A proposito del negazionismo sulle foibe, piuttosto diffuso nella Sinistra italiana, Mattia Feltri oggi sulla Stampa scrive che la verità è un'altra. Ed è che in Istria non ci furono buoni e cattivi rigidamente distinti, ma ci furono prima dei Fascisti che uccisero chi non parlava Italiano e poi ci furono dei Comunisti che uccisero chi lo parlava. Pari e patta, si direbbe. E invece no. Perché Feltri, il figlio degenere di Vittorio, nella sua smania di equidistanza cui spesso indulge, dice solo una mezza verità e la parte che manca è la più importante. Anche a voler prendere per buona la sua grossolana semplificazione, egli dimentica di dire che i Fascisti uccisero in tempo di guerra, mentre i Comunisti uccisero a guerra finita. Vi pare poco?
Tre condizioni sono necessarie per la felicità: essere imbecilli, essere egoisti e godere di buona salute. Ma, se manca la prima, tutto il resto è inutile. (Gustave Flaubert)
mercoledì 5 febbraio 2020
lunedì 20 gennaio 2020
Omaggio a Fellini
Ricorre
quest’anno il centenario della nascita di Federico Fellini e, in qualunque
palinsesto televisivo, non mancano
le celebrazioni nei confronti di
un regista che è doveroso considerare
come uno dei più grandi della storia del cinema.
Mi
unisco anche io, per quanto posso, a queste celebrazioni, ricordando un film, che è però tra i meno conosciuti del
regista. Mi riferisco a Prova d’orchestra,
un film del 1978, che è l’unico nel quale Fellini espone chiaramente le sue
idee politiche.
La
trama è presto raccontata. Un’orchestra ipersindacalizzata, nel corso di alcune
prove, tra contestazioni nei confronti del direttore e rivendicazioni dei
propri diritti, finisce nella più completa anarchia. Il tutto mentre cupi brontolii e scricchiolii preannunziano, come i lugubri rintocchi del destino, una catastrofe che sta per
travolgere tutto e tutti. Quando la rovina sarà completa, si potrà risorgere
solo ad una condizione: i ribelli si acquietano ed il direttore, in precedenza
impotente nei confronti della contestazione, impone la sua autorità, come su un
Titanic dove il naufragio è scongiurato. Nell’ultima scena del film le parole
del direttore, che tra l’altro è Tedesco, diventano sempre più gridate e
gutturali, come quelle di un altro Tedesco fin troppo conosciuto, con il quale egli sembra quasi confondersi. Viene in mente Platone. Così la democrazia muore: per
abuso di se stessa. E, prima che nel sangue, nel ridicolo. (La
Repubblica, cap.VIII).
Il
film risente del tempo in cui fu girato, il 1978, quando, tra terrorismo delle
Brigate Rosse e pansindacalismo, l’Italia fu scossa fin quasi a disperare del
proprio futuro e Fellini, già allora famosissimo, non esitò a girare quel film
controcorrente, che gli costò molte critiche nella compagnia di giro che
contava.
Ma
onore a lui. Qualche anno prima intellettuali un tanto al chilo firmavano
appelli contro il commissario Calabresi, additandolo al mirino dei terroristi
di Lotta Continua e condannandolo a morte; nello stesso anno 1978 Aldo Moro veniva
barbaramente trucidato dalle Brigate Rosse; nello stesso anno Fellini non esitò
a schierarsi implicitamente dall’altra parte.
Non
fu un eroe per questo, fu soltanto coerente con se stesso e con le sue idee.
Fellini, come Ennio Flaiano che fu il suo sodale più intimo, era un grande
scettico e guardava alla vita con disincanto. E, come tutti i grandi scettici,
non poteva che essere vagamente conservatore e sempre disposto a prendersi
gioco di tutti gli –ismi che affliggevano il suo tempo.
Da
allora le cose non è che siano migliorate, anzi si può tranquillamente dire che
sono di molto peggiorate. E allora rivolgiamo pure un omaggio a Fellini,
celebriamolo pure e ricordiamolo con rimpianto. Ma ricordiamolo, non con i suoi
film più famosi, che, universalmente noti, non necessitano di alcuna
commemorazione di circostanza, ma con questo suo film, considerato minore, ma
non per questo meno valido, anche perché ci fa conoscere un aspetto forse poco
conosciuto del grande maestro.
Ezio Scaramuzzino
Nel
link che segue, il finale del film.
venerdì 13 dicembre 2019
La vita è bella...
1-Ore
8.00. Mi sveglio con un cerchio alla testa.
2-Ore
8.10. Cerco un farmaco e mi accorgo che non ho niente in casa.
3-Ore
8.40. Vado dal medico di famiglia per la ricetta. C’è gente e debbo fare la
fila.
4-Ore
9.40. Dopo circa un’ora esco con la ricetta e mi avvio verso la farmacia.
5-Ore
9.45. Entro in farmacia. Ci sono alcune persone prima di me.
6-Ore
10.00. Arriva il mio turno e consegno la ricetta. Mi chiedono se voglio
l’originale o il farmaco equivalente.
7-Ore
10.02. Chiedo quali farmaci equivalenti ci sono ed opto per una ditta (sic!)
che reputo rassicurante.
8-Ore
10.05. Il farmacista mi chiede il tesserino fiscale e la carta punti-fedeltà
(alcune farmacie ce l’hanno).
