Nel 1960 fu girato a Scandale il film Il brigante e molte scene ebbero
come sfondo gli interni e gli esterni del palazzo dei baroni Drammis. Ho letto
da qualche parte che in tali circostanze ebbe inizio la spoliazione del
palazzo, perché furono saccheggiati molti reperti e, addirittura, il regista
Renato Castellani trafugò due ritratti ottocenteschi di Giuseppe Garibaldi e di
Vittorio Emanuele II, di cui si impossessò senza avvertire mai più l’esigenza
di restituirli ai legittimi proprietari. Sarà così, non dico di no, ma,
arrivato a tal punto della mia vita, ora che ho la spiacevole seccatura di
avere qualche annetto di troppo, avverto l’esigenza di confessare che in realtà
la spoliazione era incominciata già in precedenza, ad opera di chi scrive, e
che, per capire come andarono le cose, bisogna fare un salto a ritroso, a circa
dieci anni prima.
A me il gusto ed il piacere di collezionare
qualcosa venne abbastanza presto, quando avevo non più di 8-9 anni. Erano gli
anni 50 del secolo scorso e da qualche tempo frequentavo la sezione
dell’Azione Cattolica di Scandale. A dire il vero andavo in sezione soprattutto
perché lì c’era l’unico Calcio Balilla del paese e solo lì potevo dare sfogo
alla mia insaziabile voglia di giocare e di divertirmi, talché, quando era
l’ora di chiusura, interrompevo di mala voglia e non vedevo l’ora che arrivasse
l’orario di apertura del giorno successivo. All’ Azione Cattolica ci si
divertiva molto allora, sotto l’amorevole guida di Gino Scalise, “il Presidente” lo chiamavamo, il quale però,
tra un divertimento e l’altro, non tralasciava di insegnarci i fondamenti della
religione e soprattutto non tralasciava di trasmetterci alcuni interessi e
comportamenti utili per la vita.
-Ehi tu,
mi chiese, che cosa fai durante
il giorno, quando non sei impegnato con la scuola o qui in sezione?
-Presidente, che vuoi che
faccia? Non faccio nulla d’importante. Le uniche ore libere al pomeriggio le
passo con mio cugino Franco. Con lui vado a caccia di lucertole e di uccelli.
Lui è molto bravo con la fionda: è capace di colpire un passero a 100 metri di
distanza, e anche io me la cavo.
-Ma, invece di andare a
caccia, perché non ti impegni in qualcosa di più serio?
-Per esempio?
-Beh, potresti fare una
collezione di francobolli, tanto per cominciare.
-Ma a casa mia non è che
arrivino tante lettere. Giusto, ogni tanto, qualche lettera dai parenti dell’America.
Mi rimase in testa una specie di fruscio per
quella collezione. Certo, non avevo idee precise su dove e come procurarmi dei
francobolli interessanti, che non fossero quelli, comunissimi e
conosciutissimi, attaccati alle solite lettere di corrispondenza ordinaria. Ma,
intanto, si poteva tentare, vedere, cercare un po’. Chissà, poteva venirne qualcosa
di utile e di interessante, tanto più che si diceva in giro che con i
francobolli si poteva diventare pure ricchi, anche se io non mi ci vedevo
proprio a diventare ricco in quel modo.
Un giorno, mentre rimuginavo su quella
benedetta collezione di francobolli, mi venne in mente che, grazie alla mia
amicizia con Guglielmo, il primogenito di don Antonio, mi capitava spesso di
frequentare il palazzo dei baroni Drammis. Ci andavo spesso, specie nei
pomeriggi d’estate, a bighellonare, a giocare, a rovistare, perché tutto, in
quel palazzo, suscitava la mia curiosità e la mia voglia di conoscere. Beh, in
quel palazzo certamente avrei potuto trovare materiale interessante per la mia
collezione.
