sabato 13 novembre 2010

I fascisti di sempre di S.de Sismondi

I fascisti di sempre
venerdì 12 novembre 2010


Diversamente da quanto pensa il suo fondatore e il clan di avventurieri e pretoriani che si radunano entusiasticamente attorno a lui, la vicenda di Futuro e Libertà non costituisce alcuna novità ma certifica il fallimento politico e culturale e la mancata trasformazione di parte della destra italiana da partito fascistoide ed estremista a partito di governo capace di interpretare le ampie e complesse esigenze di un gran paese o quanto meno di un paese grande. Governare, ragionare politicamente è molto difficile e faticoso: occorre studio, coerenza politica capacità di gestione di realtà ed esigenze molto diverse. Occorre rispettare processi decisionali e patti interni ed esterni, quali quelli che si instaurano in alleanze e coalizioni. Occorre in altre parole una cultura di governo, un senso vasto e profondo dei bisogni del paese e delle sue istituzioni.



Rispetto ad un partito di governo, i caratteri del piccolo gruppo estremista sono completamente diversi: la sua organizzazione e il suo comportamento sono simili a quelli di una piccola gang di quartiere. Si tratta di un insieme di persone, legate al proprio capo da un solidarismo gerarchico-cameratesco. Al suo interno, non vi sono ovviamente processi decisionali istituzionalizati, ma la maggiore o minore autorevolezza dei suoi membri è determinata solo dalla capacità di intuire le vere intenzioni del capo, dalla abnegazione e dallo spirito di sacrificio con cui le favoriscono. Come ogni piccola banda criminale o gang di quartiere che si rispetti, il piccolo partitello estremista ha un rapporto contrastato ma non necessariamente conflittuale con l’ambiente in cui opera. Non vi sono soltanto coloro che lo avversano o lo temono, la maggioranza, ma anche quelli che per vari motivi ne sono attratti. Questi ultimi sono coloro che sono o si sentono esclusi, o vivono in una condizione di marginalità e di frustrazione, e quindi sono attratti dallo spirito solidale e cameratesco della piccola gang, in cui possono pensare di contare qualcosa. Tutto ciò spiega molto bene il potere di attrazione nei confronti di parte di numerosi parlamentari del centro destra, e non solo, da parte del partitello di Tulliani. Questi vedono nella sua gang l’occasione per uscire da una situazione di marginalità e di subalternità.



Rispetto alla guida di un grande partito moderato e all’attività di governo, la pratica dell’estremismo politico con il connesso spirito di corpo è molto più semplice, e forse più divertente. Per molti, la riduzione della complessità della vita sociale all’elementarità dell’istinto gregario che qui domina è una forma di rassicurazione. Oltre a questo, lo spirito di gang è particolarmente attraente perché esercita una forte suggestione adolescenziale. E’ come una forma di ringiovanimento, il recupero di una pienezza esistenziale, in cui la vita, che le scelte e la grigia routine dell’età adulta limitano irrimediabilmente, può ancora apparire come una grande avventura. Il vitalismo distruttivo crea poi in chi lo pratica un sentimento di importanza, fa sentire padroni del mondo. Questo spiega molto bene la forte attrazione esercitata da tutte le forme di reducismo e l’entusiasmo puramente distruttivo dei nuovi e vecchi pretoriani che si raccolgono attorno all’On. Tulliani-Fini.



La pratica dell’estremismo politico e della conseguente logica della piccola gang è indubbiamente lecita e in un sistema democratico e può ottenere forme variabili di consensi. Tuttavia, quello che non deve in alcun modo essere fatto è pensare che questa sia una forma di organizzazione politica universalmente valida: applicare la logica del piccolo gruppo, e quindi della gang, a realtà complesse, come partiti o coalizioni, che hanno responsabilità di governo è semplicemente distruttivo e ridicolo.



Questo si vede molto bene dalle gesta ridicole della "band" finiana in questi ultimi mesi.



E’ perfettamente normale che il capo di una gang concepisca la lotta per il dominio del quartiere in termini puramente muscolari e “rusticani” con i suoi rivali. Ed è altrettanto comprensibile che questa lo segua, obbedendogli ciecamente. Tuttavia, è frutto di ingenuità o –se vogliamo- di stupidità politica credere che un vasto corpo elettorale assuma lo stesso atteggiamento, per cieco fideismo, a prescindere da impegni e dai programmi sottoscritti. Non si possono mutare impegni precisi presi in materia di immigrazione, politica della famiglia (quella costituzionale) e riforma della giustizia, allo stesso modo in cui una gang cambia divisa, per puro e velleitario desiderio di distinguersi da altri. Non tenere conto dei programmi e degli impegni presi con l’elettorato, può sembrare ai fan del piccolo gruppetto teppista un atto di grande strategia politica e di forza. Ma è facile pensare che alla gran parte degli elettori, che votano tenendone conto, questo sembri semplicemente un volgare gioco delle tre carte, un atteggiamento da imbonitore da mercatino rionale, e una grave menomazione dei loro diritti politici. Se poi questa volgare truffa politico- elettorale, questa sceneggiata da voltagabbana al servizio di tutto e di tutti, tranne che dei semplici cittadini è assecondata da un intero establishment politico- amministrativo e addirittura dalle alte cariche dello stato, ciò determina una grave erosione della legittimità e della credibilità delle istituzioni di un paese. Allo stesso modo, la scena dei ministri (per altro pessimi e insignificanti) che depongono i loro mandati nelle mani del capetto che guida la camera dei deputati, può essere una scena entusiasmante per la piccola gang: nella realtà è una forma grottesca di disprezzo delle istituzioni, ridotte ben peggio del bivacco di manipoli di mussoliniana memoria. E stupisce non poco che i vari apostoli e difensori della centralità del parlamento non abbiano avuto nulla da ridire, al riguardo.



Trascurare, se non addirittura disprezzare, questi fondamentali valori non è puramente un gioco a somma zero. Esiste, infatti, per la legittimità delle isituzoni di un paese, un punto di non ritorno, un punto in cui, per dirla con Cicerone, “res publica nulla est”, lo stato cessa di esistere. Un parlamento autoreferenziale, che persegue solo gli interessi e le mediocri ambizioni di gruppi e gruppuscoli, che compensano la mancanza di legittimità effettiva, che solo un rapporto coerente e lineare con il mandato popolare può garantire, con l’appoggio di un imprecisato numero di lobby nazionali e internazionali, dei vari e supposti poteri forti o deboli che siano, perde la sua fondamentale funzione di espressione e di mediazione degli interessi e dei conflitti di un paese. Non trovando sbocco in parlamento, questi saranno necessariamente perseguiti in forma extraparlamentare e extra-istituzionale. Il bellissimo risultati di questi zelanti fautori del “ritorno alla politica”, non potrà essere altro che l’ulteriore allargamento dell’area dell’antipolitica e dell’astensione se non la piena legittimazione di un ribellismo che potrebbe assumere forme violente. Indubbiamente, un modo degno e nobile di festeggiare l’imminente centocinquantenario dell’unità d’Italia.

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