lunedì 24 luglio 2023

Giorgia: un anno dopo

 


A che punto è il governo Meloni dopo circa un anno di attività? I sondaggi sembrano indicare, al  momento, un leggero calo per Fdi ed un leggero incremento per Lega e FI. Ma non è questo il punto, perché la situazione è in evoluzione, in attesa delle elezioni europee, ed ulteriori sviluppi non sono da escludere.

Piuttosto è possibile indicare un provvisorio, primo, bilancio della sua attività? Io l'ho votata questa maggioranza e non nascondo che avevo riposto su di essa grandi speranze. Ma posso ritenermi soddisfatto? Onestamente no, anzi sono abbastanza deluso, anche se continuo a sperare. Certo mi considero abbastanza scafato e non mi lascio incantare, o condizionare, dalle continue e violente critiche dell'opposizione, che si limita a fare il suo mestiere e finora si è limitata a chiedere le dimissioni di mezzo governo per i motivi più vari. "Lollobrigida è un ignorante, Nordio è un incapace, Piantedosi è un razzista, Santanché è una truffatrice", solo per ricordare alcuni casi.

Però...però tutto fila liscio per il Governo? Certamente no, anche se non dimentico alcuni aspetti positivi, come una certa stabilizzazione della situazione economica e finanziaria  ed un accresciuto prestigio, in ambito europeo e mondiale, del nostro Paese. Ma è tutto qui? E' tutto qui, purtroppo, a parte qualche sporadica iniziativa per tappare falle momentanee e qualche riforma, che per il momento si trova solo allo stato iniziale.

E di colpe se ne possono addebitare? Certo, qualche colpa c'è e non di poco conto. Rilevo subito qualche propensione di esponenti politici della destra a parlare troppo ed in modo poco opportuno, prestando così il fianco ad accuse che non sempre appaiono pretestuose. Ma la colpa più grande, l'errore più grande, l'inadeguatezza più grande si rileva, purtroppo, in quello che è da considerare attualmente il problema numero uno della politica italiana, cioè quello dei clandestini, con il conseguente problema legato all'ordine pubblico.

Per carità di patria, non parlo qui dei blocchi navali e del pugno di ferro di cui parlava la Meloni in campagna elettorale. Capisco bene che una cosa è promettere, altro è mantenere le promesse.

E poi non vedo in giro altri politici che, come Salvini, siano disposti a metterci la faccia ed eventualmente a pagare di persona. Noto ancora che lo stesso Piantedosi, che all'inizio sembrava pieno di tanto fervore, attualmente appare dimesso e rientrato nei ranghi.

D'altra parte la Meloni ormai, pur di non essere attaccata, attua in merito una politica di completo appiattimento e, come coloro che l'hanno preceduta, fonda le sue speranze sul coinvolgimento dell'Europa, con una politica , che da circa trent'anni appare ormai nauseante e stomachevole, oltre che buona soltanto a guadagnare tempo.

Intanto gli sbarchi continuano con un crescendo allucinante e spaventoso, mentre lei, la Meloni, è tutta indaffarata ad organizzare meeting, incontri bilaterali e conferenze varie.

Ora se lei non capisce, o fa finta di non capire, che i clandestini sono il problema numero uno dell'Italia; che questo grosso problema ha ricadute tragiche ed irreversibili sull'ordine pubblico; che anche la stessa tenuta economica del nostro Paese è strettamente collegata a questo problema, a causa delle spese infinite che esso comporta e che non sono adeguatamente compensate dall'UE; che il nostro Paese, in ogni caso, anche per la sua dignità, non può diventare la fogna di raccolta di tutti i mali e di tutti i problemi del mondo; che chi l'ha votata e/o ha creduto in lei è sempre più sbigottito di fronte alle cifre sempre crescenti di questa alluvione.

Orbene, se la Meloni non capisce tutto questo, è destinata a scomparire quanto prima anche lei, come le tante meteore che l'hanno preceduta.

