mercoledì 31 maggio 2017

La collezione di francobolli, parte II (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino

Parte I
Nel 1960 fu girato a Scandale il film Il brigante e molte scene ebbero come sfondo gli interni e gli esterni del palazzo dei baroni Drammis. Ho letto da qualche parte che in tali circostanze ebbe inizio la spoliazione del palazzo, perché furono saccheggiati molti reperti e, addirittura, il regista Renato Castellani trafugò due ritratti ottocenteschi di Giuseppe Garibaldi e di Vittorio Emanuele II, di cui si impossessò senza avvertire mai più l’esigenza di restituirli ai legittimi proprietari. Sarà così, non dico di no, ma, arrivato a tal punto della mia vita, ora che ho la spiacevole seccatura di avere qualche annetto di troppo, avverto l’esigenza di confessare che in realtà la spoliazione era incominciata già in precedenza, ad opera di chi scrive, e che, per capire come andarono le cose, bisogna fare un salto a ritroso, a circa dieci anni prima.
A me il gusto ed il piacere di collezionare qualcosa venne abbastanza presto, quando avevo non più di 8-9 anni. Erano gli anni 50 del secolo scorso e da qualche tempo frequentavo la sezione dell’Azione Cattolica di Scandale. A dire il vero andavo in sezione soprattutto perché lì c’era l’unico Calcio Balilla del paese e solo lì potevo dare sfogo alla mia insaziabile voglia di giocare e di divertirmi, talché, quando era l’ora di chiusura, interrompevo di mala voglia e non vedevo l’ora che arrivasse l’orario di apertura del giorno successivo.       All’ Azione Cattolica ci si divertiva molto allora, sotto l’amorevole guida di Gino Scalise,  “il Presidente” lo chiamavamo, il quale però, tra un divertimento e l’altro, non tralasciava di insegnarci i fondamenti della religione e soprattutto non tralasciava di trasmetterci alcuni interessi e comportamenti utili per la vita.
-Ehi tu, mi chiese, che cosa fai durante il giorno, quando non sei impegnato con la scuola o qui in sezione?
-Presidente, che vuoi che faccia? Non faccio nulla d’importante. Le uniche ore libere al pomeriggio le passo con mio cugino Franco. Con lui vado a caccia di lucertole e di uccelli. Lui è molto bravo con la fionda: è capace di colpire un passero a 100 metri di distanza, e anche io me la cavo.
-Ma, invece di andare a caccia, perché non ti impegni in qualcosa di più serio?
-Per esempio?
-Beh, potresti fare una collezione di francobolli, tanto per cominciare.
-Ma a casa mia non è che arrivino tante lettere. Giusto, ogni tanto, qualche lettera dai parenti dell’America.
Mi rimase in testa una specie di fruscio per quella collezione. Certo, non avevo idee precise su dove e come procurarmi dei francobolli interessanti, che non fossero quelli, comunissimi e conosciutissimi, attaccati alle solite lettere di corrispondenza ordinaria. Ma, intanto, si poteva tentare, vedere, cercare un po’. Chissà, poteva venirne qualcosa di utile e di interessante, tanto più che si diceva in giro che con i francobolli si poteva diventare pure ricchi, anche se io non mi ci vedevo proprio a diventare ricco in quel modo.
        Un giorno, mentre rimuginavo su quella benedetta collezione di francobolli, mi venne in mente che, grazie alla mia amicizia con Guglielmo, il primogenito di don Antonio, mi capitava spesso di frequentare il palazzo dei baroni Drammis. Ci andavo spesso, specie nei pomeriggi d’estate, a bighellonare, a giocare, a rovistare, perché tutto, in quel palazzo, suscitava la mia curiosità e la mia voglia di conoscere. Beh, in quel palazzo certamente avrei potuto trovare materiale interessante per la mia collezione.
