venerdì 13 ottobre 2017

Dialogo tra un vecchio e la morte, di Franco Federico

Bellissima fanciulla,
Dolce a veder, non quale
La si dipinge la codarda gente...
...Bella Morte, pietosa
Tu sola al mondo dei terreni affanni...
...Solo aspettar sereno
Quel dì ch'io pieghi addormentato il volto
Nel tuo virgineo seno.
G. Leopardi: Amore e morte


M: Perché mi hai chiamato?
V: Perché solo da te si può cogliere il significato più profondo della vita e mi possono essere date le risposte che vado ormai da tempo cercando. Gli uomini della mia epoca non ti vogliono neppure sentire nominare e fanno gli scongiuri più volgari e stupidi al solo passare di un carro funebre. Fino a qualche tempo fa, quando illusoriamente ero portato ad immaginare il nostro definitivo incontro su uno sfondo più sfumato e lontano, non ci pensavo proprio ad un dialogo con te come questo, anche se, come comunemente accade con l'avanzare dell'età, eri già da un po' tra i miei pensieri. Ma è stata una recente crisi, che sembra avermi irreversibilmente compromesso importanti funzioni vitali, a farmi sentire più forte che mai il bisogno di aprirmi a te. Sapere di non avere più tanto tempo di fronte a me e di dover lasciare per sempre questo mondo, le persone e le cose che ho amato e amo con tutto me stesso mi porta inevitabilmente a vedere ogni cosa da un punto di vista molto diverso.
M: Di che cosa mi vuoi parlare?
V: Del tuo quasi sistematicamente ingiusto e crudele comportamento che ti porta a colpire inesorabilmente o una persona molto giovane, o una famiglia alla cui porta hai già bussato più di una volta, o addirittura un bambino. E, come ebbe a notare tanti secoli or sono un santo come il grande Agostino, fai campare a lungo persone che "sarebbe stato meglio non fossero mai nate", falciando invece prematuramente persone brave ed oneste e fonte di gioia e di affetto non solo per le persone a loro più care. Per questo modo di comportarti, tanto illogico quanto inaccettabile, non pochi credenti, incapaci di seguire l'esempio di Giobbe, finiscono col perdere la fede, dal momento che, a torto o a ragione, sei considerata tu la ministra e la cattiva consigliera del solo in grado di dare sia la vita che la morte, cioè Dio. Tu sei stata, ad esempio, capace di strapparmi una madre di soli 39 anni, così abbandonando alla desolazione e allo sconforto, oltre che mio padre, anch'egli giovane, un fratellino di soli 5 anni e me alle prese con la difficile fase iniziale degli studi universitari. Dio solo sa per quanto tempo sono perdurate le conseguenze di questa prematura dipartita e quali profondi cambiamenti abbiano dovuto subire le nostre vite negli anni successivi. Pensa che il tempo non è riuscito, neppure in me ormai vecchio, a cancellare del tutto le tracce di tale sciagura, ch'eppure risale a tanti e tanti anni fa. Tu sei capace di arrecare all'uomo il dolore più grande di tutti, che è quello di strappargli il figlio, sconvolgendo così la legge della natura per la quale è il genitore a dover morire prima del figlio. Pensa con quanto amore e sempre vigile cura una madre ha allevato il figlio che le hai tolto e, per salvare la cui vita, non esiterebbe neppure un attimo ad offrire la propria.
M: Mi domando perché mai, voi uomini, vi ostiniate ad attribuire a me quel che, per una legge universale di natura, capita ad ogni cosa vivente, anche inanimata: il morire che porta la materia a trasformarsi in altro di ciò che era prima. Le uniche cose che possono sfuggire a tale dura legge naturale e che hanno una durata senza fine sono quelle prodotte dalla grande arte, non dall'arte passeggera che insegue le mode e asseconda i gusti mutevoli del pubblico dell'epoca in cui nasce. E, pur vantando una vita fatta di miliardi di anni, un giorno toccherà anche alla terra morire e chissà che ciò non accadrà molto prima del previsto per le folli scelleratezze dell'uomo odierno, incaparbito nell'assommare sprechi su sprechi e nel fare incancrenire tutto ciò che gli vive intorno. Quanto a voi, non è affatto vero che sia io, vuoi per capriccio, vuoi per cattiveria bella e buona, a recidervi il filo della vita. La verità è che un cuore può smettere di battere per una ragione patologica tra le tante, così come può accadere che tra fratelli ad uno solo