Giorgia, ti prego, datti una mossa!


giovedì 15 giugno 2023

Parce sepulto

 



Da qualche tempo avevo  preso l’abitudine di impostare i miei rari interventi di commento politico su un registro di leggerezza e di disincanto, ormai convinto del fatto che la politica italiana spesso si muove in un’atmosfera da minuetto o da commedia. Ma, di fronte alla scomparsa di  Berlusconi, mi sono accorto che un atteggiamento del genere sarebbe stato del tutto fuor di luogo. Il cordoglio per la sua scomparsa è stato quasi unanime, a prescindere dalle convinzioni politiche di ognuno. E dico “quasi”, perché anche in tale circostanza il solito gruppo politico-“culturale” non ha mancato di far sentire la sua voce dissonante, sulla scia di un antiberlusconismo monomaniacale.

Nel giornale di riferimento, martedì 13 giugno, l’articolo di fondo era costituito da una serie interminabile di parole, di nomi e di riferimenti distorti alle vicende politiche e giudiziarie del cavaliere, con il chiaro intento di demonizzarlo e di evitare che l’Italia tutta diventasse “un’immensa Mediaset a reti unificate”.

L’autore dell’articolo non riusciva a capire che quella cavalcata a ritroso tra le vicende del Berlusca costituiva invece la riabilitazione del calunniato, perché ricordava, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che quell’uomo, quell’imputato, era stato sottoposto a 37 processi e che solo in uno  era stato condannato per evasione fiscale, con una sentenza risibile in un processo da repubblica delle banane. Ma tant’è. Bisogna fare il callo anche a questo.

Berlusconi fu un grande imprenditore e, in tale veste, rivoluzionò il mondo della comunicazione, della TV, dello sport, dello spettacolo. Fu anche un valente uomo politico. Era un liberale (non liberal, come nel mondo anglosassone) e volle estendere i confini della libertà oltre i confini angusti delle libertà individuali, fino ad abbracciare il mondo delle imprese, del commercio, dell’economia, della finanza. Fu a lungo Presidente del consiglio, ma non sempre riuscì a mettere in pratica i suoi intendimenti, dal momento che i suoi alleati, Bossi, Casini, Fini, più che collaborare, si rivelarono bravi ad aguzzare l’ingegno solo per creargli difficoltà.

Berlusconi ha dato il suo nome ad un intero ciclo della vita politica italiana, rivoluzionando anche il linguaggio politico e perseguendo un contatto diretto con gli elettori. E’ stato spesso calunniato ed avversato in modo feroce e spasmodico dai suoi oppositori, ma, nonostante tutto, ha conosciuto anche momenti di gloria. E mi piace ricordare tra questi eventi gloriosi l’incontro tra Bush e Putin a Pratica di Mare, perseguito, favorito e realizzato da Berlusconi, mentre il mondo, dopo il terribile attentato alle Torri gemelle, era alla ricerca di un periodo di pace sincera e di collaborazione tra le grandi potenze ex-nemiche. Ricordo ancora la ricostruzione post-terremoto in Abbruzzo, con il G7 all’Aquila ed il discorso di Onna, che costituì forse il momento più alto della sua carriera politica, con il suo chiaro tentativo di riconciliazione nazionale.

Negli ultimi tempi, è vero, la stella politica di Berlusconi si era appannata, a causa degli scandali sessuali, ingigantiti dalla magistratura e che comunque lo hanno visto assolto in tutti i processi. Ma non basta essere assolti per recuperare in pieno la propria credibilità. Un uomo politico di primo piano, un Presidente del Consiglio, anche se non commette reato, non può accompagnarsi disinvoltamente a ragazze sconosciute, che poi magari ti si mettono pure contro  e ti ricattano. E soprattutto Berlusconi è colpevole di non aver capito, o di non aver voluto capire, che quelle accuse non screditavano soltanto lui, ma colpivano e screditavano anche il movimento politico che egli aveva creato, sconcertando e avvilendo molti di coloro che avevano creduto in lui. Ed io tra questi.