9-Ore 10.10. Il farmacista rientra dal retrobottega e mi comunica che il farmaco
equivalente da me scelto è esaurito. Scelgo un altro farmaco equivalente.
10-
Ore 10.15. Il farmacista riappare col farmaco richiesto. Armeggia per un po’ al
PC, poi mi indica la somma da pagare. Pago con la carta di credito.
11-Ore
10.18. Il farmacista prende la mia carta di credito e la infila nella
macchinetta. Attesa. Dopo qualche ronzio appare fuori una ricevuta. C’è
scritto: Transazione rifiutata.
12-
Ore 10.21. Il farmacista si scusa per l’accaduto e lamenta il fatto che da un paio
di giorni la connessione Internet non funziona granché. Mi chiede se voglio ritentare
con la carta di credito o preferisco pagare in contanti.
13-Ore
10.25. Mi accorgo che non ho contanti e
chiedo di ripetere l’operazione. La carta di credito viene reinfilata
nella macchinetta. Attesa. C’è un po’ di tensione.
14-Ore
10.29. La macchinetta sembra gorgogliare un po’. Poi emette la ricevuta. C’è
scritto: Transazione eseguita.
15-Ore
10.31. Il farmacista mi consegna lo scontrino fiscale, la copia della ricevuta
del pagamento con carta di credito ed una bustina con il farmaco. Mi
restituisce inoltre, a parte, la carta di credito, il tesserino fiscale e la
carta punti fedeltà.
16-
Ore 10.34. Dopo aver controllato tutto il materiale ricevuto, rimetto a posto ogni
cosa ed esco dalla farmacia. Faccio un po’ di calcoli e vedo che, dal momento in
cui sono entrato, sono passati 49 minuti.
17-Ore
12.00. Sono a casa. Prendo l’antidolorifico
e mi siedo al PC. Debbo ricaricare la Carta di credito e, già che ci
sono, ne approfitto per controllare se la spesa in farmacia è già stata
registrata sul mio conto.
18-Ore
12.10. Accendo il PC e vado subito sul sito della banca. Userid e password,
Accedi, poi un’altra volta Accedi nella sezione SmartWeb. Alt. Appare una
notifica in evidenza: Da oggi novità nelle modalità di accesso, per un’esigenza
di uniformità alle disposizioni della Comunità Europea.
19-Ore
12.15. Cerco di capire la nuova procedura e, quando credo di aver capito,
ripeto l’operazione.
20-Ore
12.30. Ho già provato tre volte ad accedere con la nuova procedura, ma non ci
sono riuscito. Sono già abbastanza nervoso, ma evito di dare in escandescenze,
nel mio stesso interesse.
21-Ore
12.35. Mi chiedo chi può essere quel demente che ha elaborato un tale sistema
di accesso, che, più che l’accesso ad un sito bancario, sembra una corsa ad
ostacoli o una caccia al tesoro. Poi cerco di ritornare calmo e ripeto
l’operazione per l’ennesima volta.
22-Ore
12.40. Vado alla Home Page della banca.
23-Ore
12.41. Accedi. Accedi Smart Web. Userid e Password.
24-Ore
12.42. Appare la scritta "Abbiamo inviato una notifica sul tuo cellulare
associato tramite Smart Mobile Banking. Visualizzala e autorizza per procedere.
Scade tra 30 secondi".
25-Ore
12.43. Cerco disperatamente di trovare questa notifica sul cellulare, ma non la
trovo.
26-Ore
12.45. Non ti è arrivata la notifica? Apri Smart Mobile Banking sul tuo
cellulare e genera OTP Login.
27-Ore
12.46. Passo sul cellulare e apro il programma Smart Mobile. Cerco
l’indicazione “Genera OTP” e la trovo in alto a destra. Clicco. Appare “OTP
login”. Clicco. Mi si chiede di inserire il PIN. Inserisco il PIN.
28-Ore
12.48. In sequenza il cellulare inizia a generare un codice OTP numerico, uno ogni
30 secondi, sempre diverso dal precedente.
29-Ore 12.49. Prendo il codice OTP generato e lo trascrivo sul PC, cercando di farlo velocemente, comunque entro i 30 secondi di scadenza.
Confermo il codice.
30-Ore 12.51.
E' fatta. Entro nel sito della banca, regolarmente. Sbrigo le mie operazioni.
31-Ore 12.55.
Mi chiama mia moglie. E’ pronto da mangiare.
32-Ore
13.00. Mi siedo davanti ad un fumante piatto di Carbonara.
33-Ore
13.02. “Che hai?, mi chiede mia moglie, mangi ed insieme sorridi e muovi la
testa come se parlassi da solo.
-Niente, faccio io. Stavo pensando che la vita è bella. Figurati che oggi, in mezza
giornata, sono riuscito soltanto a procurarmi un antidolorifico per il mal di
testa. Ma poteva pure andare peggio. E poi, davanti ad una Carbonara, passa
tutto. Passa il mal di testa e passano pure le seccature della vita.
Oh….Certo…Il nostro è il migliore dei mondi possibili…
Ezio Scaramuzzino
martedì 8 ottobre 2019
Dialogo di un venditore di quotidiani e di un passeggero
Nel 1832 Leopardi compone il famoso Dialogo di un venditore di almanacchi e di
un passeggere. In esso il poeta mette a discutere un passeggero, lui
stesso, voce fuori dal coro, e un venditore di almanacchi, di calendari si
direbbe oggi, come voce di una persona che, oltre a vivere la sua sofferta
condizione di uomo semplice e senza complicazioni esistenziali, rappresenta la
voce del senso comune e del pensiero dominante.