Incominciai ad andarci più spesso, cercando
di evitare lo sguardo perennemente serio e pensieroso del padre don Antonio,
mentre mi faceva piacere imbattermi nel volto sorridente e aperto della madre
donna Angelina. Poi con Guglielmo mi avviavo nel salone centrale, ampio e
luminoso, dove a volte era possibile trovare qualcuno dei numerosi fratelli
minori, in particolare Salvatore, che cercavo di sfuggire perché lo trovavo
incazzoso e poco incline a stabilire rapporti con coloro che probabilmente egli
riteneva soltanto degli intrusi.
Un giorno, come tante altre volte, mi
ritrovai nel salone con Guglielmo, mentre in casa sembrava non esserci nessun
altro. Provammo a strimpellare i tasti di un pianoforte, chiaramente bisognoso
di qualche riparazione, ma lo avevamo già fatto altre volte e la cosa non ci
allettava più di tanto. Poi ci affacciammo al balcone che dava sull’attuale
piazza San Francesco, poi rientrammo e Guglielmo volle farmi vedere alcuni
vecchi fucili. Aprì una rastrelliera, dove erano appesi alcuni archibugi di un
tipo che io non avevo mai visto e ne afferrammo anche uno, mettendoci a
simulare una fucilazione e premendo più volte il grilletto. Non erano carichi
quei vecchi e polverosi archibugi, ma, se anche lo fossero stati, non so fino a
che punto avrebbero potuto ammazzare qualcuno, nelle condizioni in cui si
trovavano.
A quel punto Guglielmo si accorse che aveva
una necessità impellente. –Mi assento un
pochino, mi disse, penso di fare
subito.
-Ma non avere fretta, fai
con comodo; io non mi annoio di certo a rimanere solo. Con tutte le cose che ci
sono da scoprire qui.
-Va bene, ma non combinare
guai.
-Stai tranquillo! Vai, vai
pure.
Rimasto completamente solo, mi guardai
attorno e rimasi colpito da una grande vetrina in fondo con molti sportelli ed
un’ampia scrivania, sul davanti, con un numero incredibile di cassetti e
cassettini. Mi avvicinai con precauzione e cercando di fare il minor rumore
possibile, appoggiai la mano su un pomello e delicatamente aprii uno sportello
con i vetri affumicati. Mi si parò davanti agli occhi uno spettacolo
incredibile: una montagna di carte, di documenti, di lettere di ogni tipo era
distesa davanti a me. Afferrai a caso una busta e vidi che sul francobollo era
raffigurato il volto inconfondibile di Vittorio Emanuele II, con i lunghi e
arrotolati mustacchi: roba di almeno cento anni prima.
Forse avevo risolto il problema della mia
collezione di francobolli: si trattava solo di convincere Guglielmo a lasciarmi
fare quello che intendevo fare in un piano di azione fulmineamente elaborato.
Al suo ritorno Guglielmo mi trovò ancora
imbambolato davanti alla vetrina.
-Ma che stai facendo lì? Ci
sono solo carte vecchie dietro quegli sportelli.
-Saranno pure carte
vecchie, ma ho dato pure uno sguardo e mi interessano molto. Anzi, sai che ti
dico? Ho visto che ci sono molte lettere con dei francobolli. Ti dispiace se ne
prendo qualcuno? Magari non oggi, che è già tardi. Verrò nei prossimi giorni, a
ritagliarli con calma, per evitare di danneggiare le buste.
-Certo che puoi prenderli,
li puoi prendere pure tutti. Ma che te ne fai? E’ tutta roba vecchia. E poi i
francobolli sono pure timbrati, non è che li puoi usare un’altra volta.
- Guglie’, faccio
collezione di francobolli: è una moda nuova e mi piace molto.
-Fa’ come vuoi. Sono tutti
tuoi.
Era
fatta, ormai, e d'altra parte non avevo dubbi sulla generosità di Guglielmo. Nei giorni seguenti aumentai sensibilmente il numero delle mie
visite al palazzo dei baroni Drammis. Portavo in tasca un paio di forbici, andavo diritto e senza perdere tempo
alla vetrina e alla scrivania e con calma prendevo le lettere ad una ad una,
ritagliavo il francobollo con parte della busta sottostante e conservavo il
tutto in una cartellina che mi ero portato appresso. Spesso Guglielmo mi
aiutava nel lavoro ed arrivava anche a darmi qualche suggerimento, pur non
tralasciando di sfottermi per quella strana mania, che mi era presa, di
raccogliere francobolli vecchi.
