei non è in grado di dire semplicemente: magnifico, veramente bello, complimenti a lei e a chi lo ha realizzato, no?
Lei deve contare i capelli, deve specificare, deve mettere un po’ di acido muriatico.
La malignità degli uomini, parente della distruttività, dell’invidia della menzogna, è la prova provata che non discendiamo da alcun dio, ma al massimo da qualche quadrumano arboricolo, cioè burino
 
bruno gualdi scrive: 
forse mi sono spiegato male, il mio voleva essere un complimento, al lavoro, certo che è bello. scrivere fra parentesi voleva essere solo una battuta senza cattiveria, davvero, la cattiveria non fa parte di me.
il fatto del Mazziniano non lo vedo come un’offesa, basta guardare le foto dell’epoca. Che lei non abbia niente in comune con Mazzini, o inversamente tutto, non lo so e non è che mi interessi molto perché è ininfluente. c’è solo il fatto che vedendo il disegno mi ha ricordato quell’immagine, ma ripeto, senza allusioni o cattiverie varie.
sinceramente sono amareggiato, pensavo di dire qualche cosa di simpatico ma ho sbagliato, che vuole che le dica, credo che chi male intende peggio risponde
GUZZ – Colpa mia, me ne scuso. Dopo aver scritto e pubblicato, ho detto: Mi sa che stai scrivendo una cazzata. E così era. Mi venivano quelle due stronzatine sulla malignità e ho compiuto una ingiustizia. Chiedo perdono. Anzi, lo pretendo.

giovedì 15 maggio 2014

Il Ritratto dei coniugi Arnolfini

Il Ritratto dei coniugi Arnolfini è un dipinto a olio su tavola del pittore fiammingo Jan van Eyck, datato 1434. Misura 81,80x59,40 cm ed è conservato nella National Gallery di Londra. Considerato tra i capolavori dell'artista, è anche una delle opere più significative della pittura fiamminga. Nella sua aura complessa ed enigmatica, ha acquistato una fama misteriosa, che i numerosi studi e le domande ancora irrisolte hanno alimentato.

Quello che i manuali di Storia dell'arte non dicono è che nel ritratto di Lui si adombra l'immagine di un importante uomo politico contemporaneo. L'interessato ha riferito in una circostanza che in realtà si tratta di un suo antenato, mentre in un'altra circostanza, forse perché aveva voglia di scherzare, ha riferito che si tratterebbe di lui stesso, già vissuto alcuni secoli addietro e di cui egli sarebbe una reincarnazione.
Invito i miei amici lettori a cercare di indovinare chi è quest'uomo politico, scegliendo la risposta esatta nel seguente test. (Non ci sono premi in palio, c'è solo il gusto della curiosità).
1-Matteo Renzi
2-Barack Obama
3-Silvio Berlusconi
4-Vladimir Putin
5-Beppe Grillo
6-David Cameron

mercoledì 14 maggio 2014

Ancora su Paolo Guzzanti

Ezio Scaramuzzino scrive: 

Caro Guzzanti, ricordo molto bene quei giorni. Il golpe era nell’aria e non lo vedeva solo chi non voleva vederlo. Ma c’è da dire che anche Berlusconi non fece bene la sua parte: si dimostrava incerto, esitante, a volte perfino abulico, come avesse qualcosa da farsi perdonare e si lasciasse trascinare dagli eventi. E invece avrebbe dovuto drammatizzare ancora di più questi eventi, rivolgersi agli Italiani a reti unificate e spiegare le sue ragioni. Magari alla fine lo avrebbero portato via in un cellulare dei carabinieri dopo un’udienza al Quirinale, magari lo avrebbero condotto sul Gran Sasso, ma probabilmente le cose avrebbero preso un’altra piega e anche la sua vicenda personale ci avrebbe guadagnato.
Ezio Scaramuzzino scrive:
13 maggio 2014 alle 19:19
Caro Guzzanti, particolarmente ispirato questo pezzo. Come una volta, ritrovo la forza della verità che non ha paura e non arretra, l’orgoglio di essere quello che siamo. C’è bisogno di dire che sono d’accordo con quello che dici? Mi sembra addirittura banale. Un unico rimpianto: quanto tempo perso, anni addietro, in sterili polemiche! Talvolta il male ce lo siamo fatto da soli.
GUZZ . Quando qualcosa fa parte del nostro itinerario, fa parte dell’itinerario. Che non è mai un segmento di retta, perché la realtà non è un foglio bianco rettangolare formato A4. Comunque grazie, parole che apprezzo molto.

