Andar per funghi dalle nostre parti è
una delle pratiche più diffuse dell’Autunno. Ci vado anche io, non più con
l’assiduità di quando ero giovane ed il vigore non mi faceva avvertire più di
tanto la fatica dell’inerpicarsi lungo le montagne della Sila, ma abbastanza
spesso, a ciò indotto soprattutto dalle insistenze di Giovanni, carissimo amico
e compagno insostituibile di queste escursioni.
Preferiamo i giorni infrasettimanali,
quando presumibilmente la concorrenza degli altri cercatori è meno accanita, e
ci avviamo con qualsiasi tempo, impegnandoci sempre nello stesso tragitto: San
Giovanni in fiore, Bivio Garga, Lorica. In genere facciamo anche provvista di
acqua ad una delle tante fontane disseminate lungo la strada e non disdegniamo
di raccogliere castagne, quando ci è possibile.
Poi ci impegniamo nella ricerca dei funghi
per un paio d’ore e ci stanchiamo, inerpicandoci su versanti spesso impervi. La
raccolta non sempre è soddisfacente, ma non importa, almeno per me. Rituffarsi nella
natura, godere del silenzio religioso delle montagne e dimenticare gli affanni
della vita sono delle dolci sensazioni, alle quali indulgo volentieri, sempre
più volentieri, in questi ultimi tempi.
Quando si fa mezzogiorno, come ad un segnale
convenuto, Giovanni mi dice:
-Andiamo a mangiare da qualche parte?
-Certo, ci mancherebbe. Andiamo da Amedeo?
Nessuno di noi due, forse, è disposto ad
ammettere che la puntatina da Amedeo è il momento più felice della giornata,
quello al quale teniamo di più, al di là dei funghi, delle castagne, dell’acqua
e di tutto il resto.
Per chi non conosce bene quei luoghi e
quindi non sa chi sia, Amedeo è il gestore di una trattoria, non pretensiosa,
ma molto accogliente, lungo la strada che a Lorica porta verso gli impianti di
risalita. E poi Amedeo non è più, o non è soltanto, il gestore della trattoria,
perché nel corso degli anni è diventato un amico, un amico che è sempre
piacevole rivedere e con cui intrattenersi.
-Caro Amedeo, grido quasi, non appena lo
vedo.
-Oh, carissimi, da quanto tempo non vi siete
fatti vivi…
Per Amedeo sono sempre mesi che non ci
vediamo, anche quando è passata appena una settimana.
-Dove vi volete mettere? Vicino al
caminetto? E’ meglio, perché oggi fa freddo.
Decidiamo il posto, ci sediamo, beviamo
qualche goccio di vino, tanto per incominciare. Do uno sguardo tutt’intorno. Ci
sono sempre altre persone, che stanno già mangiando. Capita di tutto in quella
trattoria. Coppie di persone anziane, talvolta giovani, qualche famiglia al
completo, cacciatori e altri cercatori di funghi, operai, che si dilungano nel
pranzo, in attesa della sera e del ritorno a casa.
L’atmosfera è tranquilla, nell’andirivieni
di Amedeo, che in quel locale fa di tutto, solo in particolari occasioni
aiutato da un inserviente: cucina, serve i clienti, sparecchia, fa il cassiere.
L’ambiente è abbastanza riscaldato. Man mano che il tempo passa, qualcuno,
favorito anche da un bicchiere di vino in più, si alza, si aggira tra i tavoli,
abbozza qualche confidenza. Tutti tengono a precisare che si considerano amici
di Amedeo, non suoi clienti.
Nelle mie frequenti visite in quel locale,
ho visto persone che cambiano posto, che offrono dolci agli altri, che uniscono
i tavoli per favorire la conoscenza reciproca tra amici occasionali, in
un’atmosfera informale e confidenziale, che probabilmente era l'elemento distintivo delle trattorie di una volta.