Posso dire con certezza che tutte le lettere
dell’antico palazzo Drammis furono raccolte, esaminate, ritagliate ed infine
rimesse al loro posto senza i preziosi francobolli. Solo un giorno, uno degli
ultimi giorni, per la fretta, anziché ritagliare il francobollo, portai via una
lettera intera con l’intenzione di completare il lavoro, con calma, a casa mia.
Tutti
quei francobolli, una volta portati a casa, furono poi manipolati e qualche
volta danneggiati dalle mie mani inesperte. I francobolli venivano da me
immessi in una bacinella d’acqua, per essere staccati più facilmente dalla
busta sottostante, e poi messi ad asciugare. Spesso, nell’asciugarsi,
diventavano duri e legnosi e maggiormente soggetti a strappi e danneggiamenti
vari. Infine preparavo la colla, l’unica che allora si conoscesse, quella
formata da acqua e farina di grano. Mescolavo a lungo l’impasto per renderlo
più omogeneo, ne spargevo un po’ sul retro di ogni francobollo ed infine
attaccavo il tutto su un quadernone delle dimensioni di un registro. Inutile
dire che con tutta quella colla il quadernone finì col pesare quanto un
dizionario, e forse anche qualcosa di più.
Ma a me quella collezione, grezza, pesante e
ruvida, sembrò comunque bellissima. La prendevo spesso, la sfogliavo, mi
estasiavo soprattutto davanti ai volti conosciuti degli eroi del Risorgimento:
Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour diventarono per me dei
volti familiari e qualche volta mi ritrovai a sfiorarli con le dita, ad
accarezzarli perfino.
Un giorno mi venne curiosità di leggere
anche il contenuto di quella lettera, che in uno degli ultimi giorni avevo
portato a casa mia e che, per una serie di strane e fortuite circostanze, a
distanza di tanti anni ancora possiedo e qualche volta vado a riprendere e a
rileggere con piacere. Ne riporto qui di seguito il contenuto, senza cambiare
neppure una virgola.
Parte II
Regno d’Italia
Governo Italiano
Il ministro dell’Interno Ubaldino
Peruzzi
Al Signor Barone Salvatore Drammis -
Scandale
D’intesa
con Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio Onorevole Marco Minghetti,
risulta grato e piacevole porgere alla Signoria Vostra a nome del governo tutto
e mio personale le congratulazioni vivissime e ferventissime per l’esito dei
fatti d’arme dell’11 aprile 1863.
In
pari data, in contrada Galloppà di Scandale, il brigante Pietro Monaco, alias
Bruttacera, osò assaltare la sua residenza e le sue proprietà. La S.V. fugò la
masnada assassina con sommo sprezzo del pericolo e con minime perdite.
Il
fatto è indice sicuro del suo amor di Patria e della sua intatta devozione a
codesto Governo e alla Maestà del Re Vittorio Emanuele II.
Si
coglie la fortunata occasione per far sapere con vivissimo e ferventissimo
piacere che codesto Ministero ha gìà avviato opportuna pratica allo scopo di
conferire onorificenze ufficiali e compensi materiali per coloro che si
distinsero nella circostanza.
Roma, addì 15 giugno 1863
Il ministro dell’Interno
Ubaldino Peruzzi
Intanto la mia collezione di francobolli cresceva,
con altri ritrovamenti occasionali, anche se meno pregiati, ed io riuscii ad
alimentare la mia passione per qualche mese ancora, forse per un anno. Nel
frattempo avevo bisogno di farmi bello con qualcuno e ne misi a parte una ragazzina mia vicina di casa, che informò il fratello, il quale a sua
volta informò gli amici, finché la cosa non divenne di dominio pubblico e
tante persone incominciarono a farmi domande. Poi incominciai ad annoiarmi un
pochino e la collezione finì coll’essere posta in un cantuccio e con l’essere
dimenticata ed abbandonata.