Mi piace pensare che, se fosse vissuto
oggi, Leopardi, il suo dialogo l’avrebbe scritto così.
Venditore- Corriere della sera, Repubblica, Stampa, Fatto
Quotidiano, Messaggero…! Le servono giornali, signore?
Passeggero-
Come mai vende i quotidiani per strada? Non ci sono più le edicole?
Venditore-
C’erano signore, ma oggi sono quasi tutte chiuse. Sono ritornati gli strilloni
di una volta: oggi li compriamo prima noi i giornali, a nostro rischio, e
guadagniamo solo se riusciamo a vendere. Perciò mi compra un giornale?
Passeggero- Ah,
bene! Se è per aiutarti, dammi pure un giornale. Hai La Verità?
Venditore-
Mi spiace, signore, ma quello non ce l’ho.
Passeggero-
Hai il Giornale?
Venditore-
Sono mortificato, signore, ma non ho neppure quello.
Passeggero-
Hai allora Il Tempo o Libero?
Venditore-
Ma lei mi chiede tutti i giornali che non vendo.
Passeggero- E
perché non li vendi?
Venditore-
Non so di preciso, signore, ma chi mi rifornisce mi dice che quelli non sono
veri giornali. Sono solo fogli di propaganda al servizio dei padroni e, siccome
quello è una brava persona, gli credo.
Passeggero-
Ma anche questi che tu vendi hanno dei padroni. Anzi ce n’è uno che, pur
pagando le tasse in Svizzera perché è cittadino svizzero, vende, guadagna e incassa in Italia.
Venditore-
Non so che dirle, signore. Evidentemente non tutti i padroni sono uguali. Ci
sono quelli che fanno soldi per se stessi e quelli che fanno soldi per
distribuirli agli altri e soprattutto a chi ne ha bisogno.
Passeggero-
Ah, certo, sarà così… Adesso lo prendo il giornale… Intanto che ne pensi del
nuovo governo? Della nuova ondata di migranti?
Venditore-
Che vuole che le dica, signore? Io do solo una sbirciatina ai giornali che
vendo e guardo la televisione la sera,
soprattutto la RAI e La7.
Per
i migranti non sono preoccupato. Alla TV quasi tutti dicono che di migranti più
ne vengono meglio è e anzi tra qualche anno saranno loro a pagarci le pensioni.
Passeggero- E
tu ci credi?
Venditore-
Certo che ci credo. E poi lo dice pure il Papa. Se non crediamo al Papa, a chi
dobbiamo credere? L’unico problema è se farli venire solo dall’Africa, oppure
anche dall’Asia e da tutto il resto del mondo. Ma il Papa dice che dobbiamo
accogliere tutti ed io sto con il Papa.
Passeggero- E
fai bene. Così ti guadagni pure un posto in Paradiso… E quanto al governo che
idea ti sei fatto? O almeno che cosa dicono i giornali che tu sbirci o le TV
che guardi la sera?
Venditore-
Anche lì nessun problema. E del resto viviamo o non viviamo nel migliore dei
mondi possibili? Il governo ha già abolito per legge la povertà,
prossimamente con l’eutanasia abolirà la
paura della morte, poi abolirà il caldo con la lotta alle variazioni climatiche
e penso che saremo tutti felici di questi incredibili progressi.
Passeggero-
Ti risulta che stia facendo qualcosa anche per la caduta dei capelli e per le
emorroidi? Non per altro … ma solo perché ho qualche problema in merito.
Venditore-
Bisogna dare tempo al tempo. Mica si può fare tutto in una volta…
Passeggero- Ed
è vero anche questo… E della prossima manovra finanziaria che idea ti sei
fatto?
Venditore-
Non ci ho capito molto, a dire il vero, perché ogni giorno dicono cose nuove.
Ma sono fiducioso… Nutro fiducia… Molta fiducia…
Passeggero-
Ma ci saranno nuove tasse, imposte, aumenti dell’IVA … E non se ne può più…
Venditore- Pare
che le tasse non saranno aumentate, ma solo rimodulate, come dicono.
Passeggero- E
tu pensi che ci sia qualche differenza?
Venditore-
Non lo so se ce ne sono di differenze, ma lo spero. A parte il fatto che chi ha
qualche soldo in più è giusto che paghi qualche tassa in più. Io non dico che
le tasse sono bellissime, come sosteneva un ministro (pace all’anima sua,
perché so che non è più tra noi) qualche anno fa. Ma le tasse servono.
Altrimenti chi ci pensa alle scuole, agli stipendi, alle pensioni, alle strade
e a tutto il resto?
Passeggero-
Pure alle strade?
Venditore-
Certo, pure alle strade, a costruirle, a ripararle…
Passeggero-
Ma se di fronte casa mia c’è una buca di mezzo metro da due anni e nessuno ci
pensa…
Venditore- E
che vuol dire? Bisogna dare tempo al tempo. E poi non tutti i cittadini sono
uguali. Ci sono i buoni e i cattivi. Magari lei è un cittadino
cattivello…Magari è un elettore di destra, della Meloni, o, peggio, di Salvini
e non è la fine del mondo se aspetta un po’ per la riparazione della buca…
Magari poi, sin da piccolo, è stato educato pure male…
Passeggero-
In che senso?, scusa. Che c’entra la mia educazione da piccolo?
