venerdì 26 maggio 2017

La collezione di francobolli, parte I (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino


Nel 1960 fu girato a Scandale il film Il brigante e molte scene ebbero come sfondo gli interni e gli esterni del palazzo dei baroni Drammis. Ho letto da qualche parte che in tali circostanze ebbe inizio la spoliazione del palazzo, perché furono saccheggiati molti reperti e, addirittura, il regista Renato Castellani trafugò due ritratti ottocenteschi di Giuseppe Garibaldi e di Vittorio Emanuele II, di cui si impossessò senza avvertire mai più l’esigenza di restituirli ai legittimi proprietari. Sarà così, non dico di no, ma, arrivato a tal punto della mia vita, ora che ho la spiacevole seccatura di avere qualche annetto di troppo, avverto l’esigenza di confessare che in realtà la spoliazione era incominciata già in precedenza, ad opera di chi scrive, e che, per capire come andarono le cose, bisogna fare un salto a ritroso, a circa dieci anni prima.
A me il gusto ed il piacere di collezionare qualcosa venne abbastanza presto, quando avevo non più di 8-9 anni. Erano gli anni 50 del secolo scorso e da qualche tempo frequentavo la sezione dell’Azione Cattolica di Scandale. A dire il vero andavo in sezione soprattutto perché lì c’era l’unico Calcio Balilla del paese e solo lì potevo dare sfogo alla mia insaziabile voglia di giocare e di divertirmi, talché, quando era l’ora di chiusura, interrompevo di mala voglia e non vedevo l’ora che arrivasse l’orario di apertura del giorno successivo.       All’ Azione Cattolica ci si divertiva molto allora, sotto l’amorevole guida di Gino Scalise,  “il Presidente” lo chiamavamo, il quale però, tra un divertimento e l’altro, non tralasciava di insegnarci i fondamenti della religione e soprattutto non tralasciava di trasmetterci alcuni interessi e comportamenti utili per la vita.
-Ehi tu, mi chiese, che cosa fai durante il giorno, quando non sei impegnato con la scuola o qui in sezione?
-Presidente, che vuoi che faccia? Non faccio nulla d’importante. Le uniche ore libere al pomeriggio le passo con mio cugino Franco. Con lui vado a caccia di lucertole e di uccelli. Lui è molto bravo con la fionda: è capace di colpire un passero a 100 metri di distanza, e anche io me la cavo.
-Ma, invece di andare a caccia, perché non ti impegni in qualcosa di più serio?
-Per esempio?
-Beh, potresti fare una collezione di francobolli, tanto per cominciare.
-Ma a casa mia non è che arrivino tante lettere. Giusto, ogni tanto, qualche lettera dai parenti dell’America.
Mi rimase in testa una specie di fruscio per quella collezione. Certo, non avevo idee precise su dove e come procurarmi dei francobolli interessanti, che non fossero quelli, comunissimi e conosciutissimi, attaccati alle solite lettere di corrispondenza ordinaria. Ma, intanto, si poteva tentare, vedere, cercare un po’. Chissà, poteva venirne qualcosa di utile e di interessante, tanto più che si diceva in giro che con i francobolli si poteva diventare pure ricchi, anche se io non mi ci vedevo proprio a diventare ricco in quel modo.
        Un giorno, mentre rimuginavo su quella benedetta collezione di francobolli, mi venne in mente che, grazie alla mia amicizia con Guglielmo, il primogenito di don Antonio, mi capitava spesso di frequentare il palazzo dei baroni Drammis. Ci andavo spesso, specie nei pomeriggi d’estate, a bighellonare, a giocare, a rovistare, perché tutto, in quel palazzo, suscitava la mia curiosità e la mia voglia di conoscere. Beh, in quel palazzo certamente avrei potuto trovare materiale interessante per la mia collezione.
Incominciai ad andarci più spesso, cercando di evitare lo sguardo perennemente serio e pensieroso del padre don Antonio, mentre mi faceva piacere imbattermi nel volto sorridente e aperto della madre donna Angelina. Poi con Guglielmo mi avviavo nel salone centrale, ampio e luminoso, dove a volte era possibile trovare qualcuno dei numerosi fratelli minori, in particolare Salvatore, che cercavo di sfuggire perché lo trovavo incazzoso e poco incline a stabilire rapporti con coloro che probabilmente egli riteneva soltanto degli intrusi.
Un pomeriggio, come tante altre volte, mi ritrovai nel salone con Guglielmo, mentre in casa sembrava non esserci nessun altro. Provammo a strimpellare i tasti di un pianoforte, chiaramente bisognoso di qualche riparazione, ma lo avevamo già fatto altre volte e la cosa non ci allettava più di tanto. Poi ci affacciammo al balcone che dava sull’attuale piazza San Francesco, poi rientrammo e Guglielmo volle farmi vedere alcuni vecchi fucili. Aprì una rastrelliera, dove erano appesi alcuni archibugi di un tipo che io non avevo mai visto e ne afferrammo anche uno, mettendoci a simulare una fucilazione e premendo più volte il grilletto. Non erano carichi quei vecchi e polverosi archibugi, ma, se anche lo fossero stati, non so fino a che punto avrebbero potuto ammazzare qualcuno, nelle condizioni in cui si trovavano.
