Vi sono attività
lavorative, nello svolgimento delle quali la professionalità non può essere
simulata, né basta dichiararla a parole perché ne sia riconosciuto il possesso,
ma va posseduta effettivamente. L’insegnamento è una di queste. E certamente è
difficile capire come possa insegnare chi ha proprio tanto da imparare. Ciascun
docente non insegna che quel che sa.
Ma è anche vero che
si può conoscere una disciplina ed essere incapaci, sia di farla conoscere ai
propri allievi, sia di misurare con esattezza fino a quale livello essa sia
concretamente dagli stessi posseduta. Non ci sono discipline facili e
discipline difficili; ci sono docenti capaci e docenti incapaci di rendere
facile la propria disciplina. E, d’altra parte, quello che il ragazzo capisce
bene, lo dimentica piuttosto difficilmente. Scorda subito ciò che invece non ha
compreso del tutto chiaramente.
Aggiornamento non è
leggere il libro di testo tutti i giorni prima della lezione. Occorre tenere
sempre presente che il libro di testo rappresenta, nella generalità dei casi,
la condensazione, ovvero l’essenzializzazione del sapere disciplinare e, come
tale, è un sussidio dello studente con il cui contenuto questi confronterà,
giorno dopo giorno, gli appunti delle varie lezioni. Il libro di testo va
esaminato attentamente (leggendone possibilmente più capitoli), prima di
decidere sulla sua adozione o meno. Del resto, nei vari Corsi di Aggiornamento
si favorisce la conoscenza di ciò che occorre imparare attraverso la lettura
meditata e attenta di libri e/o articoli di valide riviste scolastiche.
Non cessare mai di
leggere i classici, perché non basta, forse, una vita per poterli leggere
tutti. Non limitarsi a leggere di un classico solo quello che “passa”
l’antologia scolastica. E leggere il classico in una buona edizione,
possibilmente in quella che mette a disposizione il relativo testo critico. Fare
ciò sia col classico italiano che con quello latino. Tante opere latine sono,
oltretutto, di così breve respiro che la loro lettura non richiede molto tempo.
La prima formazione
è più importante che mai, non solo perché, nel caso migliore, fornisce i
fondamenti epistemologici delle discipline e l'impostazione metodologica di uno
studio che va proseguito nel tempo, ma anche in considerazione del fatto che,
da giovane, si dispone di più tempo e di maggiori energie e si è normalmente più
motivati. Si dovrebbe sentire come un
dovere quello di seguire le più importanti novità librarie che riguardano le proprie
discipline. A che serve riempirsi la casa solo dei cosiddetti “saggi” di libri
scolastici? Di tante novità si viene a conoscenza tramite la buona Rivista
scolastica, talvolta attraverso il quotidiano o il settimanale di diffusione
nazionale, o la visita in una ben fornita libreria.
Data la vastità
quasi infinita dei documenti storico-letterari e degli studi che li riguardano,
è quasi impossibile che il sapere di un docente coincida con quello dei suoi
colleghi. Per questo è opportuno individuare quelli che possono ritenersi i
contenuti fondamentali delle proprie discipline, per il quale scopo si può
essere aiutati dai colleghi che vantano il merito, oltre che della lunga
esperienza, della grande passione scolastica e del sempre vivo interesse
culturale.
Fare sempre il proprio
dovere fino in fondo, anche se non mancano le ragioni per non farlo: lo
stipendio inadeguato all’impegno e alla bravura professionale; l’appiattimento
assoluto da ogni punto di vista; la mancanza di una prospettiva di carriera e
di ogni forma di gratificazione diversa da quella che deriva dal successo del
proprio lavoro. Il proprio dovere va fatto per i ragazzi e per le loro
famiglie, non per il dirigente (che, in tanti casi, non si accorge di nulla, o
è interessato solo a ciò che gli ruota intorno).
La predilezione
degli insegnanti per la produzione di manifestazioni teatrali somiglia tanto
alla predilezione provata dagli stessi per l'attività politica. Sia l'una che
l'altra permettono quel riconoscimento pubblico delle proprie capacità, che
manca all'ormai misero e piatto lavoro dell'insegnante di oggi.
Non porsi mai in
atteggiamento di adulazione nei confronti del dirigente, chiunque esso sia. Se ci
si accorge che appartiene a quella specie di vanitosi, oggi in così grande
proliferazione, si fa bene ad ignorarlo completamente. Ad adularlo siano i
“leccapiedi nati”, che non mancano mai in nessun settore e che, da che è mondo
è mondo, ci sono sempre stati. Non si trovano parole per esprimere quale sdegno
sia provocato dal riconoscimento automaticamente attribuito alle persone
insignite di titoli, indipendentemente dal fatto che le stesse manchino di
valore e di merito. A coloro che possiedono l'uno e l'altro, ma sono privi di
un titolo di qualche rilievo, null'altro che l'isolamento o, nei casi migliori,
quella che ci piace definire la "stima obbligatoria".