Incominciai ad andarci più spesso, cercando di evitare lo sguardo perennemente serio e pensieroso del padre don Antonio, mentre mi faceva piacere imbattermi nel volto sorridente e aperto della madre donna Angelina. Poi con Guglielmo mi avviavo nel salone centrale, ampio e luminoso, dove a volte era possibile trovare qualcuno dei numerosi fratelli minori, in particolare Salvatore, che cercavo di sfuggire perché lo trovavo incazzoso e poco incline a stabilire rapporti con coloro che probabilmente egli riteneva soltanto degli intrusi.
Un giorno, come tante altre volte, mi ritrovai nel salone con Guglielmo, mentre in casa sembrava non esserci nessun altro. Provammo a strimpellare i tasti di un pianoforte, chiaramente bisognoso di qualche riparazione, ma lo avevamo già fatto altre volte e la cosa non ci allettava più di tanto. Poi ci affacciammo al balcone che dava sull’attuale piazza San Francesco, poi rientrammo e Guglielmo volle farmi vedere alcuni vecchi fucili. Aprì una rastrelliera, dove erano appesi alcuni archibugi di un tipo che io non avevo mai visto e ne afferrammo anche uno, mettendoci a simulare una fucilazione e premendo più volte il grilletto. Non erano carichi quei vecchi e polverosi archibugi, ma, se anche lo fossero stati, non so fino a che punto avrebbero potuto ammazzare qualcuno, nelle condizioni in cui si trovavano.
A quel punto Guglielmo si accorse che aveva una necessità impellente. –Mi assento un pochino, mi disse, penso di fare subito.
-Ma non avere fretta, fai con comodo; io non mi annoio di certo a rimanere solo. Con tutte le cose che ci sono da scoprire qui.
-Va bene, ma non combinare guai.
-Stai tranquillo! Vai, vai pure.
Rimasto completamente solo, mi guardai attorno e rimasi colpito da una grande vetrina in fondo con molti sportelli ed un’ampia scrivania, sul davanti, con un numero incredibile di cassetti e cassettini. Mi avvicinai con precauzione e cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiai la mano su un pomello e delicatamente aprii uno sportello con i vetri affumicati. Mi si parò davanti agli occhi uno spettacolo incredibile: una montagna di carte, di documenti, di lettere di ogni tipo era distesa davanti a me. Afferrai a caso una busta e vidi che sul francobollo era raffigurato il volto inconfondibile di Vittorio Emanuele II, con i lunghi e arrotolati mustacchi: roba di almeno cento anni prima.
Forse avevo risolto il problema della mia collezione di francobolli: si trattava solo di convincere Guglielmo a lasciarmi fare quello che intendevo fare in un piano di azione fulmineamente elaborato.
Al suo ritorno Guglielmo mi trovò ancora imbambolato davanti alla vetrina.
-Ma che stai facendo lì? Ci sono solo carte vecchie dietro quegli sportelli.
-Saranno pure carte vecchie, ma ho dato pure uno sguardo e mi interessano molto. Anzi, sai che ti dico? Ho visto che ci sono molte lettere con dei francobolli. Ti dispiace se ne prendo qualcuno? Magari non oggi, che è già tardi. Verrò nei prossimi giorni, a ritagliarli con calma, per evitare di danneggiare le buste.
-Certo che puoi prenderli, li puoi prendere pure tutti. Ma che te ne fai? E’ tutta roba vecchia. E poi i francobolli sono pure timbrati, non è che li puoi usare un’altra volta.
- Guglie’, faccio collezione di francobolli: è una moda nuova e mi piace molto.
-Fa’ come vuoi. Sono tutti tuoi.
        Era fatta, ormai, e d'altra parte non avevo dubbi sulla generosità di Guglielmo. Nei giorni seguenti aumentai sensibilmente il numero delle mie visite al palazzo dei baroni Drammis. Portavo in tasca un paio di  forbici, andavo diritto e senza perdere tempo alla vetrina e alla scrivania e con calma prendevo le lettere ad una ad una, ritagliavo il francobollo con parte della busta sottostante e conservavo il tutto in una cartellina che mi ero portato appresso. Spesso Guglielmo mi aiutava nel lavoro ed arrivava anche a darmi qualche suggerimento, pur non tralasciando di sfottermi per quella strana mania, che mi era presa, di raccogliere francobolli vecchi.
