Con grave scandalo dei soliti tromboni, Berlusconi ha definito il processo Mills, che lo riguarda, come una barzelletta. Non gli si può dar torto. Basta dire che i giudici di Milano, pur di celebrare il processo, evitando che cadesse in prescrizione, si sono sbizzarriti in una sorta di legislazione creativa, stabilendo che il reato di corruzione si oggettiva soltanto nel momento in cui il corrotto si dà a spendere i soldi ricevuti dal corruttore.
Con queste premesse, il processo si presenta chiaramente come il più comico e il più paradossale tra i tanti che il Cavaliere ha subito da quindici anni a questa parte e solo un P.M. come Fabio De Pasquale poteva portarlo avanti. Finirà nel nulla come i tanti processi precedenti.
Intanto è di tutta evidenza che per il Cavaliere ormai l’essere processato e condannato da simili giudici costituisce un titolo di merito, non certo un’infamia.
E giustamente. Perché questi giudici appartengono alla stessa compagnia di giro di quelli che qualche anno fa emisero una originale sentenza nel tribunale di Brescia.
Quei giudici si trovarono a processare un loro collega, P.M. a Milano, che non si era fatto scrupolo di farsi prestare da un tizio, sottoposto alle sue indagini, cento milioni di lire e una Mercedes, oltre al fitto gratuito di un appartamento nel centro di Milano. C’è da ricordare pure che quei cento milioni di lire furono poi restituiti in una scatola di scarpe avvolta in un giornale , tra un udienza e l’altra del processo, direttamente dal P.M. al suo creditore . Orbene quei giudici, esaminato il caso, sentenziarono che i fatti, pur candidamente ammessi, non costituivano reato.
Su sentenze come queste, a voler essere generosi, ci si può solo fare la pipì di sopra. Ad evitare di sporcare per terra.
P.S.Solo a titolo di cronaca ricordo che il P.M. milanese della Mercedes, dei cento milioni di lire e e della scatola di cartone, si chiamava e si chiama Antonio Di Pietro.
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