Ezio Scaramuzzino scrive:
12 maggio 2014 alle 01:56
Caro Guzzanti, sono d’accordo su molte cose, ma non su tutto.
1-In val d’Aosta non si parla il Francese. La maggior parte dei Valdostani conosce il Francese come io conosco lo Swahili. Che poi essi si fingano Francesi per spillare soldi alla mucca italiana è un altro discorso.
2-Le regole debbono valere sempre e non quando fa comodo. In Kossovo il principio dell’intangibilità delle frontiere non fu fatto rispettare dalla Nato e in particolare dagli USA. Ora Putin si avvale dello stesso strumento e non so fino a che punto gli si possa dar torto.
3-Il parallelo Hitler-Putin è suggestivo, ma lascia il tempo che trova. E’ passato quasi un secolo da allora e le condizioni sono diverse. In Occidente nessuno è disposto a morire per Odessa, perché l’Occidente è troppo grasso e annoiato per essere disposto a combattere per qualcosa.
4-Quanto al petrolio e al gas russo, poi, non s’era detto che l’Occidente presto ne avrebbe fatto a meno grazie alle pale eoliche ed ai pannelli solari? Perché abbiamo abbandonato l’unica energia sicura e a buon mercato, cioè l’energia nucleare?


lunedì 17 marzo 2014

Il mistero dell'arte


Sosteneva Michelangelo che la scultura era soltanto “arte del levare”, nel senso che  l’artista si limitava a togliere il di più che si trovava nel marmo grezzo, fino ad arrivare alla statua già nascosta nella materia. Se ne deduce pertanto che il suo Mosè esisteva ab aeterno e che   era lì ad attendere che un artista si decidesse a metterlo alla luce e rivelarlo agli altri.

A voler portare alle estreme conseguenze un simile discorso, penso che la stessa cosa si possa dire, anche in altri ambiti, di tutti i capolavori che nel corso dei millenni hanno affascinato l’umanità. Mi piace pensare, ad esempio, che “L’infinito” di Giacomo Leopardi esistesse già al primo apparire degli esseri umani sulla scena del mondo e che quel genio immenso, quando nel 1819 si decise a comporlo, si sia limitato in realtà a togliere, nel groviglio inestricabile di tutte le parole, quelle che apparivano superflue ed inutili, fino ad arrivare alla scoperta del suo idillio.

Forse un discorso del genere si può fare anche per il secondo goal di Maradona in Argentina-Inghilterra ai Mondiali del 1986, come lo si può fare per un film come La dolce vita di Federico Fellini, o per un romanzo come Anna Karenina di Lev Tolstoj. 

Certo il mistero dell’arte è a volte insondabile e non esclude che i gusti possano essere relativi e soggettivi. Ma ritengo che almeno in ambito musicale la teoria possa avere una sua plausibilità. Pensiamo infatti ad un capolavoro assoluto, quale, per opinione comune, è il brano Lacrimosa nel Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. La successione delle note, delle pause, delle battute, appare così naturale e cogente da far pensare che al momento della composizione, se anche Mozart avesse voluto cambiare una sola nota, non avrebbe potuto. Perché quel brano esisteva già, era preesistente all’autore e quest’ultimo si limitò a togliere il velo che lo copriva ed a farcelo conoscere nella sua perfezione assoluta.