Ma anche motivazioni politiche più profonde avevano incominciato a minare le fondamenta del suo movimento politico. Avvilito dalla pur ingiusta condanna penale per evasione, espulso dal Senato per la legge Severino applicata per la prima ed unica volta a suo danno, alla fine Berlusconi, l’indomabile, l’eroico, aveva finito con il diventare più cedevole e più disposto a rendersi accetto a quella parte che in Italia da sempre controlla le leve del potere effettivo. Negli ultimi tempi, pur dimostrandosi leale nei confronti del governo Meloni, troppo egli insisteva sulla sua presunta differenza con gli altri partners, che egli definiva “la destra”, mentre il suo partito avrebbe costituito il centro moderato e ragionevole. E non è da escludere che questi continui distinguo probabilmente possano avergli alienato molte simpatie degli elettori di destra.

Ma qui non intendo celebrare un processo politico o penale. Dinanzi alla dipartita del cavaliere, dinanzi alla dipartita di un uomo che ha comunque segnato la storia degli ultimi trenta anni, è soltanto opportuno fare l’unica cosa dignitosa e non sciacallesca che possa esserci concessa: partecipare al dolore ed attendere…Buon viaggio, cavaliere. 

venerdì 10 febbraio 2023

Meloni ed altre cucurbite


 

Lo ammetto: Giorgia Meloni mi è simpatica. Alle ultime elezioni politiche l'ho pure votata e quindi continua a sopravvivere in me quel feeling che, già da qualche anno, mi aveva spinto a condividere molte delle sue posizioni.

        In precedenza essa aveva suscitato in me solo curiosità, poi, a poco a poco mi sono detto che la nostra meritava ben più di una generica e banale simpatia. Era esploso intanto il fenomeno Meloni, travolgente ed improvviso. I sondaggi la davano in continua crescita, la sua autobiografia "Io sono Giorgia" diventava un caso editoriale e le critiche feroci a lei rivolte da molti oppositori politici, anziché danneggiarla, sembravano contribuire al suo successo.

        Io non mi entusiasmo facilmente, anche perché nel corso della mia ormai lunga vita ne ho viste tante e quindi il mio tratto distintivo è caratterizzato dal disincanto. Ma questa volta mi sono detto: vuoi vedere che la destra politica in Italia ha finalmente trovato un leader degno di questo nome?

Sapevo bene che tra il dire e il fare c'è un abisso e sapevo bene che altro è parlare dall'opposizione, altro poi è riuscire a mantenere le promesse fatte. Solo per fare un esempio, sapevo bene che quel suo parlare di blocco navale a proposito dell'immigrazione clandestina poteva risultare solo velleitario. Insomma non mi facevo troppe illusioni, ma mi sono convinto che si poteva almeno tentare.

        Poi, il 26 settembre scorso, è successo quel che è successo e la nostra Meloni, non solo ha vinto con l'appoggio di tutto il centrodestra, ma ha surclassato gli avversari ed è diventata primo ministro.

Sono appena passati i primi cento giorni del suo governo ed il mio giudizio è ancora sospeso. I tempi che viviamo sono semplicemente calamitosi, tra pandemie, guerra ed inflazione alle stelle, e voglio ancora accordarle la mia fiducia, ma è chiaro che deve darsi una mossa. Non quella di Ninì Tirabusciò ovviamente, anche perché lei non è una sciantosa. Ma lei, che ha detto di essere Giorgia, di essere cristiana, di essere Italiana, non ha mai detto di essere anche democristiana. Eppure... 

         Deve darsi da fare e non tergiversare, come sta avvenendo nel recente caso degli anarchici e del 41 bis. Dopo alcuni giorni di silenzio, ha saputo solo dire che tutti debbono abbassare i toni. "Abbassare i toni"? Per trenta anni la sinistra ha accusato Berlusconi di essere mafioso e ci sono ancora magistrati, al servizio del PD, che continuano ad indagarlo. E Rampelli e Delmastro non possono denunziare l'atteggiamento equivoco di certa sinistra tra Stato, anarchici, terrorismo e mafia perché diversamente sarebbero “istituzionalmente poco corretti”  ? E, quanto al cavaliere, puttaniere e vanesio, nessuno può certamente sostenere che è un santo, ma definirlo mafioso mi pare un po’ azzardato.

