Ilaria Salis
Ilaria Salis, il caso del giorno. Non mi soffermo sugli aspetti penali della sua vicenda, ma solo su quelli umani e di costume. Libera lei, antifascista ed estremista di sinistra, di ritenere che il compito fondamentale della sua esistenza sia quello di manganellare chi è anticomunista ed estremista di destra. L’importante che metta in conto che, così facendo, le può capitare di finire in galera, se non in Italia, cosa molto improbabile con la magistratura che ci ritroviamo, perlomeno in uno stato straniero, nel nostro caso l’Ungheria. Dove lei aveva deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza, non per visitare il lago Balaton o per fare qualche escursione lungo il Danubio, ma con l’intento di scovare i suoi “nemici”, riuscendo peraltro a mandarne qualcuno in ospedale.
Alti
lamenti da parte del suo affettuosissimo genitore, per le catene ai polsi e ai
piedi durante l’udienza in tribunale, ma soprattutto per il trattamento
ricevuto durante la detenzione in carcere. La sua compagnia di giro ed il padre
sostengono che è stata trattata come un animale, che le sono stati dati vestiti
sudici, sgualciti e maleodoranti, e soprattutto accusano le autorità ungheresi
di non averla nutrita bene, talché la signorina Ilaria sarebbe dimagrita in
pochi mesi di ben 10 kili.
Ora io non nascondo che da qualche tempo ho
qualche problema di vista, ma, durante i video
dedicati al caso da varie trasmissioni tv, ho inforcato bene gli
occhiali e mi sono premurato pure di alzarmi ed avvicinarmi allo schermo,
perché la cosa mi incuriosiva oltremodo e temevo di dover vedere una persona
distrutta e quasi in fin di vita. Ho visto invece una giovane donna, con un
paio di jeans molto attillati e con un maglione niente male, che, nonostante
fosse ammanettata, dispensava sorrisi a destra e a manca, che manco Wanda
Osiris ai tempi d’oro del varietà meneghino.
Inoltre, ed è questa la cosa che mi ha colpito di
più, la signorina era piuttosto in carne
ed appariva anche piacente, talché non potevo fare a meno di pensare ai dieci
kili perduti ed a quello che presumibilmente doveva essere prima di
incominciare la dieta carceraria.
Staremo a vedere, ovviamente, come finirà il
processo, che per molti aspetti ricorda, alla rovescia, quello dell’anarchico
Cospito, lui sì ridotto pelle ed ossa in carcere, anche se per un digiuno
volontario e di protesta.
Vittorio Sgarbi
Si è dimesso da sottosegretario. Forse era tempo che lo facesse, o forse no, dipende dai punti di vista, ma qui non entro nel merito dei suoi problemi politici e penali.
Sgarbi era notoriamente un semiesaltato, che aveva
una grande stima di se stesso, e questo non gli aveva impedito di incappare,
nel corso della sua variopinta esistenza, in qualche topica clamorosa. Mi
raccontano che nel 2001, sempre come
sottosegretario in un governo Berlusconi, da cui anche allora in seguito sarebbe
stato costretto a dimettersi, si presentò all’Ufficio scolastico regionale di
Catanzaro. Lasciò dietro la scorta e si presentò solo all’ingresso, così, per
vedere che effetto faceva la sua presenza.
-Buon giorno, sono il Sottosegretario ai beni
culturali, vorrei parlare con il Sovrintendente.
L’usciere, che evidentemente aveva idee confuse
sui vari gradi della burocrazia ministeriale, gli rispose:
-Ha un appuntamento?
-No, non ce l’ho, non ce n’è bisogno, sono il Sottosegretario.
-Qui, senza appuntamento, non entrano nemmeno i
Presidi ed i Segretari, figuriamoci i Sottosegretari.
-Ma io sono Sgarbi.
-Con sgarbi o con garbi, la regola vale per
tutti.
Ci volle poi un bel po’ perché entrasse.
Nottambulo per passione, più di una volta Sgarbi
non si fece scrupolo di svegliare in piena notte guardiani e direttori di
musei minori, disseminati in
tutt’Italia, sol perché gli era venuta una voglia irrefrenabile di vedere un
quadro o una statua. Ma una volta gli andò male, non per un museo, ma per un
ristorante, e non in Italia, ma in Svizzera, a Lugano. Si trovava lì con alcuni
amici e dopo la mezzanotte era arrivato all’ “Antica osteria del porto”, che
aveva appena chiuso. Venne bussato, ma invano. Allora Sgarbi gridò: Sono
Sgarbi. Ma il ristorante non aprì e Sgarbi in quell’occasione capì che
adoperare un nome famoso in casi simili comporta comunque dei rischi. Quelli di
dentro, invece di correre ad aprire, erano rimasti zitti e quasi certamente facevano
manichetto all’indirizzo del grande uomo.
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