La tabella che segue indica in percentuale
sul PIL la classifica (aggiornata a Gennaio 2016) delle nazioni con il più alto
debito pubblico in ambito UE. L’Italia ha il debito più alto subito dopo la
Grecia, già tecnicamente fallita ed attualmente sorretta unicamente dalla
carità, non disinteressata, della Germania, della BCE e del FMI. L’Italia è la
prossima destinataria della carità internazionale.
1-Grecia
196,95 2-Italia 133,11
3-Portogallo 127,80 4- Belgio
106,75
5-Cipro
106,37 6-Irlanda 100,63 7-Spagna 98,60 8-Francia 97,09
9-Austria
86,71 10-Slovenia 81,67 11-Ungheria 75,27 12-Germania 70,75.
Ricordo, ero giovane ed appena laureato, un
collega di Diritto che arrivava a scuola immancabilmente con il giornale sotto
il braccio e spesso con il volto corrucciato. Una volta gli chiesi:"Ti vedo
preoccupato. Che hai?" E lui: "E’ aumentato il debito pubblico".
Pensavo fosse un po’ tocco e mi chiedevo che gliene fregava a lui del
debito pubblico.
Non voglio annoiare con altre tabelle, ma, a
volerle consultare in qualunque sito WEB specializzato, sarebbe agevole vedere
come il nostro debito, mantenutosi stabile e relativamente basso fino agli anni
80 del 1900, da allora ha iniziato regolarmente a salire, anno dopo anno, inesorabilmente,
con tutti i governi, sia di destra, sia di sinistra. Ora la situazione è
diventata chiaramente insostenibile e la conseguenza più immediata e più grave
è il fatto che l'Italia in ambito UE è chiaramente diventata marginale
o, a voler essere generosi, un Paese a sovranità limitata, come una volta
avveniva per i Paesi del Patto di Varsavia all’epoca dell’Unione Sovietica.
E’ cronaca dei nostri giorni e basta seguire
un po’ le vicende politiche per capire che ormai l’Italia è una sorta di
zimbello, nei cui confronti a tutti è consentito di alzare la voce, infierire e
fare la predica. Per non parlare poi degli organismi UE, che, un giorno sì e
l’altro pure, ci inviano ora una nota, ora un avvertimento, ora una minaccia, ora un memorandum, invitandoci a fare tutto quello che viene deciso dalle parti di Bruxelles.
Il nostro bilancio sfora di un centesimo di
punto? Subito arriva la nota di Bruxelles. Abbiamo bisogno di finanziare la
ricostruzione del dopo terremoto? Allora dobbiamo timidamente chiedere all’UE la
possibilità di fare qualche debito fuori bilancio, o, come normalmente si dice, chiedere una maggiore flessibilità. Che poi, per chi non l’avesse capito, flessibilità significa semplicemente la licenza di fare altri debiti da
cumulare sul debito pubblico complessivo, che, come è risaputo, è semplicemente
la somma dei deficit pubblici annuali creati nel corso del tempo.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Che
cosa abbiamo fatto di male noi Italiani per ridurci in queste condizioni e
meritarci questo destino? Non ci vuole molto a capirlo e qui è sufficiente fare
solo qualche esempio, perché non basterebbe un’enciclopedia a spiegare tutto di
tutti gli anni della nostra follia. Chi ha un po’ di anni sulle spalle non può
dimenticare che negli anni 80 del secolo scorso, all’epoca dei governi Craxi, all’epoca
cioè delle prime impennate del debito, si andava in farmacia a fare la spesa
gratis. Si compravano spazzolini, dentifrici, Il Fernet Branca, tutto
rigorosamente gratis. Incominciava allora l’allegra scampagnata di tutti gli
Italiani a spese dell’Erario. Incominciava allora la lotta mortale a chi
riusciva a conquistarsi l’elettorato e questa gara la vinceva chi concedeva di
più. Erano i tempi di quando si poteva andare in pensione a 40 anni, di quando
la presenza fisica negli uffici statali era un optional, di quando un posto in
un qualunque ufficio pubblico non si negava quasi a nessuno.