Posso dire con certezza che tutte le lettere dell’antico palazzo Drammis furono raccolte, esaminate, ritagliate ed infine rimesse al loro posto senza i preziosi francobolli. Solo un giorno, uno degli ultimi giorni, per la fretta, anziché ritagliare il francobollo, portai via una lettera intera con l’intenzione di completare il lavoro, con calma, a casa mia.
 Tutti quei francobolli, una volta portati a casa, furono poi manipolati e qualche volta danneggiati dalle mie mani inesperte. I francobolli venivano da me immessi in una bacinella d’acqua, per essere staccati più facilmente dalla busta sottostante, e poi messi ad asciugare. Spesso, nell’asciugarsi, diventavano duri e legnosi e maggiormente soggetti a strappi e danneggiamenti vari. Infine preparavo la colla, l’unica che allora si conoscesse, quella formata da acqua e farina di grano. Mescolavo a lungo l’impasto per renderlo più omogeneo, ne spargevo un po’ sul retro di ogni francobollo ed infine attaccavo il tutto su un quadernone delle dimensioni di un registro. Inutile dire che con tutta quella colla il quadernone finì col pesare quanto un dizionario, e forse anche qualcosa di più.
Ma a me quella collezione, grezza, pesante e ruvida, sembrò comunque bellissima. La prendevo spesso, la sfogliavo, mi estasiavo soprattutto davanti ai volti conosciuti degli eroi del Risorgimento: Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour diventarono per me dei volti familiari e qualche volta mi ritrovai a sfiorarli con le dita, ad accarezzarli perfino.
Un giorno mi venne curiosità di leggere anche il contenuto di quella lettera, che in uno degli ultimi giorni avevo portato a casa mia e che, per una serie di strane e fortuite circostanze, a distanza di tanti anni ancora possiedo e qualche volta vado a riprendere e a rileggere con piacere. Ne riporto qui di seguito il contenuto, senza cambiare neppure una virgola.
Parte II
Regno d’Italia
Governo Italiano
Il ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi
Al Signor Barone Salvatore Drammis - Scandale

D’intesa con Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio Onorevole Marco Minghetti, risulta grato e piacevole porgere alla Signoria Vostra a nome del governo tutto e mio personale le congratulazioni vivissime e ferventissime per l’esito dei fatti d’arme dell’11 aprile 1863.
In pari data, in contrada Galloppà di Scandale, il brigante Pietro Monaco, alias Bruttacera, osò assaltare la sua residenza e le sue proprietà. La S.V. fugò la masnada assassina con sommo sprezzo del pericolo e con minime perdite.
Il fatto è indice sicuro del suo amor di Patria e della sua intatta devozione a codesto Governo e alla Maestà del Re Vittorio Emanuele II.
Si coglie la fortunata occasione per far sapere con vivissimo e ferventissimo piacere che codesto Ministero ha gìà avviato opportuna pratica allo scopo di conferire onorificenze ufficiali e compensi materiali per coloro che si distinsero nella circostanza.
Roma, addì 15 giugno 1863
                                                     Il ministro dell’Interno
                                                         Ubaldino Peruzzi

Intanto la mia collezione di francobolli cresceva, con altri ritrovamenti occasionali, anche se meno pregiati, ed io riuscii ad alimentare la mia passione per qualche mese ancora, forse per un anno. Nel frattempo avevo bisogno di farmi bello con qualcuno e ne misi a parte una ragazzina mia vicina di casa, che informò il fratello, il quale a sua volta informò gli amici, finché la cosa non divenne di dominio pubblico e tante persone incominciarono a farmi domande. Poi incominciai ad annoiarmi un pochino e la collezione finì coll’essere posta in un cantuccio e con l’essere dimenticata ed abbandonata.