Venditore- E
invece c’entra. Pensi un po’. Quando da piccolo riceveva dei soldi in regalo,
lei che faceva?
Passeggero-
Me li tenevo.
Venditore-
Tutti?
Passeggero-
Tutti, certo.
Venditore- E
qui sta l’errore…. Perché l’hanno abituata a non pagarci le tasse… E questa è
una pessima abitudine… Che certamente lei continua ad alimentare in quelli che
vengono dopo di lei…
Passeggero–
Riconosco le mie colpe e chiedo scusa al popolo italiano per aver contribuito
ad aumentare, seppure involontariamente, il debito pubblico del nostro Paese.
Ma mi correggerò… Oh se mi correggerò.
Venditore-
Non è mai troppo tardi per incominciare e comunque…. Meglio tardi che mai…
Passeggero-
So già cosa fare per cambiare le cose. Io in genere al mio nipotino regalo
dieci euro per le spese più varie. D’ora in poi lo chiamo e gli dico: “Ecco per
te venti euro”. Magari lui è contento per il regalo doppio, ma io lo richiamo
subito dopo e mi riprendo i soldi. Poi gli faccio questo discorsetto: “Io ti ho
dato venti euro, ma su questi venti euro quattro euro sono di IRPEF, tre di IVA
e tre di contributi previdenziali ed assistenziali. Quindi me li tengo e
restano dieci euro, che ti ridò”. Non sarà cambiato niente rispetto a prima e
non so nemmeno se lui ci avrà capito qualcosa. Ma in compenso gli avrò dato
almeno un’idea di come funziona il mondo ed avrò incominciato ad abituarlo a
pagare le tasse.
Venditore-
Perfetto. E’ così che si vive.
Passeggero-
Come vedi, basta poco per andare d’accordo nella vita. Adesso dammi pure il
giornale, quello che vuoi tu, uno qualunque. Tanto è solo per aiutarti.
Venditore-
Allora le do il Manifesto. Va bene?
In genere me ne restano alcune copie.
Passeggero-
Ma certo che va bene. Quant’è?
Venditore-
Un euro e cinquanta, signore, quanto in edicola. Grazie di tutto, signore.
Passeggero-
Ma grazie a te, caro. Ciao.
Venditore- Corriere della sera, Repubblica, Stampa, Fatto
Quotidiano, Messaggero…! Mi compra un quotidiano, signore?
Ezio Scaramuzzino
lunedì 16 settembre 2019
Parole per un amico (racconto inedito) di Ezio Scaramuzzino
Andar per funghi dalle nostre parti è
una delle pratiche più diffuse dell’Autunno. Ci vado anche io, non più con
l’assiduità di quando ero giovane ed il vigore non mi faceva avvertire più di
tanto la fatica dell’inerpicarsi lungo le montagne della Sila, ma abbastanza
spesso, a ciò indotto soprattutto dalle insistenze di Giovanni, carissimo amico
e compagno insostituibile di queste escursioni.
Preferiamo i giorni infrasettimanali,
quando presumibilmente la concorrenza degli altri cercatori è meno accanita, e
ci avviamo con qualsiasi tempo, impegnandoci sempre nello stesso tragitto: San
Giovanni in fiore, Bivio Garga, Lorica. In genere facciamo anche provvista di
acqua ad una delle tante fontane disseminate lungo la strada e non disdegniamo
di raccogliere castagne, quando ci è possibile.
Poi ci impegniamo nella ricerca dei funghi
per un paio d’ore e ci stanchiamo, inerpicandoci su versanti spesso impervi. La
raccolta non sempre è soddisfacente, ma non importa, almeno per me. Rituffarsi nella
natura, godere del silenzio religioso delle montagne e dimenticare gli affanni
della vita sono delle dolci sensazioni, alle quali indulgo volentieri, sempre
più volentieri, in questi ultimi tempi.
Quando si fa mezzogiorno, come ad un segnale
convenuto, Giovanni mi dice:
-Andiamo a mangiare da qualche parte?
-Certo, ci mancherebbe. Andiamo da Amedeo?
Nessuno di noi due, forse, è disposto ad
ammettere che la puntatina da Amedeo è il momento più felice della giornata,
quello al quale teniamo di più, al di là dei funghi, delle castagne, dell’acqua
e di tutto il resto.
Per chi non conosce bene quei luoghi e
quindi non sa chi sia, Amedeo è il gestore di una trattoria, non pretensiosa,
ma molto accogliente, lungo la strada che a Lorica porta verso gli impianti di
risalita. E poi Amedeo non è più, o non è soltanto, il gestore della trattoria,
perché nel corso degli anni è diventato un amico, un amico che è sempre
piacevole rivedere e con cui intrattenersi.
-Caro Amedeo, grido quasi, non appena lo
vedo.
-Oh, carissimi, da quanto tempo non vi siete
fatti vivi…
Per Amedeo sono sempre mesi che non ci
vediamo, anche quando è passata appena una settimana.
-Dove vi volete mettere? Vicino al
caminetto? E’ meglio, perché oggi fa freddo.