Ma, sia ben chiaro, questo discorso è applicabile solo ai capolavori, non a tutto ciò che si produce, specie là dove si avverte il sapore di sabbia e di ruggine che emana dalla mancanza di ispirazione. Penso che valga per il teatro di Sakespeare, non certo per quello di Dario Fo, per le canzoni dei Beatles e di Fabrizio De Andrè, non per quelle di Roberto Vecchioni o di Jovanotti, per i romanzi di Gustave Flaubert non per quelli di Roberto Saviano.

sabato 1 marzo 2014

La rivolta delle sette di Achille Campanile


       La cosa più strana, circa l'avvenimento di cui hanno parlato i giornali e che va sotto il nome di rivolta delle sette, è che essa era stata fissata per le sei. Ma in realtà poteva esser fissata per un'ora qualsiasi, poiché per sette s'intendeva non l'ora, ma le associazioni segrete che pullulano in quel paese. Sette, plurale di setta.
Purtroppo, finché c'è una sola setta, tutta va liscio; ma, quando esse cominciano a moltiplicarsi, si salvi chi può. E questa fu causa non ultima dei guai a cui andò incontro il moto insurrezionale.
Difatti gli organizzatori fissarono la sommossa, come detto, per le sei del pomeriggio. Ora comoda, né troppo presto né troppo tardi, che permetteva a tutti di parteciparvi senza scombussolare né l'orario d'ufficio né quello della cena. I congiurati si passarono la voce, come è buon uso nelle congiure; e del resto non si può fare diversamente in questi casi, e bisogna farlo con le dovute cautele. Un congiurato, passando accanto a un altro, mormorava in fretta, senza guardarlo, per non dar nell'occhio agli altri passanti:
« Ci vediamo alla rivolta delle sette ».
L'altro credeva che alludesse non alle associazioni, ma alle ore. Né, del resto, poteva stare a domandare spiegazioni, anzi doveva filar via come niente fosse. Cosi pure, si svolgevano dialoghi di questo genere:
« Anche tu fai parte della rivolta... ».
« ... delle sette, sì. »
E i capi facevano circolare l'ordine: « Domani, tutti alla rivolta delle sette! Nessuno manchi». Conclusione: la maggior parte dei congiurati si presentò alle sette invece che alle sei.
        Voi capite che, in una faccenda di questo genere, un ritardo può esser fatale. Determinò il fallimento. Fu per questo che, in un successivo tentativo, l'ora della rivolta fu fissata, a scanso d'equivoci, per le sette. Col che gli organizzatori ottennero che, nominando soltanto il moto sedizioso, si diceva contemporaneamente anche l'ora per cui era fissato e, d'altro canto, dicendo l'ora, si indicava anche a quale moto si alludeva, con evidente risparmio di tempo e di spesa, per tutto quello che si riferisce a stampati, circolari, ecc. Alcuni più pignoli dicevano:« La rivolta delle sette delle sette ».
Ora bisogna sapere che le sette, in quel paese, erano una ventina, ma alla rivolta partecipavano soltanto sette di esse, e non fra le più importanti. Quindi fu necessario dire: «La rivolta delle sette sette», oppure: «La rivolta delle sette sette delle sette». Ciò anche quando, prevalendo la tendenza unificatrice, le sette si ridussero a sette. Ogni setta era composta di sette membri, i quali erano chiamati i sette delle sette sette, e il loro moto sovversivo si chiamò la rivolta dei sette delle sette sette delle sette.
La cosa grave è che c'era un'altra rivolta, o meglio una contro-rivolta, un movimento reazionario, insomma, i cui promotori nulla avevano a che fare con la prima e anzi erano contro di essa e contro ogni setta. Disgraziatamente questi, ignorando che l'altra rivolta era fissata per le sette, fissarono per la stessa ora anche la loro. Non vi dico quello che successe fra i congiurati delle due parti, che fecero confusioni tremende, sicché gli antisette finirono fra le sette, verso le sette e mezzo, e le sette, fra gli antisette alle sette.
La contro-rivolta si chiamò la rivolta delle sette degli antisette contro la rivolta dei sette delle sette sette delle sette.In attesa che essa scoppiasse, i congiurati giocavano a tressette. E questi giuochi passarono alla storia come i tressette della rivolta antisette delle sette, contro quella dei sette delle sette sette delle sette.
Un caso curioso avvenne quando uno dei sette congiurati della rivolta delle sette contro quella dei sette delle sette sette, giocando al tressette verso le sette, si fece un sette ai pantaloni: e questo si dovette chiamarlo il sette del tressette d'uno dei sette della rivolta antisette delle sette contro quella dei sette delle sette sette delle sette.

lunedì 17 febbraio 2014

Vladimir Luxuria: Il coraggio delle proprie idee!