Vedo che Giovanni si adegua facilmente,
incominciando a conversare con perfetti sconosciuti, che, anche loro, hanno
voglia di parlare. Io, in genere, tardo a carburare, ma godo di quell’
atmosfera e finisco con l’adeguarmi anche io.
Noto sulla nostra destra due persone, presumibilmente
marito e moglie, abbastanza riservate e che, almeno apparentemente, non hanno molta
voglia di unirsi alla conversazione generale. Lui dimostra più o meno la mia
età. E’ abbastanza elegante, con il suo vestito, la giacca, la camicia, la
cravatta, con un abbigliamento formale che sembra in contrasto con quello
casual, quando non trascurato, degli altri. Mangia con lentezza, prendendo
piccoli bocconi e dimostra di apprezzare molto il cibo portato da Amedeo. La
moglie è vestita anche lei con una certa ricercatezza, sta eretta sul busto e
sembra volersi dare un certo tono. I due parlano poco e sottovoce.
Mi giro ogni tanto verso di lui ed un paio
di volte mi accorgo che mi sta guardando con attenzione, mi sta scrutando
insomma, se non proprio esaminando.
Ad un certo punto decido di rompere il
ghiaccio e gli chiedo:
-Da dove venite?, rivolto a tutti e due, per
evitare di dovere scegliere tra il “tu” ed il “lei” rivolto ad una sola
persona.
-Siamo di Cariati, fa lui. Veniamo spesso
qui, quando abbiamo voglia e tempo di fare una corsetta in Sila, perché ci
troviamo bene da Amedeo. Sono anni che veniamo. E voi due?
-Veniamo da Crotone, fa Giovanni, almeno
lui. Io in realtà vengo da Isola Capo Rizzuto.
- Anche noi veniamo spesso da Amedeo, faccio
io, ma non è da molto che lo conosciamo. Tu come ti chiami? Scusami se ti do
del “tu”.
L’atmosfera generale, una certa cordialità,
che traspare dalle nostre parole e dai nostri gesti, gli forniscono forse una
carica in più, ai limiti dell’euforia, che lo spinge a parlare quasi senza
trattenersi.
-Mi chiamo Antonio Russo e faccio il
commercialista, o meglio lo facevo, perché ormai sono in pensione, esordisce.
Mi racconta quasi tutto della sua vita. Quando
riesco ad inserirmi nel suo discorso, approfittando di una piccola pausa, gli
dico:
-Io ho un amico di Cariati che si chiama pure
lui Russo, Cataldo Russo. Lo conosci? Per caso siete parenti?
-I Russo sono molto diffusi a Cariati e tra
me e Cataldo c’è una certa parentela, anche se piuttosto lontana. Ma tu come ti
chiami? Come vi chiamate? Non me l’hai ancora detto.
Gli presento Giovanni e poi aggiungo:
-Io mi chiamo Ezio Scaramuzzino. Sono di
Scandale, ma vivo a Crotone, da tanti anni. Ho fatto il professore ed ora sono
anche io in pensione. Siamo tutti pensionati. Gli Italiani stanno diventando un
popolo di pensionati, aggiungo con un sorriso.
Immaginare un fiume, che straripa improvvisamente
per la troppa acqua trasportata, dà l’idea di quel che avviene al mio vicino di
tavolo, sconosciuto per me fino a qualche minuto prima.
-Ezio Scaramuzzino?!?! Ezio Scaramuzzino
?!?!, ripete. Ah, dunque sei tu? Mi sembravi una faccia conosciuta. Non so se
te ne sei accorto, ma io ti stavo osservando da un po’ per cercare di capire o
di ricordare…
- Io non penso di conoscerti, anzi credo
proprio che questa è la prima volta in vita mia che ti vedo…Scusami, forse ho
dimenticato…
- Ma come? Non ti ricordi di me? Non hai
fatto il Liceo a Crotone?... Al Pitagora?... Maturità anno 1961-62…
- Sì, certo, è come dici tu. Ma io non
ricordo, dico con un certo imbarazzo. Ed il mio imbarazzo aumenta quando lui
dimostra di ricordare tutto, proprio tutto di me, mentre io di lui non ricordo nulla. Poi cerco di recuperare e di giustificarmi.