Decidiamo il posto, ci sediamo, beviamo
qualche goccio di vino, tanto per incominciare. Do uno sguardo tutt’intorno. Ci
sono sempre altre persone, che stanno già mangiando. Capita di tutto in quella
trattoria. Coppie di persone anziane, talvolta giovani, qualche famiglia al
completo, cacciatori e altri cercatori di funghi, operai, che si dilungano nel
pranzo, in attesa della sera e del ritorno a casa.
L’atmosfera è tranquilla, nell’andirivieni
di Amedeo, che in quel locale fa di tutto, solo in particolari occasioni
aiutato da un inserviente: cucina, serve i clienti, sparecchia, fa il cassiere.
L’ambiente è abbastanza riscaldato. Man mano che il tempo passa, qualcuno,
favorito anche da un bicchiere di vino in più, si alza, si aggira tra i tavoli,
abbozza qualche confidenza. Tutti tengono a precisare che si considerano amici
di Amedeo, non suoi clienti.
Nelle mie frequenti visite in quel locale,
ho visto persone che cambiano posto, che offrono dolci agli altri, che uniscono
i tavoli per favorire la conoscenza reciproca tra amici occasionali, in
un’atmosfera informale e confidenziale, che probabilmente era l'elemento distintivo delle trattorie di una volta.
Vedo che Giovanni si adegua facilmente,
incominciando a conversare con perfetti sconosciuti, che, anche loro, hanno
voglia di parlare. Io, in genere, tardo a carburare, ma godo di quell’
atmosfera e finisco con l’adeguarmi anche io.
Noto sulla nostra destra due persone, presumibilmente
marito e moglie, abbastanza riservate e che, almeno apparentemente, non hanno molta
voglia di unirsi alla conversazione generale. Lui dimostra più o meno la mia
età. E’ abbastanza elegante, con il suo vestito, la giacca, la camicia, la
cravatta, con un abbigliamento formale che sembra in contrasto con quello
casual, quando non trascurato, degli altri. Mangia con lentezza, prendendo
piccoli bocconi e dimostra di apprezzare molto il cibo portato da Amedeo. La
moglie è vestita anche lei con una certa ricercatezza, sta eretta sul busto e
sembra volersi dare un certo tono. I due parlano poco e sottovoce.
Mi giro ogni tanto verso di lui ed un paio
di volte mi accorgo che mi sta guardando con attenzione, mi sta scrutando
insomma, se non proprio esaminando.
Ad un certo punto decido di rompere il
ghiaccio e gli chiedo:
-Da dove venite?, rivolto a tutti e due, per
evitare di dovere scegliere tra il “tu” ed il “lei” rivolto ad una sola
persona.
-Siamo di Cariati, fa lui. Veniamo spesso
qui, quando abbiamo voglia e tempo di fare una corsetta in Sila, perché ci
troviamo bene da Amedeo. Sono anni che veniamo. E voi due?
-Veniamo da Crotone, fa Giovanni, almeno
lui. Io in realtà vengo da Isola Capo Rizzuto.
- Anche noi veniamo spesso da Amedeo, faccio
io, ma non è da molto che lo conosciamo. Tu come ti chiami? Scusami se ti do
del “tu”.
L’atmosfera generale, una certa cordialità,
che traspare dalle nostre parole e dai nostri gesti, gli forniscono forse una
carica in più, ai limiti dell’euforia, che lo spinge a parlare quasi senza
trattenersi.
-Mi chiamo Antonio Russo e faccio il
commercialista, o meglio lo facevo, perché ormai sono in pensione, esordisce.
Mi racconta quasi tutto della sua vita. Quando
riesco ad inserirmi nel suo discorso, approfittando di una piccola pausa, gli
dico:
-Io ho un amico di Cariati che si chiama pure
lui Russo, Cataldo Russo. Lo conosci? Per caso siete parenti?
-I Russo sono molto diffusi a Cariati e tra
me e Cataldo c’è una certa parentela, anche se piuttosto lontana. Ma tu come ti
chiami? Come vi chiamate? Non me l’hai ancora detto.
Gli presento Giovanni e poi aggiungo:
-Io mi chiamo Ezio Scaramuzzino. Sono di
Scandale, ma vivo a Crotone, da tanti anni. Ho fatto il professore ed ora sono
anche io in pensione. Siamo tutti pensionati. Gli Italiani stanno diventando un
popolo di pensionati, aggiungo con un sorriso.
Immaginare un fiume, che straripa improvvisamente
per la troppa acqua trasportata, dà l’idea di quel che avviene al mio vicino di
tavolo, sconosciuto per me fino a qualche minuto prima.
-Ezio Scaramuzzino?!?! Ezio Scaramuzzino
?!?!, ripete. Ah, dunque sei tu? Mi sembravi una faccia conosciuta. Non so se
te ne sei accorto, ma io ti stavo osservando da un po’ per cercare di capire o
di ricordare…
- Io non penso di conoscerti, anzi credo
proprio che questa è la prima volta in vita mia che ti vedo…Scusami, forse ho
dimenticato…
- Ma come? Non ti ricordi di me? Non hai
fatto il Liceo a Crotone?... Al Pitagora?... Maturità anno 1961-62…
- Sì, certo, è come dici tu. Ma io non
ricordo, dico con un certo imbarazzo. Ed il mio imbarazzo aumenta quando lui
dimostra di ricordare tutto, proprio tutto di me, mentre io di lui non ricordo nulla. Poi cerco di recuperare e di giustificarmi.