La dimenticai io, ma non la dimenticarono i
miei amici e compagni di scuola, i quali spesso mi avevano chiesto della
collezione e che, anzi, finirono con il ricordarsene, a mio danno, in una
circostanza particolare.
Scandale era allora tutto sommato un piccolo
paese, con circa duemila abitanti, ma questo non impediva agli scarsi abitanti
di alimentare un fiero campanilismo rionale, che era avvertito soprattutto tra
i ragazzi. I rioni principali del paese erano tre, il Chiano, la Piazza, la
Colla, ed in tutti e tre si erano formate piccole bande di ragazzi, che
avvertivano fieramente il senso dell’appartenenza e che erano disposti a
qualunque cosa pur di difendere il loro territorio. Queste bande nascevano e si
sviluppavano quasi naturalmente, conoscevano un periodo di effervescenza nel
periodo dei fuochi (“luminari” li chiamavamo) di San Giuseppe, quando giorno e
notte erano impegnate nel difendere o nel cercare di rubare agli altri la legna
da ardere, poi languivano lentamente fino a scomparire, per riemergere
improvvisamente nei momenti più impensati.
Ogni banda aveva un capo, che non veniva
eletto per votazione, ma veniva scelto automaticamente per il coraggio
dimostrato, per la stazza fisica e per qualche impresa precedente. Il capo
della banda del Chiano era per tradizione Salvatore Drammis, il fratello minore
di Guglielmo, coraggioso fino all’incredibile e disposto a difendere il suo
territorio a qualunque costo. Nella banda della Piazza primeggiava Giovanni
Cizza, ben piazzato fisicamente e disposto a menar le mani in ogni circostanza.
Nella banda della Colla, la mia, il ruolo di capo era appannaggio, a seconda
dei periodi, ora di Mario Cirillo, ora di Franco Scalise. Ne facevano parte
anche Francesco Garieri, Vittorio Simbari, Francesco Esposito, posizionato
quasi sempre nelle retrovie ed ai rifornimenti, e tanti altri di cui a tanta distanza di tempo ricordo bene i
volti, ma ricordo con difficoltà i nomi. C’ero pure io, il più piccolo di
tutti, sia fisicamente sia per età, che davo alla meglio il mio contributo, ma
ogni tanto avevo necessità di ricorrere all’aiuto degli altri, che dovevano
pensare a difendere me, invece di pensare a se stessi o di pensare ad attaccare
i “nemici”.
Inutile dire che, in queste condizioni,
diventava difficile anche attraversare il paese e capitava spesso che, per non
attraversare il territorio controllato dalle altre bande, si fosse costretti a
cambiare percorso.
Un giorno, a causa di un temporale
improvviso e violento, uscii da scuola un po’ più tardi del solito. Frequentavo
la quinta elementare e l’aula era ubicata nella zona Pietà, al confine quasi tra
il rione Colla ed il rione Piazza, per cui, per ritornare a casa, ero costretto
ad attraversare un tratto di competenza della banda del rione Piazza. Ero
contento quel giorno per un bel voto riportato in un compito di grammatica, ma
per altri versi mi sentivo un po’ in ansia, perché nel tratto di confine temevo
di fare qualche brutto incontro. Era finito di piovere ormai e, una volta messa
la testa fuori dall’aula, avevo per prima cosa dato uno sguardo a destra ed a
sinistra: sembrava non ci fossero presenze sospette e la strada appariva
sgombra.
Mi affrettai il più possibile, quasi mi misi
a correre, con la cartella dei libri che oscillava violentemente da una parte all’altra, quando
improvvisamente, sbucando da una viuzza laterale, mi si pararono davanti
Giovanni Cizza ed un suo sodale, che io non conoscevo molto bene, ma che sapevo
chiamarsi Giuseppe Lucà.
-Dove vai così di fretta?, mi
chiese Giovanni
-Dove vuoi che vada? Vado a
casa, risposi.
-Ma se arrivi con un po’ di
ritardo, non è la fine del mondo. Fermati un pochino!
- Ma come fermarmi? A casa
mi aspettano. Lasciatemi perdere.
-Ah, ma il ragazzino
dimostra di non capire, intervenne il Lucà.
