domenica 8 gennaio 2017

Sulla crisi odierna dell'insegnamento del Latino di Franco Federico

      Non c’è disciplina scolastica che meglio del Latino rifletta il radicale cambiamento intervenuto nei Licei negli ultimi decenni, nel senso che le varie vicissitudini a cui esso è andato incontro bene evidenziano lo stato di salute di questo tipo d’istituto scolastico. La prima più vistosa novità - se così si può definire - che è dato cogliere in rapporto a detta disciplina è costituita dalla quasi scomparsa del cosiddetto “classico” dall’insegnamento dell’antica lingua dei nostri progenitori. Viene portato a conoscenza degli studenti un numero alquanto limitato di brani di Autore, ovvero di brani ovviamente non finalizzati all’esercitazione grammaticale e, nella maggior parte dei casi, gli stessi vengono semplicemente assegnati: non si procede cioè, da parte del docente, ad alcuna analisi-commento né dal punto di vista storico-critico, né tanto meno da quello retorico-stilistico o linguistico-grammaticale.
      Quanto all’insegnamento della lingua latina, affidato - grosso modo -  ai primi due anni dell’uno e dell’altro liceo, va detto che esso viene per lo più praticato attraverso il libro di grammatica, che è sistematicamente letto in classe e del quale si segue l’impianto di svolgimento pagina per pagina, così che il docente non esprime alcuna forma di autonomia progettuale per quanto attiene all’impostazione didattica di tale studio. C’è poco da stupirsi, se proprio nel Latino siano fatte registrare le difficoltà più diffuse tra gli studenti liceali e se si sviluppi  un’ostilità sempre più netta o addirittura una paura preconcetta nei confronti dello studio di detta lingua. Lungi da noi l’idea che ciò sia da ascriversi a supposte incapacità proprie delle ultime generazioni.
        Indubbiamente sulla delicata e complessa questione qui presa in esame  agiscono vari fattori, primo fra tutti la forte differenziazione che da sempre è venuta a determinarsi nelle Università italiane tra un corso di laurea in Lettere e l’altro, per quanto riguarda sia la tipologia e la qualità degli esami affrontati, sia il numero e il grado di difficoltà degli esami di Latino.  Un altro fattore che ha influito non poco sull’abbassamento della qualità dell’insegnamento del Latino è rappresentato dall’infelicissima scelta  - ormai adottata in quasi tutti i Licei  - di verticalizzare sia l’insegnamento del Latino che quello dell’Italiano, col pretesto (o forse sarebbe meglio definire pia illusione) di prevenire sul nascere le lamentele e le critiche che i docenti della fascia superiore sono soliti rivolgere nei confronti di quelli della fascia inferiore riguardo all’insufficiente grado di preparazione manifestato dai discenti che si accostano al ciclo successivo.
   C’è stato, tuttavia, un tempo nel quale a ciascun docente era data facoltà di scegliere la fascia scolastica che meglio si adattasse alle proprie competenze, all’esperienza di lavoro già maturata e alle proprie capacità. Pertanto, i docenti di Lettere si dividevano in docenti di Italiano e Latino del biennio e docenti di Italiano e Latino del triennio. L’aver di fatto generalizzato la verticalizzazione si è tradotta in una sorta d’imposizione, nel senso che, piuttosto che subire l’umiliazione di un suo rifiuto, equivalente ad una vera e propria ammissione d’inadeguatezza personale agli occhi di colleghi e Capo d’Istituto, i più hanno preferito ipocritamente sobbarcarsi un compito al di sopra delle proprie capacità professionali e delle proprie conoscenze disciplinari.
         La verità è che, per formare un bravo docente di Latino o di Italiano, non è sufficiente aver affrontato un ottimo corso di laurea; questo va considerato solo un buon punto di partenza. E, del resto, una preparazione universitaria risulta tanto più efficace, quanto più la stessa si sia fondata sullo studio e sull’approfondimento dei Classici. Ma se il docente, dopo il conseguimento della laurea, ha interrotto ogni pratica di lettura del classico latino o nel tempo si è limitato a rileggere solo i brani di Classico via via proposti alle sue classi, ciò non può certo averlo condotto ad alcun considerevole arricchimento del proprio bagaglio culturale e professionale, né tantomeno ad una padronanza nel campo della traduzione e nell’analisi del testo latino. Per imparare a tradurre non c’è di meglio che leggere quasi quotidianamente le opere latine.   Serve a poco la grammatica; ciò che più conta è cogliere la “grammatica che è contenuta” nel testo degli Autori migliori. Leggere i classici, oltretutto, serve moltissimo per impossessarsi del lessico essenziale latino.         
Franco Federico*  

*Con questo articolo Franco Federico, docente e autore di vari saggi sulla scuola, inizia la sua collaborazione al blog. Lo ringrazio.                                               



1 commento:

  1. Molto interessante.
    Io sono madre di due figlie che hanno fatto il classico con due insegnanti di lettere molto diversi, una ha fatto innamorare mia figlia che all'università ha scelto lettere e poi archeologia come specializzazione e adesso a sua volta insegna latino e italiano in un liceo di Roma, avendo superato il relativo concorso.
    L'altra ha vuto una insegnante che peggiore non poteva essere. E'riuscita a studiare anche lei che si è diplomata, come la sorella, col massimo dei voti, quindi non lo dico perchè mia figlia fosse asina ma perchè obiettivamente come metodo di insegnamento quella signora lasciava molto a desiderare.
    Non era meglio quando il latino si insegnava alle medie, 3 anni per imparare la grammatica e i successivi 5 per approfondire?

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