Vladimir Luxuria è andato/a alle olimpiadi invernali di Sochi, non per assistere alle gare, ma con l’intento di farsi arrestare. Dopo la recente trombatura alle ultime politiche, ormai Vladimir è un po’ out e, pur di far parlare di sé, è disposto/a a qualunque cosa. Questa volta ha inalberato un cartello che inneggiava ai gay, con la segreta speranza di essere arrestato/a dalla polizia russa e di crearsi quindi un alone di martirio. Ma gli/le è andata male, perché pare che la polizia si sia limitata a controllare i documenti nel più vicino commissariato ed a rilasciarlo/a subito dopo. Questo non ha impedito a Vladimir di protestare via Twitter e di montare il “caso”.

Curiosi questi nostri martiri!  Sono sempre pronti a fare la rivoluzione, ma pretendono di farla senza rischi e soprattutto senza fastidi di alcun genere. Anche un controllo dei documenti diventa un attentato ai diritti fondamentali e soprattutto un attentato alla libertà personale.

D’altra parte, nel caso di Luxuria, non mi sento nemmeno di infierire più di tanto, perché il personaggio è di un  certo livello e nel corso della sua attività politica si è sempre impegnato nella soluzione di problemi importanti. Ricordo che anni fa fu coinvolto/a in un problema  non secondario: se cioè la sua condizione di gay gli/le imponesse di utilizzare alla camera dei deputati le toilettes femminili o quelle maschili.

Quanto alla sua protesta anti Putin e pro gay, non è il caso di prenderla sotto gamba  o fare della facile ironia. Conoscendo il personaggio, non mi sento di mettere in dubbio la sua buona fede e  sono convinto che presto risentiremo parlare di lui. Magari prossimamente Vladimir andrà a protestare in Arabia Saudita, nel cuore dell’Islam, e farà un comizio davanti ad una moschea. Ne è capace e so che non ha paura. Gli/le consiglio soltanto, nel caso dovesse prendere una simile decisione, di fare il biglietto aereo di sola andata, perché, a fare anche quello di ritorno, ci rimetterebbe soltanto i soldi. 

domenica 2 febbraio 2014

Le voci del silenzio: Demetrio Barbuto


          Quando il giudice della corte d’assise di Crotone lesse la sentenza, mi cadde il mondo addosso. “Ergastolo”, per l’ omicidio di Violetta Bersi. Certo, io, io, il carabiniere scelto Demetrio Barbuto, di San Mauro Marchesato, l’avevo uccisa, ma non perché  fossi un assassino. Per troppo amore io l’avevo uccisa, per non vederla soffrire, perché Violetta era una creatura fragile, assetata d’amore anche lei, che viveva soffrendo e cercava di lenire la sua sofferenza amando gli uomini e a tanti concedendo una briciola, una scintilla del suo cuore infuocato. Io fui l’ultimo di questi uomini.

I giorni scorrevano lenti nel carcere di Catanzaro. Speravo di poter uscire un giorno,  di fare in tempo a rivedere i luoghi che avevano visto il nostro amore, di respirare l’aria che noi un giorno avevamo respirato. Ma fui colpito da un male che non perdona e mi rassegnai. Si nasce a fatica, si cresce a fatica, si vive a fatica e di solito si fa fatica anche a cedere. Però si cede lo stesso. Quando capii che era arrivato il mio ultimo giorno, chiesi soltanto di poter essere seppellito nel piccolo cimitero di Scandale, lo stesso dove era seppellita Violetta. Avevo scontato solo dieci anni di pena.