- Scusami, sono mortificato. Ma sono passati
tanti anni, più di cinquanta da allora, ed un blackout può capitare, è
nell’ordine delle possibilità umane.
- Certo, non è un problema. Ma ti ricordi?
Col professore Maviglia, il prof di Scienze, quante volte lo sfottevamo,
facendo le pernacchiette, e lui si incazzava e se la prendeva spesso con te. E
la prof di Storia dell’arte te la ricordi? Silvia Maggiolini si chiamava. Bella
ragazza, anzi bella donna, aveva una predilezione per te. Eh… Tempi felici….e
forse non ci accorgevamo della nostra felicità.
Poi continua a parlare, a raccontarmi quello
che ancora non mi ha raccontato della sua vita. Mi parla di una sua figlia, Elisabetta,
che vive negli USA e fa la cantante lirica, la soprano. Me la fa vedere su
YouTube, rapidamente, perché deve avere il link sempre pronto sul display. E’
una donna graziosa: la ammiro in un breve filmato, mentre si esibisce, non in
teatro, ma in un salone, accompagnata al pianoforte dal grande Andrea Bocelli.
-Prenditi il link. Su YouTube trovi altri
video.
Io e Giovanni lo accontentiamo. Ma Antonio è
un fiume in piena, irrefrenabile.
-Quanto mi sento felice, oggi. Chi me lo
doveva dire che dopo più di cinquanta anni avrei rivisto Ezio Scaramuzzino.
-Anche io sono contento, caro Antonio. Non
capita tutti i giorni rivedere un vecchio e caro compagno di scuola, dopo quasi
sessanta anni. Quando e se ciò accade, è perché evidentemente il caso, la
fortuna, la nostra fortuna, ha voluto darci il gusto di un’ultima felicità cui
abbiamo diritto noi che non ci siamo piegati alle tempeste della vita e siamo
ancora qui.
Poi cerco di focalizzare meglio i ricordi, a
poco a poco le tenebre incominciano a diradarsi e riesco a rivedere, seppure in
modo sfumato e vago, quel ragazzo tranquillo e un po’ troppo serio, a volte
pignolo, che sedeva al primo banco. Infine, come in un lampo, ricordo anche un
nomignolo che gli avevamo affibbiato, “cinquista”, perché lui era l’unico
studente di Cariati che prendeva il treno delle cinque, a differenza di tutti
gli altri che prendevano quello delle sei, pur di arrivare presto a scuola e
non trovare chiuso il cancello d’ingresso, come capitava ai ritardatari. Ma
evito di rinnovare lo sfottò, anche perché intanto Antonio continua a parlare,
senza mai fermarsi.
-Ma non è finita qui. Ora che ci siamo
visti, dobbiamo rivederci.
-Certo, perché no? Siamo all’inizio
dell’Autunno e ci ritroviamo prima o poi.
-Prima o poi? Ma che dici? Ci rivediamo
domenica prossima, tra sette giorni. Giovedì ti do la conferma, tu aspetta la
mia chiamata. Ti chiamo io, anzi scambiamoci i numeri di telefono, per ogni
evenienza! Cacciamo Amedeo via dalla cucina, io porto i pesci e li cucino.
Cucino io per tutti, continua Antonio, raggiante di felicità, mentre la moglie
lo ascolta in silenzio, limitandosi ad annuire ogni tanto.
-E, sia ben chiaro, portate anche le vostre
mogli, le voglio conoscere.
-Certo, Antonio, le porteremo, anche se non
possiamo garantirti la loro partecipazione, almeno io. Ma penso che non ci
saranno problemi. In ogni caso, se tu porti i pesci, noi porteremo qualche
altra cosa. Mica possiamo portare solo “panza e prisenza”, come diciamo in
Calabria.