        Ma qualche giustificazione Giorgia ce l'ha. Lei deve superare non solo l'ostilità aperta dell'opposizione che (Emiliano docet) ha giurato di farle "sputare sangue", ma deve superare anche le insidie dei suoi alleati che, sotto sotto, non  si rassegnano a passare in seconda fila. Per il momento la nostra Meloni sopravvive e galleggia, ma è chiaro che questo non può durare a lungo.

        Di positivo, per una politica di destra, c'è la sua attenzione ai problemi di finanza pubblica, mentre i suoi alleati, pur di recuperare voti, non esitano talvolta a ricorrere ai vecchi sistemi della promessa continua, anche a costo di scassare i conti dello Stato e di mandare a carte 48 il debito pubblico, che costituisce ormai da decenni la palla al piede di qualunque governo.

        Che dire? Al punto in cui siamo, Meloni, pur senza strafare, si sta nel complesso confermando una leader. Certo lei stessa si rende conto che, per accontentare i suoi elettori, non può limitarsi a farsi fotografare davanti al presepe e ad esibire in qualche circostanza la figlioletta Ginevra, dichiarando che il suo orizzonte politico è legato ai cinque anni di durata governativa. Chiede, legittimamente, di essere giudicata  alla fine del suo mandato ed io riconosco le sue ragioni, anche perché capisco che, se anche lei non è il meglio, certamente è il meno peggio di ciò che passa il convento. E, con i tempi che corrono, questo è già molto. D'altra parte Meloni è Meloni, mentre gli altri, e tra questi includo il cavalier Berlusconi, il volenteroso Salvini, il parolaio Renzi, il sovrastimato Calenda, l'evanescente Letta, il miracolato Conti; tutti gli altri dico, tutti quelli, insomma, che le fanno una lotta esplicita o sotterranea, per il momento nulla possono contro di lei.

        La buonanima di Totò distingueva tra uomini e caporali. Noi dobbiamo almeno distinguere i meloni, gialli, intensi e saporiti, da altre cucurbite acquose e insapori, quando addirittura non dobbiamo distinguerli dalle zucchine e dai cetrioli, che abbondano sul palcoscenico della politica nostrana. D'altra parte la speranza è l'ultima a morire. E così sia.     

Ezio Scaramuzzino 



domenica 22 gennaio 2023

In vino veritas

 


Gli uomini si distinguono anche per la dimensione del cervello: esistono cervelli  grandi, medi e piccoli. Ma è sbagliato ritenere che, più grande è il cervello, più si è intelligenti, perché in questo caso conta quello che c’è dentro, non quanto ce n’è. Il discorso, ovviamente, si estende a tutti gli esseri viventi. L’elefante ha un cervello che pesa in media 4,5 kg, la balena ne ha uno di circa 10 kg, ma  l’elefante e la balena non sono più intelligenti dell’uomo che ha un cervello in media di 1,5 kg.

Perché questo discorso? Tutto è nato dalle polemiche suscitate dalla decisione dell’UE di consentire all’Irlanda di etichettare il vino come gravemente nocivo alla salute, equiparandolo di fatto al fumo di sigaretta. A tal proposito l’immunologa Antonella Viola, nota virostar televisiva, ha giustificato la decisione Ue, sostenendo, sulla base di uno studio condotto  dalla rivista Nature Communications, che chi beve vino sviluppa nel corso degli anni un cervello più piccolo.

Ora, a parte il fatto che questo studio, unico nel suo genere per poter essere considerato pienamente attendibile, ha suscitato varie polemiche ed è stato contestato da altre autorevoli fonti, è chiaro che il problema della nocività è strettamente legato al problema della quantità.

Se bere molto vino fa male come mangiare molta pasta e molta carne, o ingerire molti grassi e molti zuccheri, si può dire che faccia male anche la famosa “modica” quantità?

Io non sono medico, né scienziato, non ho la pretesa di dire agli altri quello che debbono fare nella vita, limitandone la libertà, perché riconosco agli uomini, se vogliono, anche la libertà di fare del male a se stessi, né ho la pretesa di conoscere la verità. Posso solo dire quello che ho fatto io e raccontare brevemente il mio rapporto col vino.

