Ogni tanto fa bene ridere, o almeno sorridere. D'altra parte per indignarsi c'è sempre tempo, ammesso che nel nostro Paese, ormai allo sbando e nella fase terminale della sua esistenza, possa sopravvivere qualcosa per cui vale la pena indignarsi. Non restano che il disprezzo e la nobile arte dello scaracchio per chi ci ha ridotti in queste condizioni. Per intanto cinque minuti con il grande Achille Campanile.
Il viandante
scalcagnato entrò col figlioletto nel vestibolo del sontuoso albergo, si
diresse verso la cattedra del portiere e, dopo aver a lungo frugato nella
rigonfia borsa spelacchiata che mai lo abbandonava, ne trasse un biglietto da
visita e lo porse all'uomo gallonato.
«Mi annunzi
al direttore» disse.
Il portiere,
che intanto aveva squadrato dall'alto in basso lo strano personaggio, le sue
scarpe malridotte e il nodoso bastone che a costui serviva per tener lontano i
cani da pastore nelle sue lunghe peregrinazioni, dié un'occhiata al cartoncino.
Di colpo, sbalordito, fece una riverenza al nuovo venuto e corse ad
annunziarlo.
Sul
biglietto si leggeva:
«S.E. prof.
ing. avv. comm. Pasini».
Dopo poco
dall'alto della scalea si precipitava giù il direttore dell'albergo in persona
che, chiamato mentre stava per andare a letto, stava terminando di infilarsi il
tight. Col biglietto in mano fece un profondo inchino al visitatore e: «In che
posso servirla, eccellenza?» disse.
Il viandante
scalcagnato si schermì.
«Non sono
eccellenza» fece, modesto.
«Ma sul suo
biglietto è stampato S.E.» osservò l'altro.
«Sono le
iniziali del mio nome: Silvio Enea».
Il direttore
era rimasto un po' smontato.
«Bene
professore,» fece «dica pure».
Nuovamente
l'altro ebbe un cortese gesto di protesta come chi non ambisca i titoli.
«Non sono
professore» disse.
«Ma questo
"prof."?»
«Abbreviazione
di profugo» spiegò il nuovo venuto. «Sono profugo d'un campo di
concentramento».
«Mi dispiace
molto ingegnere» fece il direttore, dopo aver data un'altra occhiata al
biglietto da visita.
«Non sono
ingegnere» mormorò il visitatore.
«Eppure,»
disse l'altro «qui c'è un "ing.". Non vorrà dirmi» aggiunse in tono
rispettosamente scherzoso «ch'ella sia un ingenuo o un ingiusto, e tanto meno
un ingeneroso».
«Ingegnoso,»
precisò il viandante «nient'altro che ingegnoso. E gliela prova fra l'altro il
fatto d'indicare questa mia virtù con un'abbreviazione che talvolta mi procura
dei vantaggi».
«Ah,» fece
il direttore, con una certa freddezza «allora la chiamerò soltanto col suo
titolo di avvocato».
Il nuovo
venuto fece spallucce.
«Quale
titolo?» esclamò tra stupito e divertito per l'equivoco. «Quale avvocato?
Quando feci fare i biglietti da visita non ero in pianta stabile nel posto che
occupavo. Ciò le spiega quell'"avv." che tanto l'ha impressionato e
che sta per avventizio».
«E qual era
questo posto, commendatore?» domandò l'uomo in tight con deferenza; ché anche
il titolo di commendatore, per quanto svalutato, merita qualche considerazione.
L'altro si
fece serio.
«Non sono
commendatore» precisò. «Non mi piace attribuirmi titoli che non ho. E ai quali
non tengo».
«Eppure qui
dice "comm."» scattò il direttore. «Oh, perdio santissimo, non sono
mica cieco. Leggete anche voi». E sventolava il biglietto sotto gli occhi del
portiere ammutolito.
Il viandante
scalcagnato non si scompose.
«Abbreviazione
di "commissionario"» disse con cortese fermezza. «Ero commissionario
d'albergo».
S'udì un
tonfo.
Il portiere
gallonato, che aveva assistito alla scena, cadde lungo disteso. Il fatto che
colui ch'egli aveva ritenuto, non soltanto commendatore, ma addirittura
eccellenza, fosse invece un semplice commissionario fu per il brav'uomo il crollo
di un'illusione. Tanto più che, tratto in inganno da quella sfilza di presunti
titoli, egli aveva elargito al personaggio parecchi rispettosi inchini. Non si
risollevò più dal colpo. Colto da un febbrone, in breve volger di tempo morì.
Ma per fortuna la catastrofe avvenne dopo la fine della scena che è oggetto del
presente racconto.
Quindi non
saremo tenuti a rattristare i lettori con la descrizione d'una degenza
complicata da un doloroso delirio.
Per il
direttore dell'albergo, intanto, la notizia che il presunto commendatore altri
non fosse che un commissionario fu una doccia fredda sul suo entusiasmo di
poc'anzi.
«Dica,
Pasini» mormorò seccamente.
L'altro
scosse il capo.
«Che?» urlò
il direttore. «Scuote il capo? Non sarebbe per caso nemmeno Pasini? Questo è
troppo».
Ma l'altro
lo tranquillizzò.
«Scuoto il
capo per passatempo» disse.
«Bene,
brav'uomo» borbottò il direttore; e dovette far forza a se stesso, ché non gli
era facile dar del brav'uomo a uno che pochi istanti prima egli aveva creduto
un commendatore. «Che cosa desidera?»
«Vorrei
essere assunto come facchino».
«E mi fa
anche alzare dal letto?» urlò il direttore. «Siamo al completo!»
Gli voltò le
spalle piantandolo in asso.
Il viandante
scalcagnato affondò il biglietto nella borsa e col figlioletto per mano si
allontanò nella notte.
Da Gli
asparagi e l'immortalità dell'anima
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