Non che negli anni le cose siano cambiate di
molto, a seguire le cronache dei giorni nostri. E anche qui è sufficiente, come
per il passato, fare solo degli esempi. Ancora oggi, come per il passato, la
nostra Presidenza della Repubblica è la più costosa al mondo, dopo il Sultanato
del Brunei, più costosa della Presidenza americana, più della Monarchia inglese;
ancora oggi, come per il passato, un personaggio politico come Giuliano Amato
continua ad incassare varie pensioni, per un totale di oltre 32 mila euro
al mese; ancora oggi, come per il passato, la Regione Sicilia ha uno stuolo di
oltre 28 mila forestali (più forestali che alberi forse); ancora oggi un figuro come Mario Monti continua a percepire lo stipendio di senatore a vita, da quando, incaricato dal presidente Napolitano di formare un governo tecnico per risanare l'Italia, pretese ed ottenne lo scranno senatoriale per farsi mantenere a vita da coloro che avrebbe dovuto salvare.
La vergogna, si sa, non ha mai fine e
costituisce ormai un dato di fatto ineliminabile della nostra vita politica.
Nel nostro Paese però, questa vergogna ha un qualcosa di grottesco e di
luciferino che le conferisce a volte un tono allucinato e surreale. Solo nel nostro
Paese scalcagnato e sgangherato una torma di uomini politici, parassiti e super
privilegiati, tormenta con balzelli odiosi e vessatori gente che ormai non
riesce ad arrivare alla fine del mese. Solo nel nostro Paese, dove ormai tutte
le famiglie sono costrette a rivedere al ribasso i loro bilanci, si assiste
alla esaltata celebrazione dei nuovi matrimoni che consentono di convolare a
giuste nozze anche con il proprio frigorifero, il quale frigorifero maturerà il
diritto alla pensione di reversibilità. Solo nel nostro Paese, ormai ridotto
con le pezze al culo, si assiste all’orgia di arrivi di clandestini
dell’universo mondo, i quali arrivano da noi con la legittima speranza e la
sicura convinzione di migliorare la loro esistenza a spese nostre.
E intanto l’Italia scende sempre più in
basso, diventa sempre più insignificante e, come un uccello impigliato nelle
reti, si aggroviglia sempre di più nei lacciuoli che la soffocheranno fino alla
morte. L’Italia si sta uccidendo, da sola, e si sta uccidendo lentamente ed allegramente,
con tranquilla spensieratezza. E, cosa ancora più dolorosa, essa sta perdendo
gli ultimi barlumi di una libertà di azione, che almeno una volta le consentiva
di scegliere di che morte morire. Adesso non possiamo più nemmeno decidere,
come nella favola di Bertoldo, a quale ramo impiccarci. Qualcuno manifesta la timida intenzione di anticipare le elezioni? Arriva subito il nein
della Germania, la quale ce lo fa sapere in un modo molto semplice: incomincia
a vendere i nostri titoli di stato, fa aumentare lo spread e ci fa capire che,
certo, se vogliamo, noi Italiani mandolinari possiamo fare quel che vogliamo,
ma il giorno dopo saremo ridotti sul lastrico. Sia ben chiaro: l’Europa non ha
sempre ragione, ma nemmeno ha sempre torto, perché, per arrivare a questo, noi
ci abbiamo messo molto del nostro e ci abbiamo messo anche un bel po’ di
impegno.
Ed in queste condizioni non c’è più niente
che regga. Non c’è più Destra, né Sinistra, c’è soltanto una pletora di
pezzenti, intenti solo alla tutela dei propri interessi e ridotti ad invocare la clemenza della Merkel e di Yuncker. In
queste condizioni l’Euro e l’EU non sono più una scelta, sono soltanto una
maledizione, una gabbia, un laccio al collo che ci porterà all’asfissia e ad
una condizione di miserabili. E tutto, non dimentichiamolo, per questo
benedetto/maledetto debito pubblico.
Ezio Scaramuzzino
Ezio Scaramuzzino
P.S.
Mi sono imbattuto sul sito del Messaggero Veneto nella lettera di Michele, giovane
udinese che si è tolto la vita il 31 gennaio 2017. La pubblico in coda al mio post, come
testimonianza e simbolo di una gioventù morente in un’Italia morente. E’ una
lettera commovente e dignitosa, che vale la pena leggere nella sua interezza.
Ho vissuto (male) per
trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di
stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non
oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto
molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie
risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si
può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere
di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può
pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente
stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo che mi
doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne
parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di
punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si vive, di no si
muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non
sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si
permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è
inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni
tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al
soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno
diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e
di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio
questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona
libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un
po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è
l’unico possibile, il modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti
con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto
di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste
niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero
arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una
follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non
ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla
assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo
destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma
ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me
c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della
felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei
momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie
origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui
sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.
MICHELE 31.01.2017
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