Una
giornata significativa quella del 13 ottobre 2016. Muore Dario Fo, ex premio
Nobel per la letteratura e nello stesso
giorno identico riconoscimento viene attribuito al cantautore americano Bob
Dylan, presumo per i testi, non certo per gli spartiti musicali delle sue
canzoni.
Già
il premio a Dario Fo suscitò a suo tempo molto sconcerto e in tanti avvertirono
in esso una pericolosa involuzione, tale da far ritenere che non poteva essere
più considerato serio un premio che in precedenza era stato assegnato, per
limitarci all’Italia, a Eugenio Montale, a Luigi Pirandello, a Salvatore
Quasimodo.
Ho
già avuto modo di parlare di Fo, qualche mese addietro, in occasione della
morte di Giorgio Albertazzi (leggi qui), quasi che i due avessero vissuto delle vite
parallele, ed in quella circostanza sostenevo che forse l’unico, grande merito
artistico di Fo era stato quello di trovarsi, a differenza del suo gemello,
politicamente schierato dalla parte giusta della barricata. Non potevo d’altra
parte ritenere degna del Nobel quella banale trovata linguistica, conosciuta
con il nome di grammelot, né quella sua polemica fastidiosa e continua contro
la chiesa cattolica, cosa che non gli conferiva certo l’aureola del martire, quasi
egli fosse un novello Giordano Bruno o
Galileo Galilei, dal momento che oggi dir male della chiesa è diventato
molto più facile, più comodo e più
redditizio dello sparare alla Croce Rossa. Tralascio poi, per carità di patria, le sue prese di posizione in occasione dell'assassinio del commissario Calabresi ed in altri clamorosi episodi legati al terrorismo rosso. Ho sempre ritenuto che
quell’assegnazione del Nobel a Fo costituisse
uno svilimento dello stesso Nobel, ormai chiaramente orientato, come si è agevolmente visto negli anni successivi, al fiancheggiamento di una certa
politica, almeno per quanto riguarda i
settori non scientifici (pace, letteratura, economia), dove la faziosità,
l’arbitrio, la stupidità legata alla presunzione e lo spirito di cordata la fanno ormai da padrone.
Lo
si nota del resto anche nell’odierna attribuzione a Dylan, il quale è stato
autore di qualche bella canzone,
come Blowing in the Wind, è
stato punto di riferimento per un’intera generazione di pacifisti, figli dei fiori, hippies e contestatori vari negli ultimi decenni del
secolo scorso, ma che solo con difficoltà vedo degno del premio Nobel, almeno del
Nobel di quando esso era ancora una cosa seria.
Ma tant’è. Penso che
bisogna rassegnarsi e ricordare con amarezza che non hanno
vinto il Nobel scrittori e poeti del calibro di Giuseppe Ungaretti, Lev
Tolstoj, Graham Greene, Jorge Luis Borges, Oriana Fallaci.
Oggi,
per vincere il Nobel per la letteratura, bisogna essere schierato politicamente
dalla parte giusta, avere un certo successo mediatico, non andare contro
corrente. Dario Fo e Bob Dylan avevano questi requisiti e sono stati giustamente
premiati. Mi dispiace solo per Checco Zalone: dovrà ancora aspettare, penso per
molto.
Due appunti: alle benemerenze di Fo c'è da aggiungere la totale - e attivissima - adesione alle teorie complottiste sull'11 dicembre. Blowing in the wind a me è sempre apparsa così tanto scema, così tanto sciapa, così tanto insulsa, così tanto nulladicente... Degno manifesto dei pacifisti, giustamente (se abbia anche fatto qualcosa di buono non lo so, perché ha una voce talmente sgradevole che proprio non riesco ad ascoltarlo. Non ci sono mai riuscita).
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