-Vedi, riprese
Giovanni, il mio amico Giuseppe è sempre
un po’ nervoso e perde facilmente la pazienza. Non so se ti conviene non dargli
ascolto. Io ti consiglio di fermarti un pochino.
-Ma insomma che volete?, dissi
quasi gridando, nella speranza di attirare l’attenzione di qualche passante,
anche se inutilmente, perché a quell’ora e con quel freddo la strada era
completamente deserta.
-Beh, veramente è il mio
amico che da te vuole soltanto una cosa, una cosa da nulla. Insomma, vuole la
tua collezione di francobolli e gliela devi dare anche presto, anzi subito. Vai
a casa, la prendi e la porti qua.
-Ma siete impazziti? La
collezione è mia e ci ho lavorato per mesi!
-Vedi?, riprese
Giuseppe Lucà, il ragazzino continua a
non capire. Te lo avevo detto io che è duro di comprendonio.
E,
dopo queste ultime parole, i due mi afferrarono per le braccia e mi
trascinarono nella traversa da cui erano sbucati. Il Lucà tirò fuori un
forbicione.
-La vedi ‘sta forbice?, disse. Se non vai subito a prendere la
collezione, a questa forbice resterà attaccato qualcosa di tuo.
E,
nel dire questo, mi tagliò con violenza due bottoni della giacca.
-Incominciamo con i
bottoni, disse, poi passiamo a qualche altra cosa.
Ero
terrorizzato, tanto più che il Lucà continuava ad inveire, con la complicità di
Giovanni , che ogni tanto si ricordava di darmi una strattonata.
-Anzi, riprese
il Lucà, invece di tagliargli tutti i bottoni,
potremmo levargli tutto quello che ha addosso e mandarlo a casa nudo. Così con
questo freddo si prende pure una bella bronchite. Ma, per convincerlo, possiamo
anche non arrivare a tanto ed essere buoni. Lui ci lascia la cartella dei
libri, va a casa, prende la collezione, ce la porta, noi gli restituiamo la
cartella e non è successo niente. Amici come prima, anzi più di prima, sempre
ammesso che lui non parla e la cosa resta tra di noi.
Ero
solo contro due che mi sovrastavano in ogni senso e capii che non
avevo scampo. Dovevo uscire da quella situazione.
-E va bene, dissi. Vi lascio la cartella e vado a prendervi la
collezione.
Arrivato
a casa, vidi che i miei erano già a tavola. Mia madre arrivò a sgridarmi per il
ritardo, pensando che mi fossi fermato, come altre volte, a giocare per strada.
Non diedi ascolto a nessuno, corsi a tirar fuori la collezione e, senza neppure
troppi rimpianti, feci la strada a ritroso e la consegnai a quei due, ricevendo
in cambio la cartella che avevo lasciato come pegno. Avevo l’impressione che
della collezione non mi importasse poi più di tanto e, nel momento di
consegnarla, avvertii quasi un senso di liberazione.
Oggi, a distanza di tanti anni, non so che
fine abbia fatto la collezione, anzi non so nemmeno se esiste ancora quella
collezione. Ovviamente non c’è più quell’obbligo del silenzio al quale mi ero
impegnato al momento dello scambio ed il fatto di aver raccontato quelle
lontane vicende mi provoca non un senso di liberazione, come allora, ma un
sentimento di amarezza e talvolta un sorriso. Mi è già capitato altre volte e
continua a capitarmi qualche volta di riandare col pensiero a quelle vicende e
a quella collezione e non nascondo che, fatta salva l’ingenuità e
l’inesperienza della mia fanciullezza, penso che mi sarebbe ancora piaciuto
tenerla ancora tra le mani, sfogliarla ed accarezzare i volti dei personaggi,
degli eroi raffigurati sui francobolli. Come allora, come sessanta anni fa.
Ezio Scaramuzzino
N.B. Il racconto pubblicato in data odierna contiene sia la parte I, sia la parte II. Ho preferito tale soluzione per rendere più comprensibile il racconto a coloro che non avessero letto la parte I.
Scrivi molto bene, ti leggo sempre con piacere
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