Non c’è disciplina scolastica che meglio
del Latino rifletta il radicale cambiamento intervenuto nei Licei negli ultimi
decenni, nel senso che le varie vicissitudini a cui esso è andato incontro bene
evidenziano lo stato di salute di questo tipo d’istituto scolastico. La prima
più vistosa novità - se così si può definire - che è dato cogliere in rapporto
a detta disciplina è costituita dalla quasi scomparsa del cosiddetto “classico”
dall’insegnamento dell’antica lingua dei nostri progenitori. Viene portato a
conoscenza degli studenti un numero alquanto limitato di brani di Autore,
ovvero di brani ovviamente non finalizzati all’esercitazione grammaticale e,
nella maggior parte dei casi, gli stessi vengono semplicemente assegnati: non
si procede cioè, da parte del docente, ad alcuna analisi-commento né dal punto
di vista storico-critico, né tanto meno da quello retorico-stilistico o linguistico-grammaticale.
Quanto all’insegnamento della lingua
latina, affidato - grosso modo - ai
primi due anni dell’uno e dell’altro liceo, va detto che esso viene per lo più
praticato attraverso il libro di grammatica, che è sistematicamente letto in
classe e del quale si segue l’impianto di svolgimento pagina per pagina, così
che il docente non esprime alcuna forma di autonomia progettuale per quanto
attiene all’impostazione didattica di tale studio. C’è poco da stupirsi, se proprio
nel Latino siano fatte registrare le difficoltà più diffuse tra gli studenti
liceali e se si sviluppi un’ostilità
sempre più netta o addirittura una paura preconcetta nei confronti dello studio
di detta lingua. Lungi da noi l’idea che ciò sia da ascriversi a supposte
incapacità proprie delle ultime generazioni.
Indubbiamente sulla delicata e
complessa questione qui presa in esame agiscono vari fattori, primo fra tutti la
forte differenziazione che da sempre è venuta a determinarsi nelle Università
italiane tra un corso di laurea in Lettere e l’altro, per quanto riguarda sia
la tipologia e la qualità degli esami affrontati, sia il numero e il grado di
difficoltà degli esami di Latino. Un
altro fattore che ha influito non poco sull’abbassamento della qualità
dell’insegnamento del Latino è rappresentato dall’infelicissima scelta - ormai adottata in quasi tutti i Licei - di verticalizzare sia l’insegnamento del
Latino che quello dell’Italiano, col pretesto (o forse sarebbe meglio definire
pia illusione) di prevenire sul nascere le lamentele e le critiche che i
docenti della fascia superiore sono soliti rivolgere nei confronti di quelli
della fascia inferiore riguardo all’insufficiente grado di preparazione manifestato
dai discenti che si accostano al ciclo successivo.
C’è stato, tuttavia, un tempo nel quale a
ciascun docente era data facoltà di scegliere la fascia scolastica che meglio
si adattasse alle proprie competenze, all’esperienza di lavoro già maturata e
alle proprie capacità. Pertanto, i docenti di Lettere si dividevano in docenti
di Italiano e Latino del biennio e docenti di Italiano e Latino del triennio.
L’aver di fatto generalizzato la verticalizzazione si è tradotta in una sorta
d’imposizione, nel senso che, piuttosto che subire l’umiliazione di un suo
rifiuto, equivalente ad una vera e propria ammissione d’inadeguatezza personale
agli occhi di colleghi e Capo d’Istituto, i più hanno preferito ipocritamente
sobbarcarsi un compito al di sopra delle proprie capacità professionali e delle
proprie conoscenze disciplinari.
La verità è che, per formare un bravo
docente di Latino o di Italiano, non è sufficiente aver affrontato un ottimo
corso di laurea; questo va considerato solo un buon punto di partenza. E, del
resto, una preparazione universitaria risulta tanto più efficace, quanto più la
stessa si sia fondata sullo studio e sull’approfondimento dei Classici. Ma se
il docente, dopo il conseguimento della laurea, ha interrotto ogni pratica di
lettura del classico latino o nel tempo si è limitato a rileggere solo i brani di Classico via via proposti alle sue classi,
ciò non può certo averlo condotto ad alcun considerevole arricchimento del
proprio bagaglio culturale e professionale, né tantomeno ad una padronanza nel
campo della traduzione e nell’analisi del testo latino. Per imparare a tradurre
non c’è di meglio che leggere quasi quotidianamente le opere latine. Serve a poco la grammatica; ciò che più
conta è cogliere la “grammatica che è
contenuta” nel testo degli Autori migliori. Leggere i classici, oltretutto,
serve moltissimo per impossessarsi del lessico essenziale latino.
Franco Federico*
*Con questo articolo Franco Federico, docente e autore di vari saggi sulla scuola, inizia la sua collaborazione al blog. Lo ringrazio.
*Con questo articolo Franco Federico, docente e autore di vari saggi sulla scuola, inizia la sua collaborazione al blog. Lo ringrazio.
Molto interessante.
RispondiEliminaIo sono madre di due figlie che hanno fatto il classico con due insegnanti di lettere molto diversi, una ha fatto innamorare mia figlia che all'università ha scelto lettere e poi archeologia come specializzazione e adesso a sua volta insegna latino e italiano in un liceo di Roma, avendo superato il relativo concorso.
L'altra ha vuto una insegnante che peggiore non poteva essere. E'riuscita a studiare anche lei che si è diplomata, come la sorella, col massimo dei voti, quindi non lo dico perchè mia figlia fosse asina ma perchè obiettivamente come metodo di insegnamento quella signora lasciava molto a desiderare.
Non era meglio quando il latino si insegnava alle medie, 3 anni per imparare la grammatica e i successivi 5 per approfondire?