Sono
nato ad appena 15 km dal mare in linea d’aria, in un paese sulle prime colline
del Marchesato di Crotone, ma ho visto il mare per la prima volta all’età di 6
anni, o almeno questo è quanto mi è rimasto in mente, perché non ne ho alcun
ricordo anteriore. Mia madre mi portò al mare da una mia zia, che aveva in
fitto una cabina presso uno stabilimento balneare. Ho un ricordo limitato ma
nitido di quella mia prima esperienza: mi rivedo mentre affondavo i piedini nella sabbia; poi mia madre mi spogliava e tutto nudo mi adagiava
nell’acqua; io annaspavo un po’ e infine mi ritrovavo un’altra volta tra le
braccia di mia madre che mi rivestiva.
Negli
anni successivi mi ritrovai tante altre volte al mare. Compagnie quasi fisse di
queste mie escursioni erano mia madre,
la zia che aveva in fitto la cabina ed un’altra mia zia, zia S., unica zitella
della numerosa famiglia di mio padre. Allora nelle case i servizi igienici
erano piuttosto rudimentali ed una vasca
da bagno o una doccia erano considerati un lusso da nababbo. Il bagno lo si
faceva in una tinozza oppure, più semplicemente e comodamente, si andava a
farlo al mare, dove ci si portava perfino il sapone da casa, perché le
abluzioni fossero più efficaci.
Erano
i primi anni ’50 e sulle spiagge di Crotone solo gli uomini indossavano il
costume da bagno e prendevano la tintarella. Le donne, quasi tutte, indossavano
una lunga sottoveste che le ricopriva fino alle caviglie e si abbronzavano solo
alle braccia e sul volto. Quando volevano fare il bagno, salivano su una specie
di palafitta e si calavano in una botola dove, al riparo da occhi indiscreti,
potevano entrare a contatto diretto con l’acqua del mare.
Nel
corso degli anni, man mano che crescevo e diventavo un ragazzo, ho avuto modo
di assistere, anno per anno, alla lenta evoluzione del costume. Verso la fine
degli anni 50, un giorno vidi mia madre e mia zia che indossavano, forse per la
prima volta in vita loro, un costume da bagno, intero e castigatissimo. Solo mia zia S.
continuava ostinatamente ad indossare la lunga sottoveste, refrattaria anche ai
rimbrotti di mio padre, che un giorno, ricordo, incominciò a prenderla
amabilmente in giro. Credo che zia S. in vita sua non abbia mai scoperto
qualcosa al di sopra delle caviglie e che solo in tarda età, quando dovette subire
un intervento chirurgico, sia stata costretta a spogliarsi completamente.
Quando
cominciai a frequentare il Liceo a Crotone, il mare smise di essere per me quel
punto di riferimento che in precedenza era stato. Altri interessi, altre
esigenze occupavano allora la mia mente. Riscoprii il mare quasi
improvvisamente una notte d’estate nell’anno degli esami di maturità. Mi
sentivo quella notte, per tanti motivi, in guerra con l’umanità intera ed avevo
deciso di non rientrare a casa, da donna Veneranda, quella signora presso la
quale vivevo a pensione, come ho già raccontato da qualche altra parte. Che si
preoccupassero pure, che mi venissero pure a cercare, se ci riuscivano. Ma
nessuno si preoccupò e nessuno venne a cercarmi per il semplice motivo che donna
Veneranda quella sera era andata a letto
prima del solito e non si era neppure accorta della mia assenza.
Quella
notte girovagai a lungo per le strade deserte
e buie della città, con il novilunio che quasi impediva di vedere a qualche metro
di distanza. Evitai accuratamente tutti i luoghi frequentati, anche se questo non mi evitò l'incontro con alcuni equivoci personaggi della notte. Fui accostato da due strani figuri, che mi invitarono a partecipare ad "un colpo", così lo chiamavano, non meglio precisato. Mi allontanai in fretta e finii in una zona della città a me completamente sconosciuta, dove un'attempata prostituta mi invitò inutilmente a fermarmi e ad approfittare delle sue "grazie". Mi venne da pensare che mi ritrovavo quasi nelle stesse condizioni di Andreuccio da Perugia nell'omonima novella di Boccaccio. Ed intanto si erano fatte quasi le tre di notte e mi sentivo stanco: avevo
saltato la cena, non avevo una lira in tasca e, se anche avessi voluto, non
avrei potuto comprare niente. Ero in giro già da molte ore e capii che l’unica
cosa da fare era trovare qualche anfratto, qualche giaciglio dove trascorrere
il resto della notte ed aspettare l’alba. Nel buio fitto trovai delle tavole e
qualcosa di morbido che ricordava vagamente un materasso. Mi distesi, mi sgranchii, mi addormentai.
Quando
mi svegliai, vidi con gli occhi
socchiusi, in lontananza, una piccola luce che sembrava voler rischiarare le
tenebre della notte. Avvertivo il dolce rumore di qualcosa che sembrava
scivolare sulle morbide pendenze della sabbia. Dopo qualche minuto quella
piccola luce prese a diventare sempre più nitida: era il sole che incominciava
a rischiarare il cielo. Il rumore di poco prima prese sempre più decisamente le
parvenze delle onde del mare che scorrevano sulla sabbia e si ritiravano poi in
una dolce risacca. Mi stropicciai gli occhi, mi sollevai, mi ritrovai in
ginocchio. La distesa del mare mi dava la sensazione dell’infinito e mi faceva
intuire l’essenza sacra e religiosa della vita.
Ritornai
a casa da donna Veneranda, che non mi chiese niente.
A
distanza di tanti anni, oggi, mi ritrovo ad abitare proprio di fronte al mare
con il suo spettacolo, che una volta era per me qualcosa di insolito e di
eccezionale, mentre adesso costituisce lo sfondo normale della mia vita
quotidiana. Non faccio più tanto caso al mare, non lo osservo più con
l’intensità di una volta. Ma ancora oggi, specie nelle giornate invernali,
quando il mare muggisce, è in tempesta e sembra voler travolgere il mondo, mi
ritrovo ad osservarlo, incantato, dal balcone di casa mia. In quei momenti ho
l’impressione di ritrovare in esso quella scintilla che mi incantava da bambino
e che ancora continua ad incantarmi con il fascino misterioso della sua distesa
infinita.
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