Nel mio footing mattutino, che con
l’approssimarsi dell’estate sta diventando quasi antelucano, mi è capitato tempo fa di imbattermi in un signore cinese. La prima volta l’ho
osservato con curiosità, perché ho notato che portava un paio di sandali, che
comunque non gli impedivano di camminare a passo abbastanza veloce,
diversamente da noi occidentali, che non facciamo un passo senza scarpe adatte,
comode e confortevoli. Mi veniva incontro, all’altezza più o meno del Lido
degli Scogli, e mi faceva un largo sorriso, con gli angoli della bocca che gli
arrivavano quasi alle orecchie ed in primo piano un paio di denti d’oro,
vistosi e lucidissimi. Mi ha salutato in Cinese ed io mi son sentito in dovere
di salutare con un sorriso a mia volta.
L’ho rivisto dopo un paio di giorni, sempre
in direzione di marcia opposta alla mia. Si è scansato in anticipo, ha detto un
paio di parole in Cinese ed ha anche accennato un inchino. Questa volta ho
risposto con un sorriso più ampio e con un ciao, che mi è parso non abbia
capito.
Il giorno successivo l’ho rivisto davanti a
me, questa volta nella stessa direzione di marcia. L’ho raggiunto facilmente e,
nell’accostarmi a lui, ho fatto un cenno con le mani ed ho aggiunto il solito
ciao.
Lui mi fatto segno di fermarmi e poi si è
messo a parlare, in Cinese, come le altre volte, come sempre. Gli ho chiesto se
sapeva parlare Italiano, se almeno conosceva qualche parola d’Italiano, ma lui
rispondeva in Cinese, solo in Cinese. Ad un certo punto ha estratto un
pacchetto di sigarette e mi ha indicato di prenderne una, amichevolmente, come
per stabilire un rapporto. Gli ho fatto capire che non ero fumatore e lui ha
riposto le sigarette. Poi l’ho salutato ed ho ripreso il mio passo veloce.
L’ho rivisto dopo un paio di giorni ancora.
Già da lontano mi mostrava un cellulare e solo da vicino mi ha fatto capire che
voleva fare un selfie con me. L’ho accontentato ovviamente e da parte mia mi
sono limitato a fargli una foto con il mio cellulare, quella che si vede in
alto. Dopo le foto, mi ha fatto capire che voleva accompagnarsi a me per un
tratto, invertendo la sua direzione di marcia. L’ho lasciato fare, ma mi sono accorto che con i suoi sandali faticava a tenere il mio passo e rimaneva
indietro. Mi voltavo continuamente e notavo che la distanza tra me e lui aumentava
progressivamente. Dopo una curva l’ho perso di vista.
Dopo quel giorno non l’ho più rivisto
e ad oggi sono più di quindici giorni che non lo vedo e non so niente di lui:
non so come si chiama, dove abita, quanti anni ha, che cosa fa in Italia. Ogni
tanto, arrivato nella zona dove eravamo soliti incontrarci, mi guardo con
curiosità tutt’intorno, ma non lo vedo. Mi capita allora di pensare al mio
sconosciuto amico cinese. Forse è malato, forse è partito, forse è ritornato in
Cina. Non so niente di lui ed in fondo è giusto ed è bene che sia così.
Io e lui eravamo due monadi, disperse
nell’Universo, venute in contatto casualmente per chissà quale fortuito gioco
del destino ed incapaci di stabilire un rapporto comprensibile, proprio come
succede alle monadi di leibniziana memoria. L’unica cosa che poteva stabilire
un legame tra di noi era ed è quel sottile filo di simpatia, di cordialità,
di umanità, che da sempre ha legato l’Italia e la Cina. Non c’è bisogno di
scomodare Marco Polo e Matteo Ricci: i Cinesi, da qualche anno, stanno
rafforzando quegli antichi legami stabilendosi sempre più numerosi nel nostro
Paese e, solo a voler fare un esempio, nell’elenco telefonico di Milano il
cognome più diffuso è Hu.
I Cinesi sono un popolo gentile e generoso,
che nel corso dei secoli ha resistito a calamità, guerre, epidemie e tirannie oscene
e sanguinarie, come quella di Mao Tse Tung. Sono tanti i Cinesi, sono quasi un
miliardo e mezzo di formichine dedite al lavoro e sono già diventati una
potenza a livello mondiale. C’è da scommettere che diventeranno sempre più
potenti e decisivi.
Ovviamente hanno qualche difettuccio: sono
in genere un po’ chiusi e riservati, se questo è un difetto, stabiliscono
legami quasi sempre solo tra di loro ed hanno spesso un’aria misteriosa ed enigmatica,
che induce noi altri a qualche sospetto e a qualche diceria nei loro confronti.
Si dice che abbiano anche poca dimestichezza con l’igiene e con il pagamento
delle tasse. Sarà!
Ma bisogna riconoscere anche che lavorano
sodo, che anzi hanno una vera e propria religione del lavoro e che qui da noi
in genere non creano problemi di ordine pubblico. Quando commettono dei reati,
quasi sempre le vittime sono altri Cinesi, raramente degli Italiani. Non sono
venuti con l’intenzione di convertirci al loro modello di vita, non ci
minacciano, non hanno intenzione di tagliarci la gola. Nei tempi gaglioffi della
prepotenza e del terrorismo islamico, dell’invasione dei clandestini raccolti
nel Mediterraneo e sulle coste della Libia, delle prostitute nigeriane e degli
spacciatori nordafricani, dell’invasione rom, che sta svuotando i Balcani e sta
riempiendo l’Italia, la disponibilità dei Cinesi è apprezzabile ed è già tanto.
Amico mio cinese, sconosciuto Ciang, Cing, Dong,Tse,
Shek, o comunque ti chiami, dove sei?
Ezio Scaramuzzino
Hai fatto una giusta considerasione, i cinesi non sono un pericolo per gli italiani, solo per i negozianti ai quali fanno concorrenza sleale offrendo prodotti a prezzi stracciati, sono prodotti di valore molto basso ma spesso vengono comprati da chi non può permettersi altro in questi tempi di vacche magre!
RispondiEliminaIl discorso sui prodotti cinesi sarebbe lungo, ma non sempre essi sono qualitativamente scarsi. Dipende da quello che si vuole spendere. E poi non dimentichiamo che anche i prodotti di lusso quasi sempre provengono dalla Cina.
RispondiEliminaFatti da bambini sfruttati fino allo sfinimento.
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