A quel punto Guglielmo si accorse che aveva una necessità impellente.   –Mi assento un pochino, mi disse, penso di fare subito.
-Ma non avere fretta, fai con comodo; io non mi annoio di certo a rimanere solo. Con tutte le cose che ci sono da scoprire qui.
-Va bene, ma non combinare guai.
-Stai tranquillo! Vai, vai pure.
Rimasto completamente solo, mi guardai attorno e rimasi colpito da una grande vetrina in fondo con molti sportelli ed un’ampia scrivania, sul davanti, con un numero incredibile di cassetti e cassettini. Mi avvicinai con precauzione e cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiai la mano su un pomello e delicatamente aprii uno sportello con i vetri affumicati. Mi si parò davanti agli occhi uno spettacolo incredibile: una montagna di carte, di documenti, di lettere di ogni tipo era distesa davanti a me. Afferrai a caso una busta e vidi che sul francobollo era raffigurato il volto inconfondibile di Vittorio Emanuele II, con i lunghi e arrotolati mustacchi: roba di almeno cento anni prima.
Forse avevo risolto il problema della mia collezione di francobolli: si trattava solo di convincere Guglielmo a lasciarmi fare quello che intendevo fare in un piano di azione fulmineamente elaborato.
Al suo ritorno Guglielmo mi trovò ancora imbambolato davanti alla vetrina.
-Ma che stai facendo lì? Ci sono solo carte vecchie dietro quegli sportelli.
-Saranno pure carte vecchie, ma ho dato pure uno sguardo e mi interessano molto. Anzi, sai che ti dico? Ho visto che ci sono molte lettere con dei francobolli. Ti dispiace se ne prendo qualcuno? Magari non oggi, che è già tardi. Verrò nei prossimi giorni, a ritagliarli con calma, per evitare di danneggiare le buste.
-Certo che puoi prenderli, li puoi prendere pure tutti. Ma che te ne fai? E’ tutta roba vecchia. E poi i francobolli sono pure timbrati, non è che li puoi usare un’altra volta.
- Guglie’, faccio collezione di francobolli: è una moda nuova e mi piace molto.
-Fa’ come vuoi. Sono tutti tuoi.
        Era fatta, ormai, e d'altra parte non avevo dubbi sulla generosità di Guglielmo. Nei giorni seguenti aumentai sensibilmente il numero delle mie visite al palazzo. Portavo in tasca un paio di  forbici, andavo diritto e senza perdere tempo alla vetrina e alla scrivania e con calma prendevo le lettere ad una ad una, ritagliavo il francobollo con parte della busta sottostante e conservavo il tutto in una cartellina che mi ero portato appresso. Spesso Guglielmo mi aiutava nel lavoro ed arrivava anche a darmi qualche suggerimento, pur non tralasciando di sfottermi per quella strana mania, che mi era presa, di raccogliere francobolli vecchi.
Posso dire con certezza che tutte le lettere dell’antico palazzo Drammis furono raccolte, esaminate, ritagliate ed infine rimesse al loro posto senza i preziosi francobolli. Solo un giorno, uno degli ultimi giorni, per la fretta, anziché ritagliare il francobollo, portai via una lettera intera con l’intenzione di completare il lavoro, con calma, a casa mia.
 Tutti quei francobolli, una volta portati a casa, furono poi manipolati e qualche volta danneggiati dalle mie mani inesperte. I francobolli venivano da me immessi in una bacinella d’acqua, per essere staccati più facilmente dalla busta sottostante, e poi messi ad asciugare. Spesso, nell’asciugarsi, diventavano duri e legnosi e maggiormente soggetti a strappi e danneggiamenti vari. Infine preparavo la colla, l’unica che allora si conoscesse, quella formata da acqua e farina di grano. Mescolavo a lungo l’impasto per renderlo più omogeneo, ne spargevo un po’ sul retro di ogni francobollo ed infine attaccavo il tutto su un quadernone delle dimensioni di un registro. Inutile dire che con tutta quella colla il quadernone finì col pesare quanto un dizionario, e forse anche qualcosa di più.
Ma a me quella collezione, grezza, pesante e ruvida, sembrò comunque bellissima. La prendevo spesso, la sfogliavo, mi estasiavo soprattutto davanti ai volti conosciuti degli eroi del Risorgimento: Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour diventarono per me dei volti familiari e qualche volta mi ritrovai a sfiorarli con le dita, ad accarezzarli perfino.
Un giorno mi venne curiosità di leggere anche il contenuto di quella lettera, che in uno degli ultimi giorni avevo portato a casa mia e che, per una serie di strane e fortuite circostanze, a distanza di tanti anni ancora possiedo e qualche volta vado a riprendere e a rileggere con piacere. Ne riporto qui di seguito il contenuto, senza cambiare neppure una virgola.
Regno d’Italia
Governo Italiano
Il ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi
Al Signor Barone Salvatore Drammis - Scandale
(Continua)
N.B. Il racconto, per la sua lunghezza, viene pubblicato in due parti. La seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni.
Ezio Scaramuzzino


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