Ora sono qui, tra persone che non ho conosciuto o che ho conosciuto appena. La mia tomba è spoglia. Tanti, che sollevano lo sguardo ad osservare il mio ritratto in divisa, forse non sanno nemmeno chi io sia. Da qui vedo di scorcio, in lontananza, la tomba di Violetta. Anche la sua è spoglia. Sono passati tanti anni da allora e ad altri oggi è sortito l'assaporare  l’aura del giorno e i raggi del sole. Mi piacerebbe  poter godere soltanto di un po’ di luce, un po’ di luce…

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        Le voci del silenzio:Violetta Bersi

Violetta spensierata



domenica 12 gennaio 2014

Incontro con Arnoldo Foà

E' scomparso ieri, alla veneranda età di 98 anni, Arnoldo Foà. Ripropongo in questa circostanza un vecchio post - racconto, in cui ricordo un mio incontro con il grande attore.

Il teatro e la vita - Arnoldo Foà
Uno dei miei primi accostamenti alla grande arte avvenne, all'età di quindici anni, grazie ad una raccolta di dischi. In quella raccolta grandi attori italiani recitavano delle meravigliose ed indimenticabili poesie. Rimasi colpito particolarmente da Arnoldo Foà che recitava Il lamento per Ignazio Sanchez Mejias di Federico Garcia Lorca.

Alle 5 della sera. 
Eran le cinque in punto della sera.
Un bambino portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera. 

Recitavo anche io ad alta voce e il mio entusiasmo mi portò ad imparare a memoria anche la versione originale in castigliano, ugualmente recitata da Foà.
A las cinco de la tarde.
Eran las cinco en punto de la tarde.
Un niño trajo la blanca sabana
a las cinco de la tarde. 


Crebbi con il culto di Arnoldo Foà e insieme con lui trascorsi momenti meravigliosi, durante i quali mi sembrava valesse la pena dimenticare le miserie del mondo e lasciarmi ammaliare dalla sua voce calda e appassionata.

Man mano che gli anni passavano, più di uno prese a dirmi che avevo una strana rassomiglianza fisica con il grande attore. Le circostanze, in cui queste parole mi erano rivolte da interlocutori sconosciuti gli uni agli altri, mi convinsero che sì, forse una certa rassomiglianza doveva pur esserci.

Qualche anno addietro Arnoldo Foà ha tenuto un recital a Crotone, all'aperto, durante la stagione estiva. Sono andato a sentirlo. Giunto con un po' di ritardo, già da lontano sentivo la sua voce, attraverso gli altoparlanti.

Alle 5 della sera.
Eran le cinque in punto della sera...

Mi parve che il tempo si fosse cristallizzato, fermato, come nel blocco di un fotogramma, a più di quarant' anni prima, quando lo ascoltavo le prime volte.

Arnoldo Foà era lì. Novantenne, ma ancora con la voce ferma e bellissima, il grande attore dava fondo alle sue energie e riusciva ancora dopo tanti anni ad incantare lo scarso pubblico, che stava ad ascoltarlo in religioso silenzio.

Alla fine dello spettacolo, come da mia abitudine, mi diressi verso il camerino. Pensavo di trovarvi della gente e invece vi trovai Foà solo, che si stava asciugando il volto davanti ad uno specchio.Volevo vederlo da vicino, dirgli la mia ammirazione, ma la vista di quel vegliardo, solo in quel camerino, mentre il poco pubblico si allontanava, mi procurò una sensazione di malinconia e di imbarazzo insieme.

Provai a darmi un tono disinvolto e, ricordandomi di quella rassomiglianza che doveva esserci tra noi due, gli dissi:
"Maestro, lo sa che alcuni mi dicono che io le rassomiglierei ?"
Foà si girò lentamente, mi guardò fisso negli occhi per alcuni attimi che a me sembrarono eterni e con una voce impassibile mi replicò:
"Davvero? Non sapevo di avere un sosia così impertinente. E poi ...quante sciocchezze si dicono per un autografo!!!...Vuole un autografo?..."

Non gli risposi neppure. Girai i tacchi e mi allontanai. Era durato quarant' anni quell'idolo. Ad infrangerlo erano bastate poche parole e pochi secondi, gli ultimi, di quei quarant' anni.




sabato 11 gennaio 2014

La bellezza del vivere


Il tempo che passa, le cose belle che restano; Schubert ed Abbadia
San Salvatore; un angolo di paradiso, la bellezza del vivere, un po' 
di malinconia, un po' di rimpianto.

Abbadia San Salvatore (video)