Sotto
qualunque cielo, in qualunque parte del pianeta Terra, siamo tutti nati dal ventre di una donna. Bianchi, neri, gialli: non c’è differenza, perché tutti siamo venuti alla luce nello stesso
modo e tutti siamo accomunati da un unico destino di sofferenza e di morte. Per questo, anche per
questo, per il fatto di essere partecipi della stessa condizione umana io
considero fratelli tutti i miei simili. Considero mio fratello o mia sorella
l’Indio che vive nella foresta dell’Amazzonia, il pescatore che vive nelle
isole Fiji, il beduino che vive nel deserto del Sahara, la prostituta che di
notte batte i marciapiedi di Buenos Aires o di Mosca.
Ma,
è inutile nasconderlo, il mio affetto nei loro confronti non si rivolge verso
tutti nello stesso modo. Verso le persone lontane e che appartengono ad un
mondo da me solo immaginato la mia simpatia umana ha un che di astratto e di
teorico.
Mi
coinvolge emotivamente molto di più la
signora che vive sola, che vedo in difficoltà con una serie di buste e pacchetti mentre si trova in ascensore e che
alla fine mi ringrazia con un sorriso, dopo che l’ho aiutata a riporre le buste
davanti alla sua porta. Sento di considerare più che un fratello il pensionato,
che so essere gravemente malato e che pure, nella scelta delle cure, deve fare
i conti con la sua magra pensione. Mi colpisce molto di più la disperazione di
un giovane che non riesce a trovare un lavoro e che so arrabattarsi in attività
di ripiego, quando non umilianti. Sento palpitare il calore della vita
soprattutto nella giovane donna impazzita d’amore e che alla fine ricorre alla
droga, quando si accorge che il suo amore era soltanto un’illusione.
Ora
i detentori del potere ci impongono di pensare che un atteggiamento del genere
non va bene e che anzi quelli che vengono da lontano sono degni della nostra
attenzione più di quelli che ci vivono accanto. Ne discende che il nostro Paese
ha deciso di farsi carico delle sofferenze dell'universo mondo e
invita tutti i disperati ed i diseredati a venire da noi. Con stupore misto a rassegnazione
assistiamo all’invasione di profughi che fuggono dalle guerre, invece di
combattere, e di clandestini che semplicemente cercano di sfuggire alla
povertà, insieme a tanti altri non chiaramente definibili e dai contorni oscuri
e minacciosi.
A
tutti costoro il nostro Paese riserva un’accoglienza disordinata, tumultuosa e
comunque molto onerosa, perché, dicono sempre i detentori del potere, questi
sono i nostri nuovi “fratelli” e non possiamo dimenticarli.
Sarà.
Sarà che questi sono i nostri nuovi “fratelli”, anche se talvolta sono
arroganti, ci disprezzano, ci minacciano e qualche volta ci massacrano. Ma per me i primi, veri fratelli
sono gli altri che ho elencato sopra e che ci vivono accanto: la signora che mi
ringrazia con un sorriso, il vecchio pensionato che deve far quadrare i conti,
il giovane disperato in cerca di un lavoro, la giovane donna impazzita d’amore.
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