Io fino a trent’anni non ho bevuto vino, e non perché potesse farmi male, ma perché, semplicemente, mi disgustava. Poi, più o meno  all’età in cui sono convolato a giuste nozze, anche su insistenza degli amici, ho incominciato ad assaporarne un pochino, poi a berne un po’ di più. Raramente ho ecceduto, ma oggi posso chiaramente dire che il vino mi piace e lo bevo volentieri. Non bevo nemmeno vini costosi, che oltretutto non potrei nemmeno permettermi, ma, ad ogni pasto, se non ho il mio mezzo quarto, un ottavo di litro, non “ci prendo gusto”. Se un giorno o l’altro dovesse capitarmi di non poter bere il mio bicchiere, penso che anche il cibo mi andrebbe di traverso.

E poi, vogliamo dirla tutta? Quel po’ di vino rende anche più dolce la vita, ne sminuisce le asperità e rende accettabile la fatica quotidiana del vivere. Anche le persone, che ti sono state sempre antipatiche, diventano simpatiche, diventi più indulgente nei confronti degli altri, più disponibile alla tolleranza, alla gentilezza, al rispetto.

La polemica dell’UE mi ricorda tanto l’incomprensione dei Paesi nordici, legati al culto della nebbiosa e fredda birra, nei confronti della solare civiltà del vino che caratterizza i Paesi mediterranei. Che cosa sarebbe stata la nostra civiltà classica senza il culto della vite e del vino? Come si può immaginare il mondo antico di Atene e di Roma, il mondo del Medioevo e poi il mondo moderno, senza l’unicità di quel vino che per tanti secoli ha caratterizzato i rapporti umani e ha contribuito a renderci quello che siamo?

Il poeta latino Orazio diceva: Non possono piacere a lungo, né sopravvivere, i versi scritti dai bevitori di acqua.

Ed il grande Leonardo da Vinci: Et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini boni.

        E Charles Baudelaire: Se il vino sparisse dalla produzione umana, credo che si aprirebbe nella salute e nell’intelletto del pianeta, un vuoto, un’assenza, una mancanza molto più spaventosa di tutti gli eccessi e le deviazioni di cui si rende responsabile il vino.

E Mario Soldati: Non esiste il vino in sé, ma il vino nella vita, nel ricordo, nella fantasia ... Un vino bevuto, anche parecchi anni prima, in un momento in cui si era particolarmente felici, per esempio, innamorati e vicino alla persona amata, parrà sublime anche se è tutto il contrario: per distinguere, bisognerebbe non aver vissuto.

E mi piace concludere con il grandissimo Jorge Luis Borges.

Sonetto del vino

In quale regno o secolo e sotto quale tacita

congiunzione di astri, in che giorno segreto

non segnato dal marmo, nacque la fortunata

e singolare idea d’inventare la gioia?

Con autunni dorati fu inventata. Ed il vino

fluisce rosso lungo mille generazioni.

Come il fiume del tempo e nell’arduo cammino

ci fa dono di musica, di fuoco e di leoni.

Nella notte del giubilo o nell’infausto giorno

esalta l’allegria o attenua la paura.

E questo ditirambo nuovo che oggi gli canto

lo intonarono un giorno l’arabo ed il persiano.

Vino, insegnami come vedere la mia storia,

quasi fosse già fatta cenere di memoria.

                                 Jorge Luis Borges


martedì 4 ottobre 2022

Un popolo e il suo destino

 

Una spiaggia iraniana oggi


Dispiace, anzi addolora, quanto sta avvenendo in Iran dopo la morte della giovane Masha Amini in un carcere dove era stata rinchiusa per il reato di "immoralità" (portava il velo islamico lasciando fuori posto qualche ciocca di capelli). Ogni giorno proteste e duri interventi della polizia, con centinaia di arresti, morti e feriti. E' una strage continua e non è la prima volta che accade nella storia recente del Paese, ormai avvolto nella spirale continua di un destino di dolore e di morte. Solo che questa volta il destino c'entra ben poco, o perlomeno, se c'entra, bisogna pur dire che il popolo iraniano ci ha messo molto del suo nel costruirselo questo destino. Occorre, per forza di cose, ricordare qualche evento.