La dimenticai io, ma non la dimenticarono i miei amici e compagni di scuola, i quali spesso mi avevano chiesto della collezione e che, anzi, finirono con il ricordarsene, a mio danno, in una circostanza particolare.
Scandale era allora tutto sommato un piccolo paese, con circa duemila abitanti, ma questo non impediva agli scarsi abitanti di alimentare un fiero campanilismo rionale, che era avvertito soprattutto tra i ragazzi. I rioni principali del paese erano tre, il Chiano, la Piazza, la Colla, ed in tutti e tre si erano formate piccole bande di ragazzi, che avvertivano fieramente il senso dell’appartenenza e che erano disposti a qualunque cosa pur di difendere il loro territorio. Queste bande nascevano e si sviluppavano quasi naturalmente, conoscevano un periodo di effervescenza nel periodo dei fuochi (“luminari” li chiamavamo) di San Giuseppe, quando giorno e notte erano impegnate nel difendere o nel cercare di rubare agli altri la legna da ardere, poi languivano lentamente fino a scomparire, per riemergere improvvisamente nei momenti più impensati.
Ogni banda aveva un capo, che non veniva eletto per votazione, ma veniva scelto automaticamente per il coraggio dimostrato, per la stazza fisica e per qualche impresa precedente. Il capo della banda del Chiano era per tradizione Salvatore Drammis, il fratello minore di Guglielmo, coraggioso fino all’incredibile e disposto a difendere il suo territorio a qualunque costo. Nella banda della Piazza primeggiava Giovanni Cizza, ben piazzato fisicamente e disposto a menar le mani in ogni circostanza. Nella banda della Colla, la mia, il ruolo di capo era appannaggio, a seconda dei periodi, ora di Mario Cirillo, ora di Franco Scalise. Ne facevano parte anche Francesco Garieri, Vittorio Simbari, Francesco Esposito, posizionato quasi sempre nelle retrovie ed ai rifornimenti, e tanti altri di cui a tanta distanza di tempo ricordo bene i volti, ma ricordo con difficoltà i nomi. C’ero pure io, il più piccolo di tutti, sia fisicamente sia per età, che davo alla meglio il mio contributo, ma ogni tanto avevo necessità di ricorrere all’aiuto degli altri, che dovevano pensare a difendere me, invece di pensare a se stessi o di pensare ad attaccare i “nemici”.
Inutile dire che, in queste condizioni, diventava difficile anche attraversare il paese e capitava spesso che, per non attraversare il territorio controllato dalle altre bande, si fosse costretti a cambiare percorso.
Un giorno, a causa di un temporale improvviso e violento, uscii da scuola un po’ più tardi del solito. Frequentavo la quinta elementare e l’aula era ubicata nella zona Pietà, al confine quasi tra il rione Colla ed il rione Piazza, per cui, per ritornare a casa, ero costretto ad attraversare un tratto di competenza della banda del rione Piazza. Ero contento quel giorno per un bel voto riportato in un compito di grammatica, ma per altri versi mi sentivo un po’ in ansia, perché nel tratto di confine temevo di fare qualche brutto incontro. Era finito di piovere ormai e, una volta messa la testa fuori dall’aula, avevo per prima cosa dato uno sguardo a destra ed a sinistra: sembrava non ci fossero presenze sospette e la strada appariva sgombra.
Mi affrettai il più possibile, quasi mi misi a correre, con la cartella dei libri che oscillava  violentemente da una parte all’altra, quando improvvisamente, sbucando da una viuzza laterale, mi si pararono davanti Giovanni Cizza ed un suo sodale, che io non conoscevo molto bene, ma che sapevo chiamarsi Giuseppe Lucà.
-Dove vai così di fretta?, mi chiese Giovanni
-Dove vuoi che vada? Vado a casa, risposi.
-Ma se arrivi con un po’ di ritardo, non è la fine del mondo. Fermati un pochino!
- Ma come fermarmi? A casa mi aspettano. Lasciatemi perdere.
