Il tempo di un respiro è un libro di memorie (Editore L'Espresso, 2012), in cui l'autrice Lucia Romani ricorda, come nel diario di un dolore, la scomparsa della sorella Grazietta. Per gentile concessione, se ne pubblica il cap.I°.
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Un anno e sedici giorni. Tanto, e così poco, il tempo che
separa la tua nascita dalla mia, così che spesso ci scambiavano per gemelle.
Una vita vissuta tenendoci per mano, come mi aveva sempre
chiesto mamma, quella stessa mano che hai potuto stringere, negli attimi della
morte, dopo avermi attesa per poter compiere, seguendo la raccomandazione di
mamma, l’ultimo grande passo. Non so se è più il dolore o la tenerezza a
struggermi, nel ricordare l’immagine delle due sorelle che, tenendosi per mano,
si salutano sul limitare della vita.
Dicono che i lutti si debbano “elaborare” per poterne
superare o comunque accettare il dolore lacerante ed io, ad oltre sette anni
dalla tua morte, mi decido ad approfondire ed indagare quello che, lo so già,
mi porterà più lacrime che consolazione.
Eravamo così diverse tu ed io! Tu con la testa fra le
nuvole, così presa da tutto quello che stava per aria, sempre rivolta al cielo,
tua aspirazione e tuo destino. Io con i piedi per terra. E proprio per questo
ci compensavamo.
Eri appena nata e già
il cielo ti pretendeva, forse perché tu non appartenevi a questa terra.
Il Creatore in genere suddivide le virtù in modo abbastanza equanime, per cui
chi non ne ha una, ne ha un’altra. Con te si era tolto la soddisfazione di
vederne un bel po’ tutte insieme: dalla bellezza folgorante, della quale sei
sempre stata inconsapevole, alla passione per l’arte e per la musica, al
carisma che incantava chiunque ti incontrasse.
Dove sei passata, hai lasciato una traccia indelebile,
tanto che ancora oggi ti piangono e ti rimpiangono le persone che ti hanno
conosciuta. E mille lacrime non bastano a riempire il vuoto. Eri caparbia: la
tua condizione di giovane mamma non ti ha impedito di portare a termine tutti i
progetti che avevi in testa, di fretta e a volte in modo frenetico, quasi con
la consapevolezza del poco tempo che ti era concesso.
Eri positiva ed ottimista anche quando tutto urlava il
contrario. Ti ho salutata mentre entravi in sala operatoria con il sorriso
sulle labbra, quasi tu volessi tranquillizzarci: non era ostentazione la tua,
era proprio serenità d’animo. Ricordo che ti tracciai sulla fronte il segno
della Croce perché in quel momento proprio non potevo fare nulla per te e ti
affidavo alla Sua volontà, affinché ti tenesse Lui per mano, mentre io me ne
stavo fuori, nel corridoio di fronte alla sala operatoria, buttata lì per un
tempo infinito, impotente, ad attendere notizie.
Qualche giorno fa, ho ritrovato dentro una scatolina a
forma di gufo che mi avevi regalata un biglietto scritto al computer, quando
già la malattia ti aveva rubato la capacità di farlo a mano: “Alla mia sorella
“preferita”, compagna di tante mie avventure e disavventure. Ciao, Gra”.
Con quel “ciao” già mi anticipavi il distacco. Le
avventure e le disavventure si sono distribuite lungo l’arco di tutta una vita,
concentrandosi in modo ostinato proprio nel periodo della tua malattia, quando
era divenuta una vera missione la mia: accompagnarti per mano verso la
guarigione.
Non avevo assolutamente messo in conto che tu invece
potessi morire e, quando è successo, me ne sono fatta una colpa, perché, pur
avendoci creduto fino in fondo, non ero riuscita a salvarti. Come se non lo
avessi voluto abbastanza o non fossero stati sufficienti la determinazione, la
rabbia, l’impegno. Stavi morendo e io non ci volevo credere, non ci pensavo
proprio e me ne andavo in giro per mezza Italia con i risultati delle tue
analisi che parlavano chiaro, anzi gridavano che stavi morendo, mentre io non
lo avevo capito, forse perché non lo volevo capire.
Me lo disse Rossana, in un pomeriggio di Agosto. Anche a
lei avevo chiesto di far vedere i risultati ad un luminare di sua conoscenza.
Avuta la risposta, mi venne a prendere e mi portò in montagna, senza che
durante il viaggio avessimo il coraggio di scambiare una parola. Poi, in un
silenzio assordante e mentre il mio cuore era in tumulto, lei fermò la macchina
in una radura e mi disse: “Lu’… Grazietta muore!”. Piangemmo insieme, a lungo,
ma io non mi fermai.
A Milano, dove per anni a cadenze regolari ti avevo
accompagnata a fare le visite di controllo, andai da sola, perché tu non potevi
più muoverti, solo per ricevere come risposta uno sguardo compassionevole e
rassegnato.
Ci aveva fatto bene sperare la cura dell’I.E.O. di Milano
ed ostinatamente prendevamo quel vagone letto delle 24,20 a Chiusi: io e te,
sole alla stazione, ad un’ora così insolita, cercando riparo dal vento dietro
la colonna del binario numero due. E, quando arrivava il treno, avrei voluto
sollevarti con tutte le mie forze, vedendo quanto difficoltoso fosse per te
salire quei tre gradini ed avendo timore
che nel ripartire gli scossoni ti potessero far cadere nel tratto per raggiungere
le nostre cuccette.
Ogni tanto mi chiamavi al telefono e mi dicevi: “Lu’…sono
caduta!” ed a me, lontana quei pochi chilometri che diventavano una distanza
siderale, non restava altro che farmi la consueta scazzottata con il destino e
rimanere con l’amaro in bocca e la morte nel cuore.
E intanto la malattia ti depredava via via delle virtù
più belle: dei capelli corvini, della voce che sapevi così ben modulare nel
canto, delle mani che adoperavi con destrezza ed arte, delle gambe che ti
avevano fatto correre per essere presente ovunque ci fosse bisogno di te, fino
ad arrivare a rubare i tuoi splendidi quarantaquattro anni.
Mi domando se approveresti ciò che sto facendo, ossia
andare a rimuginare tutto questo solo per ricavarne dolore. Mi accorgo che di
te mi sono rimasti quasi soltanto i ricordi più terribili e devo fare un grande
sforzo per ricordare altro. Ma questo sforzo merita di essere affrontato,
perché non posso certo ignorare i momenti belli del nostro viaggio lungo la
vita.
Lucia Romani*
*Lucia Romani vive e lavora ad Abbadia San Salvatore (SI). Con questo post inizia la sua collaborazione al blog. La ringrazio.
È un vero piacere e soprattutto un onore collaborare al tuo blog Ezio.
RispondiEliminaHo già qualcosa che "bolle in pentola", che aspetta solo uno spiraglio del mio tempo
Veramente commovente, ho i "lucciconi"
RispondiEliminaRiposa in Pace Grazietta: ora tocca a te, di Lassù, sostenere Lucia
Mamma mia, toglie il respiro!
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