tocchi di ammalarsi gravemente e di dover così dare l'addio alla vita. Al contrario, la familiarità di una malattia può essere tale, da colpire tutti i membri di un'intera famiglia, non risparmiandone alcuno. E tutto questo non accade certo per colpa mia. Così come in ogni epoca non accadono per colpa mia sanguinose e assurde guerre; né sono io che vado a gettare neonati nei cassonetti. Che dire, poi, dei decessi che avvengono per gli incidenti più diversi e soggetti anch'essi, come le malattie, a null'altro che alla pura casualità. Io non sono che una sorta di notaio che prende atto di un fatto compiuto ed al quale voi avete da sempre dato il mio nome. A ben riflettere, a recidere il filo della vita sono molteplici fattori e, in fondo, sembra avere ragione l'antico filosofo Seneca, il quale  sosteneva che "l'uomo non muore", in quanto è lui che uccide se stesso col suo vivere dissennato e non rispondente ad alcuna regola. Se è vero che, ai giorni vostri, tanti decessi sono evitati grazie ai grandi progressi della medicina, è altrettanto vero che altri, all'opposto, sono causati invece da contaminazioni ed inquinamenti a cui sempre più risulta soggetta la vostra vita, dall'epoca industriale in poi. L'aumento smisurato delle malattie tumorali in determinate aree ne costituisce una prova inconfutabile.
V: Resta comunque il fatto, quanto mai misterioso, che tu colpisci Tizio e non Caio, pur vivendo entrambi nello stesso ambiente e, talvolta, nella stessa casa. Chiamiamola pure, se credi, una triste fatalità, ma è pur sempre un mistero che un malanno grave che è all'origine di una prematura dipartita venga ciecamente a colpire l'uno piuttosto che l'altro. Tant'è che una vita è giudicata fortunata o meno proprio in base all'epoca del morire. Mentre, quando viene meno per vecchiaia un proprio congiunto, ci si predispone al triste evento con atteggiamento di rassegnata accettazione e senza eccessivi lamenti. E il vecchio stesso che si trova molto avanti negli anni si sente in ogni momento pronto al trapasso, o ormai così stanco degli acciacchi dai quali la sua vita è ridotta ai minimi termini, da non vedere l'ora di farla finita. Mio padre, nei suoi ultimi anni, mi diceva che durante la notte riusciva a dormire massimo una mezz'oretta, così che la testa gli andava girando per conto suo, facendolo, suo malgrado, imbattere nelle funeste immagini di una carrellata quasi infinita di parenti o amici defunti. L'unica cosa giusta che si ravvisa in te è che, aldilà della differente durata della vita, nessun uomo, neppure il più potente del mondo, può sfuggirti e che, una volta che sopraggiungi tu, ciò di cui si era diventati padroni si perde tutto. Poco importa che vada a finire nelle mani di eredi; quel che conta è che nell'altro mondo - ammesso che ce ne aspetti un altro - non è possibile trasportare alcunché con noi. Rendi così tutti allo stesso modo poveri di fronte a te, né esiste alcuna via di scampo a questo inesorabile destino.
M: Mi compiaccio che mi sia attribuita almeno qualche cosa di giusto e di benefico. Penso anzi in proposito che l'assoluta inevitabilità ed imprevedibilità del definitivo incontro con me dovrebbero spingervi, credenti e non, a dare alle cose materiali della vita il giusto valore che meritano e a non tormentarvi l'esistenza con l'insaziabilità e con la smoderatezza dell' ambizione. A parte gli esseri viventi ai quali sfortunatamente tocca essere anzitempo afferrati da me, i mortali destinati a diventare vecchi imparano a conoscere già da vivi, attraverso le molteplici rinunce a cui sono costretti dalla vecchiaia, quel che comporta il definitivo incontro con me. A ben pensarci, la tua età costituisce di fatto un'anticipazione di me, per cui non si sa bene quanto effettivamente convenga augurarvi di potervi inoltrare nella vecchiaia più avanzata, visto che tanti dei suoi più comuni acciacchi anche la più progredita medicina dei giorni vostri riesce a malapena solo ad attenuare e che per la stessa vengano irreversibilmente dismesse funzioni quanto mai piacevoli, come ammirare le bellezze della natura, godere i bei frutti dell'amicizia, incrementare di continuo le proprie conoscenze, gustare gli infiniti piaceri offerti dalle diverse arti, come la letteratura e la musica, fare l'amore, mangiare bene, ecc., con i quali di fatto viene a coincidere il piacere stesso del vostro vivere.