-Fate quello che volete. L’importante è che
ci vediamo.
Continuiamo così a lungo, mangiucchiando e
bevicchiando qualcosa. Quando ci accorgiamo che si è fatto tardi, ci alziamo,
ci salutiamo con un abbraccio e ci diamo appuntamento a presto.
Sulla strada del ritorno, mentre stanno
calando le prime ombre della sera, io e Giovanni evitiamo di parlare di Antonio
e della moglie, se non per un fugace accenno.
-Pensi che lo rivedremo?, mi fa Giovanni.
-Non lo so, ma mi sembrava sincero. Ho visto
tante di queste promesse sfumare, ma non per cattiva volontà. Spesso ci si fa
prendere dall’entusiasmo, si parla, si promette, poi, a mente fredda, i
proponimenti svaniscono. Senza dimenticare che le mogli spesso giocano un ruolo
importante nella realizzazione di queste vicende. Sono loro che finiscono col
decidere il corso degli eventi, specie in ambito familiare.
Passa il giorno successivo, il Lunedì, come
passano anche gli altri giorni della settimana. Di Antonio nessuna notizia. Sabato
mi chiama Giovanni:
-Ti ha chiamato Antonio?
-Niente Giova’, non so che dirti. Sono un
po’ sorpreso, ma non si può mai essere sicuri in queste cose. Forse c’è stato
un contrattempo. Aspettiamo un po’, prima di trarre conclusioni.
Passa anche la seconda settimana. Poi passa
la terza. Passa quasi un mese da quel giorno. Ogni tanto penso ad Antonio, al
suo entusiasmo, alla sua decisione di rivederci ad ogni costo. Non so che
pensare, mi sembra tutto così strano.
Dopo circa un mese, un pomeriggio, sento
squillare il cellulare. Sul display mi appare la scritta “Antonio Russo”. E’
proprio lui, finalmente.
- Pronto. Ciao, Ezio.
- Ciao, Anto’, come va?
- Come vuoi che vada? Va abbastanza bene, ma
non benissimo. Sono a Cosenza, ma non in vacanza. Sono ricoverato in ospedale.
Ero venuto per degli accertamenti che faccio di routine ed i medici mi hanno
imposto il ricovero.
-Mi dispiace tanto, caro Antonio,…
Potrei chiedergli perché è ricoverato, di
che cosa soffre, ma non lo faccio; per uno strano pudore ed uno strano senso di
discrezione, che sempre mi prendono, quando qualcuno mi parla dei suoi problemi
di salute, e che mi inducono a non fare troppe domande; per evitare magari
risposte imbarazzate ed aspettare che sia l’altro a dirmi quello che ritiene
opportuno e nei limiti che egli ritiene opportuni. Intanto Antonio continua:
-Forse potevo non farlo, ma ti ho voluto
chiamare, perché tu non pensassi che io ho dimenticato la mia promessa. Anzi,
sai che ti dico? Che, appena esco dall’ospedale, la prima cosa che faccio è
quella di organizzare il nostro incontro a Lorica. Tieniti pronto.
-Anto’, ma quanti problemi ti crei! Sono
cose che capitano e comunque pensa a guarire, che è la cosa più importante. Poi
penseremo al resto. E intanto ti saluto con affetto, ti abbraccio forte.
Salutami anche tua moglie. Ciao, a presto. E stai tranquillo.
- Ciao, ti abbraccio anche io. Forte.
Passano i giorni, le settimane, i mesi e di
Antonio non so più nulla, né lui si fa più vivo. A distanza di quasi un anno mi
ritrovo con Giovanni a Lorica. Come sempre, andiamo da Amedeo. Saluti di rito,
calorosi come sempre, e subito Amedeo mi dice:
-Ricordi Antonio, il tuo amico e compagno di
scuola di Cariati? E’ morto, per un male incurabile. Ma, quando l’hai visto tu,
era già ammalato, e, evidentemente, era giunto alla fine. Mi dispiace per lui…
Ho perso un amico... Mi ha chiamato la moglie qualche tempo fa, per dirmi che
il marito era morto e che, almeno per il momento, è difficile per lei venire
fino a Lorica.