Era il 1978 e a Teheran regnava lo Scià, Reza Pahlavi. Era tutt'altro che perfetto questo imperatore, ma perlomeno era un sincero amico dell'Occidente ed aveva fatto varie riforme, che consentivano una lenta, ma graduale evoluzione dello stile di vita della popolazione. Lo Scià aveva anche un alto concetto di sé e solo qualche anno prima aveva celebrato il bimillenario della sua monarchia, che egli faceva addirittura risalire a Ciro il Grande, il fondatore dell'antico Impero persiano.

Lo Scià, però, non era riuscito a guadagnarsi il favore degli ayatollah, una sorta di alto clero dell'Islam sciita, molto intransigente e radicale. Costoro lo accusavano soprattutto di corruzione e di immoralità, soprattutto in relazione a quello che essi consideravano un vero e proprio decadimento dei costumi.

Nello stesso periodo divenne famoso a Parigi, dove viveva da esule, l'ayatollah Rhuollah Khomeyni, osannato per il suo antiamericanismo. E questo era più che sufficiente a far dimenticare il resto ed a renderlo appetibile all'opinione pubblica di mezzo mondo. Nel gennaio del 1979 lo Scià fuggiva all'estero, ormai incapace di sedare i tumulti che si ripetevano contro di lui, mentre, su un aereo graziosamente messo a disposizione dalla Francia, il primo febbraio 1979 Khomeyni arrivava a Teheran, accolto in delirio dalla folla.

Ricordo, come fosse ieri, che non riuscivo a dare una spiegazione logica a quel che vedevo e mi chiedevo come fosse possibile che quella popolazione in delirio non si rendesse conto e non si accorgesse dell'inizio di un nuovo Medioevo. La gente sembrava impazzita per l'arrivo dell'ayatollah e piangeva lacrime di gioia per la nuova vita che nasceva. Di lì a poco sarebbe nata la Repubblica Islamica dell'Iran e quelle lacrime di gioia di qualche giorno prima si sarebbero presto tramutate in lacrime di disperazione e di morte.

Una spiaggia iraniana nel 1970

Ezio Scaramuzzino

mercoledì 17 agosto 2022

La banalità del male

 


Durante la fiaccolata di ieri,  16 agosto 22, svoltasi a Crotone in solidarietà al giovane Davide Ferrerio, aggredito e ridotto in fin di vita da un quasi coetaneo, faceva bella mostra di sé un unico striscione con la scritta CROTONE DICE NO ALLA VIOLENZA. Ferma restando la nostra vicinanza alla vittima e alla famiglia, oltre che il nostro apprezzamento per l’iniziativa, ci si chiede se tutto sia andato per il verso giusto e se la cerimonia debba considerarsi inappuntabile nel suo svolgimento.

Intanto perché definire fiaccolata un percorso di poche centinaia di metri e con poche fiaccole rispetto al numero dei partecipanti? Perché non si è ritenuto opportuno utilizzare tutto, o in buona parte, il lungomare, cosa che avrebbe avuto un impatto emotivo ben più importante per l’intera città?

E poi perché quell’unico striscione così banale  nella sua disarmante pochezza? Crotone dice no alla violenza e la cosa non fa una piega, ma ci si chiede se oggi possa esistere in Italia, in Europa, nell’universo mondo una qualche città, un paese, un borgo, un quartiere, un condominio che dice sì alla violenza. C’era bisogno di farlo sapere, era tanto importante divulgare una notizia così originale?

Forse si poteva evitare qualunque striscione, ma, se proprio si voleva, si poteva scrivere CROTONE: PERCHE’ TANTA VIOLENZA?

Perché è legittimo chiedersi:

Perché a Crotone una simile, disumana violenza, anche se ormai questa è un dato costante della nostra società?