V: Ma, per fortuna nostra, ci sono cose che non ci possono essere sottratte né dalla vecchiaia, né da te e che, molto più di quanto possa farlo la consapevolezza della nostra ineluttabile fine, ci spingono a fondare su più giuste basi la vita e a comprendere quali siano i suoi veri valori. Intanto, non è affatto vero che, sopraggiunta tu, si perda tutto e che ai propri eredi non si possa lasciare nient'altro che beni materiali. La nostra più pregiata eredità è costituita dal ricordo di noi e dall'esemplarità che siamo stati capaci di rappresentare nel corso dell'intera esistenza. Il senso di rettitudine e di giustizia al quale è stata improntata l'azione nei momenti più importanti della vita permette alla nostra persona di conservarsi viva pur dopo di te. Il ricordo ci consente un prolungamento della vita che tanto si protrarrà, quanto durerà il ricordo di coloro che ci hanno fatto dono del loro affetto e della loro amicizia. L'egregia lezione offerta da Foscolo in proposito mantiene sempre intatta la sua forte valenza significativa La dignità mostrata nell'affrontare te e le sofferenze che, in più di un caso, ti precedono ha in sé un elevato grado di esemplarità che difficilmente può essere dimenticata dai congiunti e dalle persone amiche. C'è chi addirittura riesce a riscattare una vita non interamente spesa nel migliore dei modi proprio col coraggio, la forza e la dignitosa compostezza mostrati durante una penosa malattia seguita da una lunga e straziante agonia. É davvero stupefacente come possa venir meno, quando ci si trova di fronte al "dunque", quella paura che accompagna l'uomo al solo pensarti. Stranamente, ci fai paura più quando appari lontana che quando ci sei molto vicina. E, per dirla tutta, a farci paura non è tanto il tempo in cui si muore, quanto il modo: un morire lento o un morire improvviso e subitaneo? Andarsene così dolcemente da non accorgersene nemmeno, o un perire preceduto da una struggente via crucis e da un'intermittente speranza votata al nulla? Tu costituisci non solo l'ultimo atto della vita, ma anche l'atto che, il più delle volte, si compie sotto gli occhi di tante persone. Mentre moriamo, c'è chi non cessa neppure un attimo di osservarci. Il luogo in cui ci capita abitualmente d'incontrarci con te è ormai l'ospedale, perché è qui che oggi generalmente si nasce e si muore.
M: Mi aspettavo che con me scegliessi di parlare dell'argomento che è d'obbligo associare a me, ovvero il "dopo", che normalmente incute più paura di me, considerato che l' immaginazione del "dopo" risulta ammantata da una maggiore dose di mistero e di interrogativi.
V: Ma di "dopo-di-te" ne esistono comunque due, perché due sono le immagini che affiorano dalla mente dell'uomo quand'egli pensa al proprio destino dopo di te. A voler semplificare forse troppo, si potrebbe dire che c'è un "dopo-di-te" in terra, così come c'è un "dopo-di-te" in cielo, nel senso che una cosa è immaginare quale sorte riserveranno a noi, una volta morti, ovvero al nostro ricordo, alla nostra immagine, all'affetto che da vivi hanno quotidianamente nutrito per noi, i propri cari e i nostri più grandi amici; una cosa ben diversa è immaginare la sorte che nell'aldilà sarà riservata alla nostra anima. Credo, a tal proposito, che non ci sia ateo, anche il più convinto, che non venga assalito dal dubbio, nei pur rari momenti in cui è segretamente attraversato da simili pensieri, perché non c'è certezza che tenga quando ci si avventura in una dimensione così delicata e misteriosa come questa. Per quanto incredibile possa sembrare, di fronte a tale dilemma talvolta vacilla anche la coscienza del credente. E, come si legge nella Livella di Totò, con tutto si può scherzare, meno che con te.
Franco Federico
(pubblicato per gentile concessione del periodico Il Petilino)

2 commenti:

  1. A quante riflessioni induce tutto ciò! riflessioni dalle quali si rifugge finchè si è giovani e che intristiscono quando non lo si è più!

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  2. Fa bene ogni tanto riflettere sulla morte. Anche per apprezzare di più la vita...

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