- Scusami, sono mortificato. Ma sono passati
tanti anni, più di cinquanta da allora, ed un blackout può capitare, è
nell’ordine delle possibilità umane.
- Certo, non è un problema. Ma ti ricordi?
Col professore Maviglia, il prof di Scienze, quante volte lo sfottevamo,
facendo le pernacchiette, e lui si incazzava e se la prendeva spesso con te. E
la prof di Storia dell’arte te la ricordi? Silvia Maggiolini si chiamava. Bella
ragazza, anzi bella donna, aveva una predilezione per te. Eh… Tempi felici….e
forse non ci accorgevamo della nostra felicità.
Poi continua a parlare, a raccontarmi quello
che ancora non mi ha raccontato della sua vita. Mi parla di una sua figlia, Elisabetta,
che vive negli USA e fa la cantante lirica, la soprano. Me la fa vedere su
YouTube, rapidamente, perché deve avere il link sempre pronto sul display. E’
una donna graziosa: la ammiro in un breve filmato, mentre si esibisce, non in
teatro, ma in un salone, accompagnata al pianoforte dal grande Andrea Bocelli.
-Prenditi il link. Su YouTube trovi altri
video.
Io e Giovanni lo accontentiamo. Ma Antonio è
un fiume in piena, irrefrenabile.
-Quanto mi sento felice, oggi. Chi me lo
doveva dire che dopo più di cinquanta anni avrei rivisto Ezio Scaramuzzino.
-Anche io sono contento, caro Antonio. Non
capita tutti i giorni rivedere un vecchio e caro compagno di scuola, dopo quasi
sessanta anni. Quando e se ciò accade, è perché evidentemente il caso, la
fortuna, la nostra fortuna, ha voluto darci il gusto di un’ultima felicità cui
abbiamo diritto noi che non ci siamo piegati alle tempeste della vita e siamo
ancora qui.
Poi cerco di focalizzare meglio i ricordi, a
poco a poco le tenebre incominciano a diradarsi e riesco a rivedere, seppure in
modo sfumato e vago, quel ragazzo tranquillo e un po’ troppo serio, a volte
pignolo, che sedeva al primo banco. Infine, come in un lampo, ricordo anche un
nomignolo che gli avevamo affibbiato, “cinquista”, perché lui era l’unico
studente di Cariati che prendeva il treno delle cinque, a differenza di tutti
gli altri che prendevano quello delle sei, pur di arrivare presto a scuola e
non trovare chiuso il cancello d’ingresso, come capitava ai ritardatari. Ma
evito di rinnovare lo sfottò, anche perché intanto Antonio continua a parlare,
senza mai fermarsi.
-Ma non è finita qui. Ora che ci siamo
visti, dobbiamo rivederci.
-Certo, perché no? Siamo all’inizio
dell’Autunno e ci ritroviamo prima o poi.
-Prima o poi? Ma che dici? Ci rivediamo
domenica prossima, tra sette giorni. Giovedì ti do la conferma, tu aspetta la
mia chiamata. Ti chiamo io, anzi scambiamoci i numeri di telefono, per ogni
evenienza! Cacciamo Amedeo via dalla cucina, io porto i pesci e li cucino.
Cucino io per tutti, continua Antonio, raggiante di felicità, mentre la moglie
lo ascolta in silenzio, limitandosi ad annuire ogni tanto.
-E, sia ben chiaro, portate anche le vostre
mogli, le voglio conoscere.
-Certo, Antonio, le porteremo, anche se non
possiamo garantirti la loro partecipazione, almeno io. Ma penso che non ci
saranno problemi. In ogni caso, se tu porti i pesci, noi porteremo qualche
altra cosa. Mica possiamo portare solo “panza e prisenza”, come diciamo in
Calabria.
-Fate quello che volete. L’importante è che
ci vediamo.
Continuiamo così a lungo, mangiucchiando e
bevicchiando qualcosa. Quando ci accorgiamo che si è fatto tardi, ci alziamo,
ci salutiamo con un abbraccio e ci diamo appuntamento a presto.
Sulla strada del ritorno, mentre stanno
calando le prime ombre della sera, io e Giovanni evitiamo di parlare di Antonio
e della moglie, se non per un fugace accenno.
-Pensi che lo rivedremo?, mi fa Giovanni.
-Non lo so, ma mi sembrava sincero. Ho visto
tante di queste promesse sfumare, ma non per cattiva volontà. Spesso ci si fa
prendere dall’entusiasmo, si parla, si promette, poi, a mente fredda, i
proponimenti svaniscono. Senza dimenticare che le mogli spesso giocano un ruolo
importante nella realizzazione di queste vicende. Sono loro che finiscono col
decidere il corso degli eventi, specie in ambito familiare.
Passa il giorno successivo, il Lunedì, come
passano anche gli altri giorni della settimana. Di Antonio nessuna notizia. Sabato
mi chiama Giovanni:
-Ti ha chiamato Antonio?
-Niente Giova’, non so che dirti. Sono un
po’ sorpreso, ma non si può mai essere sicuri in queste cose. Forse c’è stato
un contrattempo. Aspettiamo un po’, prima di trarre conclusioni.
Passa anche la seconda settimana. Poi passa
la terza. Passa quasi un mese da quel giorno. Ogni tanto penso ad Antonio, al
suo entusiasmo, alla sua decisione di rivederci ad ogni costo. Non so che
pensare, mi sembra tutto così strano.