La notizia mi lascia di stucco. Capisco
tante cose, che ignoravo, ed avverto per lui, per la sua memoria, una dolce e
struggente pietà.
Mentre pranzo nella trattoria di Amedeo,
cerco di dimenticare quanto di doloroso è legato al ricordo del caro Antonio,
ma non ci riesco facilmente.
A distanza di un anno ancora, mi ritrovo da
Amedeo e lui, dimenticando di avermelo già detto, mi ripete la notizia. La cosa
mi fa riflettere. Penso a quanto siano labili a volte i ricordi delle persone
cui abbiamo voluto bene e che ci hanno voluto bene. Mi prende un senso di
colpa, che cerco di riscattare con il racconto della sua vicenda, un racconto
che dedico a lui e che racchiude le
parole che non gli ho dette e che gli avrei dette di persona, col cuore in
mano, se fossi stato presente e al corrente della sua dipartita.
Caro Antonio, ti ricordo in quell’ultimo
giorno che ti ho visto dal nostro Amedeo. Eri sereno quel giorno e a me apparivi
sereno, anche perché io non conoscevo le tue pene. Tu stavi vivendo
intensamente e fino allo spasimo quegli ultimi giorni che ti restavano da
vivere, come chi non ha rimpianti o non ha nulla da rimproverarsi, perché,
anche nel momento del dolore, si è grati alla vita e a quello che essa ci ha
concesso. Si dice che chi è al corrente della sua prossima fine, vive attimo per
attimo, giorno per giorno, come per gustare
gli ultimi sapori di una parabola che sta per concludersi. E tu l’hai
fatto, nell’entusiasmo che ti prese quel giorno, nella gioia che traspariva dal
tuo volto, nella voglia di continuare a vivere e di vivere fino all’ultimo
giorno.
Quel tuo giorno a Lorica, a ripensarci
adesso, a distanza di due anni, è stata una lezione di vita, per chi ha saputo
e voluto leggere, nei lineamenti del tuo volto, la tua tranquilla e fiduciosa sicurezza.
Io non so come tu hai vissuto i tuoi ultimi
giorni. Immagino, anzi ne sono sicuro, che, anche se eri disteso in un lettino
d’ospedale, ti sarai sollevato ed avrai atteso in piedi l’arrivo della vecchia signora e, quando
lei ha bussato alla tua porta, tu lei avrai soltanto detto:
-Sono pronto. Un attimo. Debbo solo prendere
il cappotto.
Poi le hai porto la mano e con lei ti sei
avviato, con passo leggero, fino a scomparire, in fondo alla strada.
Ezio Scaramuzzino
Foto1 - La trattoria Antichi Sapori Silani a Lorica
Foto2 - Amedeo, il gestore del locale
Bellissimno racconto.
RispondiEliminaQuesta volta la condivisione è al 100%.
Un ricordo tenero,delicato,gentile di un amico di infanzia.
Fa effetto e mi è piaciuto molto,il modo come sistemi "la vecchia signora"che
viene a bussare perché ,la disarmi ingentilendola (via la falce e il teschio)
diventa nel racconto se non accettabile scontata.
Mi permetto di suggerirti,se ti è possibile di far conoscere questo racconto
alla moglie è ai figli.Credo che lo apprezzeranno.
Ultima precisazione ,da testimone involontario il racconto è reale dalla A
alla Z.
Ciao Giovanni
Mi commuove e mi fa riflettere la tenera leggerezza con cui affronti temi scabrosi come la malattia e la morte. Il tuo amico ti sarà grato del dolce ricordo che gli hai regalato!
RispondiEliminaAh ...avessi io il dono che hai tu di questa "penna" leggera e discreta, che scrive entrando dritta nel cuore e nelle pieghe dell'anima!