Occorre essere
consapevoli che il disconoscimento sistematico dei valori professionali sul
luogo di lavoro è sì un fenomeno tipico di tutto il settore pubblico, ma lo è
in modo particolare della scuola. Esso, come sanno ormai tutti, rappresenta,
oltre che un’enorme perdita dal punto di vista dell’efficienza, un palese
affronto alla dignità della persona umana. Contro tale ingiustizia, non degna
certo di un paese civile, non esistono purtroppo oppositori né tra i
sindacalisti, né tra i partiti politici di destra o di sinistra.
Guai a giudicare con
pressappochismo la propria opera di educatore. Si deve pur credere che,
qualunque sia la disciplina che s’insegna, il proprio quotidiano esempio di
rettitudine e il continuo dialogo con i ragazzi possano incidere sul loro
effettivo miglioramento. E non si deve pensare che il lavoro del docente abbia
a che fare solo con la sfera intellettiva. Anzi nell'educazione la relazione
viene prima della didattica. Mai dimenticare che ogni ragazzo ha diritto ad
essere rispettato, prima ancora che come studente, come persona; e, come tale,
lo si deve considerare per ogni dimensione, oltre che per quella intellettiva. Bisogna
rispettare sempre l'intimità del ragazzo e non essere con lui volgare né col
comportamento, né col linguaggio e né con i ragionamenti. È rispettandolo che
si riesce a meritare il suo rispetto. Spesso il ragazzo è costretto a
"stare al cattivo gioco", perché posto nel ruolo più debole di
studente.
Lasciare i problemi
e i crucci personali dietro la porta dell'aula e mostrare una disponibilità continua
e un umore non mutevole. Gli isterismi, le intemperanze, gli abusi di potere
sono quanto di più odioso si possa perpetrare ai danni di un ragazzo. Quando
una strigliata ci vuole, va fatta, ma senza mai eccedere. Bisogna, tuttavia, cercare
di riconquistare subito il buon rapporto di prima. Niente "musoni"
con i ragazzi.
Occorre sforzarsi di
risultare più equo e più corretto che mai nell'esprimere le valutazioni intorno
alle prove dei ragazzi, specie quando con le stesse - come solitamente accade -
si stabiliscono differenziazioni e gerarchie tra loro. Gli studenti, anche i
più "modesti", sanno essere giudici severi della capacità di
valutazione dei propri docenti. Se si è giudicati ingiusti, parziali o
pregiudizievoli, non basta la bella lezione per riuscire a riconquistare la
loro stima e la loro fiducia. Ma equi e giusti bisogna esserlo con loro non
solo nelle valutazioni, ma anche nel coinvolgimento nelle attività scolastiche
e nell'attribuzione delle responsabilità.
Mai imitare il
docente che, non sapendo farsi obbedire con la stima, si fa obbedire con il
terrore. Ma essere amichevoli con i ragazzi non significa trasformarsi in un
loro pari, perché essi si aspettano che il docente svolga la funzione del
docente.
Dare, infine, grande
valore al comportamento del ragazzo, quanto al suo profitto. Il che, nel
concreto, deve tradursi nell'apprezzare che il suo comportamento sia improntato
a civismo, correttezza, senso di amicizia, di lealtà e di solidarietà.
Franco Federico
Conosco bene il mondo della scuola, non fosse per altro che per avervi lavorato cinquanta anni. Ricordo che decisi di fare il professore, su sollecitazione dei miei, perché da studente “andavo bene” a scuola, in particolare in Latino e Greco ed allora era scontato che chi conosceva bene il Latino ed il Greco non poteva che fare il Professore. Ho deciso di andare in pensione quando, durante un “colloquio con le famiglie”, riconobbi un mio lontano ex alunno che accompagnava un mio attuale alunno e, come spesso mi capitava, gli chiesi se il giovane era suo figlio. Mi rispose: -No, professore, è mio nipote, figlio di mio figlio.
RispondiEliminaIn mezzo, quanti ricordi! Ogni tanto mi vien voglia di scriverne con ben altro respiro, poi me ne passa la voglia. Non so perché! Una sola domanda mi pongo spesso da qualche tempo: - Ma esiste ancora la scuola? Quella dove si andava ad imparare?
Comunque, a parte ogni altra considerazione, sono pienamente d’accordo con quanto scrive l’amico e collega Franco Federico.
Si capisce che tu sei stato un professore molto bravo, un professore attento che sa dare agli alunni una buona preparazione. Infatti spesso succede che professori bravi non sappiano insegnare, forse è un dono che non tutti possiedono? non so perchè non ho potuto fare l'insegnante, a differenza della parte femminile e, parzialmente maschile, dei miei familiari: vicissitudini un po' dolorose me lo hanno impedito. Ma sono figlia di insegnante e madre di una professoressa che insegna proprio italiano e latino in un Liceo classico di Roma.
RispondiEliminaLe mie origine materne però sono calabresi, mia madre nacque a Locri da
famiglia originaria di Grotteria: leggerti è per me come leggere lo scritto di un parente!
Complimenti vivissimi