Dopo circa un mese, un pomeriggio, sento
squillare il cellulare. Sul display mi appare la scritta “Antonio Russo”. E’
proprio lui, finalmente.
- Pronto. Ciao, Ezio.
- Ciao, Anto’, come va?
- Come vuoi che vada? Va abbastanza bene, ma
non benissimo. Sono a Cosenza, ma non in vacanza. Sono ricoverato in ospedale.
Ero venuto per degli accertamenti che faccio di routine ed i medici mi hanno
imposto il ricovero.
-Mi dispiace tanto, caro Antonio,…
Potrei chiedergli perché è ricoverato, di
che cosa soffre, ma non lo faccio; per uno strano pudore ed uno strano senso di
discrezione, che sempre mi prendono, quando qualcuno mi parla dei suoi problemi
di salute, e che mi inducono a non fare troppe domande; per evitare magari
risposte imbarazzate ed aspettare che sia l’altro a dirmi quello che ritiene
opportuno e nei limiti che egli ritiene opportuni. Intanto Antonio continua:
-Forse potevo non farlo, ma ti ho voluto
chiamare, perché tu non pensassi che io ho dimenticato la mia promessa. Anzi,
sai che ti dico? Che, appena esco dall’ospedale, la prima cosa che faccio è
quella di organizzare il nostro incontro a Lorica. Tieniti pronto.
-Anto’, ma quanti problemi ti crei! Sono
cose che capitano e comunque pensa a guarire, che è la cosa più importante. Poi
penseremo al resto. E intanto ti saluto con affetto, ti abbraccio forte.
Salutami anche tua moglie. Ciao, a presto. E stai tranquillo.
- Ciao, ti abbraccio anche io. Forte.
Passano i giorni, le settimane, i mesi e di
Antonio non so più nulla, né lui si fa più vivo. A distanza di quasi un anno mi
ritrovo con Giovanni a Lorica. Come sempre, andiamo da Amedeo. Saluti di rito,
calorosi come sempre, e subito Amedeo mi dice:
-Ricordi Antonio, il tuo amico e compagno di
scuola di Cariati? E’ morto, per un male incurabile. Ma, quando l’hai visto tu,
era già ammalato, e, evidentemente, era giunto alla fine. Mi dispiace per lui…
Ho perso un amico... Mi ha chiamato la moglie qualche tempo fa, per dirmi che
il marito era morto e che, almeno per il momento, è difficile per lei venire
fino a Lorica.
La notizia mi lascia di stucco. Capisco
tante cose, che ignoravo, ed avverto per lui, per la sua memoria, una dolce e
struggente pietà.
Mentre pranzo nella trattoria di Amedeo,
cerco di dimenticare quanto di doloroso è legato al ricordo del caro Antonio,
ma non ci riesco facilmente.
A distanza di un anno ancora, mi ritrovo da
Amedeo e lui, dimenticando di avermelo già detto, mi ripete la notizia. La cosa
mi fa riflettere. Penso a quanto siano labili a volte i ricordi delle persone
cui abbiamo voluto bene e che ci hanno voluto bene. Mi prende un senso di
colpa, che cerco di riscattare con il racconto della sua vicenda, un racconto
che dedico a lui e che racchiude le
parole che non gli ho dette e che gli avrei dette di persona, col cuore in
mano, se fossi stato presente e al corrente della sua dipartita.
Caro Antonio, ti ricordo in quell’ultimo
giorno che ti ho visto dal nostro Amedeo. Eri sereno quel giorno e a me apparivi
sereno, anche perché io non conoscevo le tue pene. Tu stavi vivendo
intensamente e fino allo spasimo quegli ultimi giorni che ti restavano da
vivere, come chi non ha rimpianti o non ha nulla da rimproverarsi, perché,
anche nel momento del dolore, si è grati alla vita e a quello che essa ci ha
concesso. Si dice che chi è al corrente della sua prossima fine, vive attimo per
attimo, giorno per giorno, come per gustare
gli ultimi sapori di una parabola che sta per concludersi. E tu l’hai
fatto, nell’entusiasmo che ti prese quel giorno, nella gioia che traspariva dal
tuo volto, nella voglia di continuare a vivere e di vivere fino all’ultimo
giorno.
Quel tuo giorno a Lorica, a ripensarci
adesso, a distanza di due anni, è stata una lezione di vita, per chi ha saputo
e voluto leggere, nei lineamenti del tuo volto, la tua tranquilla e fiduciosa sicurezza.
Io non so come tu hai vissuto i tuoi ultimi
giorni. Immagino, anzi ne sono sicuro, che, anche se eri disteso in un lettino
d’ospedale, ti sarai sollevato ed avrai atteso in piedi l’arrivo della vecchia signora e, quando
lei ha bussato alla tua porta, tu lei avrai soltanto detto:
-Sono pronto. Un attimo. Debbo solo prendere
il cappotto.
Poi le hai porto la mano e con lei ti sei
avviato, con passo leggero, fino a scomparire, in fondo alla strada.
