Da qualche tempo si parla
un po’ dappertutto di “buonismo” e “buonista”, spesso in accoppiata con “radical chic” e quasi sempre con
toni vagamente denigratori o sfottitorî.
Ma che differenza c’è tra l’essere
buoni e l’essere buonisti? I buoni sono le persone gentili e premurose, le
persone disposte a qualunque sacrificio per aiutare gli altri. I buonisti sono invece
quelli che della bontà fanno un uso politico-ideologico. Questi ultimi, quando
vogliono, sanno odiare cordialmente i loro avversari, ma utilizzano la bontà come
alibi per mettersi la coscienza a posto e per giustificare un permissivismo
ecumenico, costituente una delle cause non ultime dell’attuale marasma che
rischia di travolgere il nostro stile di vita.
Ad esempio, il buono è
quello che offre 5 euro ad una ONLUS per alleviare la fame nel mondo, o colui
che è disponibile a fare il volontario
per una causa nobile, o ancora colui che è pronto a prendere personalmente una
scopa per ripulire un giardinetto pubblico.
Il buonista invece non è generalmente
disponibile a fare queste cose. Egli sostiene che già paga le tasse e che a
queste cose deve provvedere, giustamente, lo Stato (con la S maiuscola). Invece
egli è per l’accoglienza indiscriminata di tutti i perseguitati e i sofferenti
del mondo, di tutti coloro che per un motivo o per un altro scappano dai loro Paesi,
di tutti coloro che in un modo o nell’altro si presentano alle nostre frontiere e
chiedono di entrare. Egli non si pone nemmeno il problema della opportunità o della
possibilità di un’accoglienza indiscriminata, anche se poi delega il problema
dell’accoglienza allo Stato (sempre quello con la S maiuscola), cioè a tutti
noi.
Il buonista ancora è per il
relativismo culturale, ideologico, religioso. Per lui tutte le culture si
equivalgono e tutte le religioni sono
sullo stesso piano. In particolare, secondo lui, non esiste un terrorismo
islamico e quelli che sgozzano in nome
di Allah semplicemente non sono Musulmani. Lui non giustifica le vignette blasfeme su Maometto, anche se giustifica
quelle, peggiori, contro Gesù Cristo.
Lui non si sogna di attaccare o di sfottere gli Imam o gli Ayatollah, anche se non si fa scrupolo di dileggiare il
Papa.
Considerato che da noi, se
attacchi l’Islam, ti puoi aspettare una fatwa o una coltellata, mentre, se
attacchi il Cristianesimo, hai diritto ad una medaglia; considerato che da noi,
se attacchi un Imam, puoi considerarti
in pericolo di vita, mentre attaccare il Papa è un po’ come sparare sulla Croce
Rossa. Ecco, considerato tutto questo, non sarebbe più giusto chiamare il
buonista in altro modo? Ad esempio paraculo, o paraculista?! Scegliete voi.
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