Perché, pur potendolo fare, nessuno è intervenuto a difendere il giovane?

Perché l’aggressore, di origine Rom, pare oltretutto senza alcun motivo plausibile, ha deciso di farsi “giustizia” da solo in modo così feroce?

Si spera che l’inchiesta giudiziaria possa far luce su tutti gli aspetti della vicenda e che il colpevole sia condannato ad una pena esemplare, ma gli aspetti reconditi e sociali della vicenda non saranno mai analizzati e disvelati, se non ci sarà la volontà politica di risolvere alcuni nodi e problemi che da troppo tempo attanagliano il nostro vivere quotidiano.

Perché finora le tragedie, nel nostro Paese, sono spesso, se non sempre, servite a fare passerella. E anche ieri qualche politico e i vari sindaci in prima fila e con la fascia tricolore non sono mancati. Non potevano fare un passo indietro, o almeno di lato? Non era meglio consentire che fosse solo la società civile ad esprimere il suo dolore ed il suo sgomento? Qualche politico  ha anche manifestato l’intenzione di costituirsi Parte civile nel processo. Vedremo se avverrà e a che titolo. E, tanto per non lasciarci privi di indicazioni culturali, non è nemmeno mancato un Reverendo che, durante la cerimonia nella piazzetta del Carmine, ha ritenuto opportuno ricordare l’insegnamento del Mahatma Gandhi, piuttosto che quello del Vangelo, evidentemente ritenuto non adeguato alla bisogna.

Per intanto tutto sembra convergere verso un unico fine, quasi a voler confermare il titolo di un famoso saggio di Hannah Arendt sulla banalità del male.

Ezio Scaramuzzino

(seguono 16 firme dell'Associazione politico-culturale Popolo e Identità)

martedì 9 agosto 2022

In ricordo di Pasquale Attianese


 

A distanza di qualche giorno dalla sua scomparsa, ora che il tumulto dei ricordi si è come sedimentato ed ha ripreso la calma consistenza di ciò che è destinato a durare per sempre, mi piace ricordare Pasquale Attianese, un amico e collega che ci ha lasciati improvvisamente più soli. Di Pasquale, a voler parafrasare il titolo di un famoso film, posso dire “Io lo conoscevo bene“.

Certo, a Crotone, egli era conosciuto un po’ da tutti. La sua quarantennale attività di Docente di Latino e Greco al Liceo Pitagora l’aveva messo a contatto di tante famiglie ed anche io, all’inizio, lo avevo conosciuto in tale veste.  Si aggiungano a questo la sua competenza altissima di monetazione magno-greca e i tanti libri da lui pubblicati, che ne avevano fatto un’autorità indiscussa in materia. Le nostre strade si sono poi incrociate allorché entrambi ci siamo ritrovati  ad essere docenti dell’Istituto paritario Benedetto XVI ed in quell’occasione  ho avuto  il privilegio di poterlo apprezzare anche dal punto di vista umano.
Mi piace ricordare ora il suo eterno sorriso, le sue polemiche da burbero benefico quale in fondo egli era e che si sgonfiavano nel tempo di qualche minuto. Mi piace ricordare ancora le tante “pizze” che ci hanno visto insieme, le nostre escursioni in auto, il nostro piacere reciproco di ritrovarci  con i tanti amici e colleghi della scuola.
Caro Pasquale, siamo stati bene assieme e ci siamo voluti bene. Sempre a confidarci i nostri crucci, le poche volte che c’erano, con un tono tra il serio ed il faceto, che pareva essere diventato la cifra segreta del nostro modo di affrontare i problemi. Ma uno sgarbo, debbo ammetterlo, alla fine io l’ho ricevuto da te. Tu, che eri di qualche anno più giovane di me, mi hai preceduto nel lungo viaggio e mi hai dato il dispiacere della tua scomparsa. Ma non posso nemmeno escludere che in fondo si tratti soltanto del tuo ultimo sberleffo.
Io me ne vado, sembri volerci dire, i tempi sono quelli che sono ed io mi ero rotto. Arrangiatevi“.
Ezio Scaramuzzino