Ezio Scaramuzzino
Foto1 - La trattoria Antichi Sapori Silani a Lorica
Foto2 - Amedeo, il gestore del locale
giovedì 5 settembre 2019
Il Vis-Conte raddoppiato - 1
Finalmente il nuovo governo è nato; è nato
settimino, quindi un po’ gracile, ma è nato. C’era qualche preoccupazione di
possibili aborti all’ultimo momento, ma per fortuna tutto è filato liscio,
grazie anche alla sapiente e non disinteressata regia della mammana Mattarella,
e finalmente possiamo dare sfogo al nostro entusiasmo e gridare Gloria in
excelsis Deo.
Ho appena letto la lista dei ministri. Per
qualcuno mi son dovuto documentare, ma l’impressione generale è positiva e
beneaugurante per il futuro del nostro Paese. Di seguito qualche prima
impressione.
Presidente del Consiglio – Giuseppe Conte
Uno
che, illustre sconosciuto fino ad un anno fa, riesce a sopravvivere ai marosi
della politica e salva sinecura e
posizione, è una garanzia anche per l’Italia. Sono sicuro che il famoso stellone,
che finora ci ha protetti, d’ora in poi si identificherà sempre di più con la
sua immagine. E poi il nostro è devotissimo di padre Pio. E padre Pio è o non è
il Santo dei miracoli?
Ministro degli esteri – Luigi Di Maio – M5S
Se
si pensa che fino a qualche anno fa vendeva bibite al San Paolo, bisogna
ammettere che la sua carriera è stata fulminea. Unico neo: non conosce
l’Inglese, indispensabile all’estero. Ma questa è anche la sua fortuna:
l’Inglese non ha il Congiuntivo, nel quale notoriamente il nostro è deboluccio.
Altro piccolo neo: non conosce bene la Storia e la Geografia. Ma qualunque
usciere del Ministero potrà spiegargli che Pinochet non è mai stato Presidente
del Venezuela e che la Russia non è bagnata dal Mar Mediterraneo.
Ministro degli Interni - Luciana Lamorgese,
tecnico
Ex
prefetto di Milano, al di là delle sue eventuali capacità, è stata scelta con
l’unico intento di catalizzare le
critiche che qualunque politico avrebbe attirato su di sé, nel posto che fu di
Salvini. Dal che si deduce che nella politica italiana si invera una famosa
massima calabrese: u fùjiri è brigogna, ma è sarvazion ’i vita (scappare è
vergogna, ma è l’unica salvezza di vita).
Ministro della Giustizia – Alfonso Bonafede
– M5S
E’
uno dei pochissimi riconfermati del precedente governo, dal che si deduce che
la sua azione è stata giudicata positivamente dal suo partito di riferimento.
Gli si riconosce il merito di aver abolito di fatto, dal primo Gennaio 2020, la
prescrizione dei reati, per cui chiunque dovesse incappare nelle maglie della
giustizia italiana, potrà e dovrà tranquillamente considerarsi imputato a vita.
Ci si attende da lui qualche altra buona idea, sulla falsariga di quanto
sostiene il suo profeta Piercamillo Davigo: Non esistono innocenti, ma solo
colpevoli non ancora scoperti. Ad esempio: perché non regalare a tutti i
bambini italiani, quei pochi che ancora nascono, un certificato di colpevolezza
preventiva con conseguente iscrizione al casellario giudiziario?
Ministro Infrastrutture e Trasporti – Paola
De Micheli – PD
Deve
solo riuscire a non far rimpiangere Danilo Toninelli ed in questo è fortunata,
perché non ci vuole molto. Intanto lei ha già fatto di tutto per adeguarsi al
suo predecessore. In qualità di Presidente e Amministratore delegato, è
riuscita a far fallire Agridoro, l’Unica società da lei gestita in vita sua. E’
stata anche per quasi due anni Commissario straordinario alla ricostruzione
delle aree colpite dal terremoto del Centro Italia del 2016. E
grazie alla sua opera tutta la zona terremotata è ora “più bella e più superba
che pria”, come diceva Petrolini della Roma di Nerone.
Ministro affari regionali ed autonomie –
Francesco Boccia – PD
E’
stato nominato perché notoriamente
avverso ad ogni forma di autonomia, specie delle regioni del Nord. A questa
avversione ha probabilmente contribuito anche la moglie Nunzia De Girolamo, ex
deputata di Forza Italia, poi ministro nel governo Letta, poi scissionista di
Forza Italia, poi rientrata in Forza Italia, infine candidata per Forza Italia alle
ultime politiche nel collegio “nordista” Bologna-Imola e regolarmente trombata,
attualmente soubrette televisiva.
Ministro lavoro e Politiche sociali – Nunzia
Catalfo – M5S
Siciliana,
è stata nominata in qualità di massima esperta per il suo partito del Reddito
di Cittadinanza, che, come è noto, ha procurato lavoro a milioni di Italiani.
Se il buon giorno si vede dal mattino…
Ministro pari opportunità e famiglia – Elena
Bonetti – PD
Fedelissima
di Matteo Renzi e trombata alle ultime elezioni, deve la nomina alle sue idee aperte in materia di
famiglia e di etica sessuale, talmente aperte che non è da escludere una
rivalutazione positiva delle incresciose (per il PD) vicende di Bibbiano.
Non rinfacciatemi il tono semiserio del mio
discorsetto. Meglio riderci di sopra, o almeno sorridere. Che altro si può
fare?
Mi riservo di ultimare la rassegna in un
post successivo, in attesa che alcuni illustri sconosciuti forniscano adeguata
materia di riflessione.
Coraggio!
E a presto…
Ezio Scaramuzzino
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