-Ah, ma il ragazzino dimostra di non capire, intervenne il Lucà.
-Vedi, riprese Giovanni, il mio amico Giuseppe è sempre un po’ nervoso e perde facilmente la pazienza. Non so se ti conviene non dargli ascolto. Io ti consiglio di fermarti un pochino.
-Ma insomma che volete?, dissi quasi gridando, nella speranza di attirare l’attenzione di qualche passante, anche se inutilmente, perché a quell’ora e con quel freddo la strada era completamente deserta.
-Beh, veramente è il mio amico che da te vuole soltanto una cosa, una cosa da nulla. Insomma, vuole la tua collezione di francobolli e gliela devi dare anche presto, anzi subito. Vai a casa, la prendi e la porti qua.
-Ma siete impazziti? La collezione è mia e ci ho lavorato per mesi!
-Vedi?, riprese Giuseppe Lucà, il ragazzino continua a non capire. Te lo avevo detto io che è duro di comprendonio.
E, dopo queste ultime parole, i due mi afferrarono per le braccia e mi trascinarono nella traversa da cui erano sbucati. Il Lucà tirò fuori un forbicione.
-La vedi ‘sta forbice?, disse. Se non vai subito a prendere la collezione, a questa forbice resterà attaccato qualcosa di tuo.
E, nel dire questo, mi tagliò con violenza due bottoni della giacca.
-Incominciamo con i bottoni, disse, poi passiamo a qualche altra cosa.
Ero terrorizzato, tanto più che il Lucà continuava ad inveire, con la complicità di Giovanni , che ogni tanto si ricordava di darmi una strattonata.
-Anzi, riprese il Lucà, invece di tagliargli tutti i bottoni, potremmo levargli tutto quello che ha addosso e mandarlo a casa nudo. Così con questo freddo si prende pure una bella bronchite. Ma, per convincerlo, possiamo anche non arrivare a tanto ed essere buoni. Lui ci lascia la cartella dei libri, va a casa, prende la collezione, ce la porta, noi gli restituiamo la cartella e non è successo niente. Amici come prima, anzi più di prima, sempre ammesso che lui non parla e la cosa resta tra di noi.
Ero solo contro due che mi sovrastavano in ogni senso e capii che non avevo scampo. Dovevo uscire da quella situazione.
-E va bene, dissi. Vi lascio la cartella e vado a prendervi la collezione.
Arrivato a casa, vidi che i miei erano già a tavola. Mia madre arrivò a sgridarmi per il ritardo, pensando che mi fossi fermato, come altre volte, a giocare per strada. Non diedi ascolto a nessuno, corsi a tirar fuori la collezione e, senza neppure troppi rimpianti, feci la strada a ritroso e la consegnai a quei due, ricevendo in cambio la cartella che avevo lasciato come pegno. Avevo l’impressione che della collezione non mi importasse poi più di tanto e, nel momento di consegnarla, avvertii quasi un senso di liberazione.
Oggi, a distanza di tanti anni, non so che fine abbia fatto la collezione, anzi non so nemmeno se esiste ancora quella collezione. Ovviamente non c’è più quell’obbligo del silenzio al quale mi ero impegnato al momento dello scambio ed il fatto di aver raccontato quelle lontane vicende mi provoca non un senso di liberazione, come allora, ma un sentimento di amarezza e talvolta un sorriso. Mi è già capitato altre volte e continua a capitarmi qualche volta di riandare col pensiero a quelle vicende e a quella collezione e non nascondo che, fatta salva l’ingenuità e l’inesperienza della mia fanciullezza, penso che mi sarebbe ancora piaciuto tenerla ancora tra le mani, sfogliarla ed accarezzare i volti dei personaggi, degli eroi raffigurati sui francobolli. Come allora, come sessanta anni fa.  
Ezio Scaramuzzino

N.B. Il racconto pubblicato in data odierna contiene sia la parte I, sia la parte II. Ho preferito tale soluzione per rendere più comprensibile il racconto a coloro che non avessero letto la parte I.  


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